Quarto
ciclo
Anno
liturgico A (2010-2011)
Tempo
Ordinario
25a Domenica
(18 settembre
2011)
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Is 55,6-9; Sal 144; Fil 1,20c-27a; Mt 20,1-16a
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Cosa
impedisce ai nostri cuori di fidarci di Dio? È questo il tema della liturgia di
oggi. E lasciandoci guidare dall’antifona di introduzione possiamo domandarci:
è proprio vero che la salvezza che desideriamo è quella che il Signore ci
offre? Perlomeno, non arriva forse tardi per noi la sua salvezza? La dimensione
di scandalo dell’agire di Dio nei nostri confronti non viene mai meno per i
nostri cuori. Quanta verità contiene la beatitudine proclamata da Gesù: “E
beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!” (Mt 11,6).
Quello che
il salmo 144 proclama: “Giusto è il
Signore in tutte le sue vie e buono in tutte le sue opere” rivela il frutto
di un cammino consumato alla scoperta del nostro Dio; non indica la condizione
di partenza. Non per nulla la verità della bontà di Dio è tema di rivelazione:
la si può scoprire solo accettando di relazionarsi al proprio Dio, secondo
quella radicalità di rapporto che una relazione d’amore comporta. E come in
tutte le relazioni d’amore, il mondo interiore viene rivoluzionato. Senza
accettare questa ‘rivoluzione’ non si vive l’amore e non si troverà il senso
del vivere. Il salmo riporta la definizione di Dio “misericordioso e pietoso è
il Signore, lento all’ira e grande nell’amore” che era stata rivelata a Mosè
sul Sinai. E proprio perché tale ‘Nome’ di Dio non è evidente per il nostro
cuore, la liturgia si premura di richiamarcela in vari modi.
Quando Dio
proclama con le parole del profeta Isaia che le sue vie non sono le nostre, Dio
vuole conquistare i nostri cuori alla sua bontà. Il cap. 55 conclude il secondo
libro di Isaia con l’assicurazione che il popolo verrà liberato da Babilonia e
tornerà gioioso. Nessun indizio lo faceva presumere, la realtà diceva il contrario,
ma Dio insiste: “Voi dunque partirete con
gioia, sarete ricondotti in pace” (Is 55,12). E
così è avvenuto.
La parabola
evangelica odierna risponde alla promessa, misteriosa ma feconda, che chi avrà
lasciato beni e affetti per il suo Signore, riceverà 100 volte tanto (cfr Mt
19,29). Da notare: si riceve in abbondanza rispetto a quello che si è disposti
a lasciare. Il che significa: non possiamo domandare a Dio quello che siamo
invitati a lasciare. Non si può servirsi di Dio, ma solo servire Dio. Tanto è vero
che il seguito della parabola comporta il terzo annuncio della passione con il
successivo ingresso in Gerusalemme dove avrà luogo il dramma della morte di
Gesù. Eppure, proprio così risplende l’agire amoroso di Dio nei confronti degli
uomini. Perché i nostri cuori non comprendono?
La parabola
di Gesù è costruita proprio per sorprendere gli operai della prima ora nei loro
pensieri segreti. Se il fattore avesse cominciato a pagare gli operai dai
primi, non sarebbero stati svelati quei pensieri. Si sarebbero conosciuti solo
quelli degli ultimi. Ma la parabola insiste proprio sui primi; il che significa
che in quei ‘primi’ siamo compresi tutti noi, per un verso o per l’altro. Dal
punto di vista ecclesiale, si può interpretare la parabola come un avvertimento
agli israeliti (gli operai della prima ora) rispetto ai pagani (gli operai
dell’ultima ora), ai giudeo-cristiani rispetto agli ellenisti, ai pastori
rispetto ai fedeli, ecc. La parabola però ha un’estensione molto più larga e
allude agli atteggiamenti dei cuori nei confronti di Dio. Tutti vengono pagati
nella stessa misura: è proprio questo che urta la nostra sensibilità. Notiamo
subito che il padrone della parabola non manca di giustizia perché ai primi dà
esattamente quello che avevano pattuito. Semplicemente, non si attiene solo a
quella giustizia e dà anche agli altri la stessa paga. Dove sta allora la
malizia dei pensieri dei primi?
Tutto
dipende da come leggiamo l’agire di Dio nei nostri confronti. Le vite degli
uomini sono effettivamente diseguali, la sua provvidenza è misteriosa, la
conoscenza di lui è misteriosa, le nostre sorti sono diverse, le gioie e le
sofferenze sono amministrate nella nostra vita in modo così diverso gli uni
dagli altri! Perché tutto questo? Porci questa domanda significa rapportarci
agli altri e non a Dio. Non è certamente una domanda maliziosa, ma rivela la
difficoltà di cogliere la bontà di Dio e per ciò stesso rivela la natura del
nostro rapportarci a Dio in rivendicazione. Ma la rivendicazione esprime
gelosia, come dice il padrone della parabola ai primi operai. Il segno della
purità di cuore è proprio la mancanza di gelosia, vale a dire la gioia della
felicità altrui. La punta segreta di questa gioia sta nella confidenza nel
proprio Dio di cui si spera il godimento della promessa fatta a noi. Così,
nonostante le diseguaglianze delle nostre vite, nulla ci manca se Dio è con
noi.
Potremmo
anche domandarci: quando i primi restano i primi? Pensiamo agli apostoli. Sono
tra i primi e primi sono restati. Essere primi significa rallegrarsi del fatto
che gli ultimi sono preferiti, godere con Dio della sua misericordia per gli
ultimi. Anche perché l’invito a scoprire e gustare la bontà di Dio salva i
cuori dai confini angusti e li libera da ogni forma di rivendicazione in modo da
partecipare ai sentimenti di Dio che vuole tutti suoi amici, senza distinzione.
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I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale
Romano”):
Prima Lettura Is 55, 6-9
Dal libro del profeta Isaia
Cercate il
Signore, mentre si fa trovare,
invocatelo,
mentre è vicino.
L’empio
abbandoni la sua via
e l’uomo
iniquo i suoi pensieri;
ritorni al
Signore che avrà misericordia di lui
e al nostro
Dio che largamente perdona.
Perché i
miei pensieri non sono i vostri pensieri,
le vostre
vie non sono le mie vie. Oracolo del Signore.
Quanto il
cielo sovrasta la terra,
tanto le mie
vie sovrastano le vostre vie,
i miei
pensieri sovrastano i vostri pensieri.
Salmo Responsoriale
Dal Salmo 144
Il Signore è vicino a chi lo invoca.
Ti voglio
benedire ogni giorno,
lodare il
tuo nome in eterno e per sempre.
Grande è il
Signore e degno di ogni lode;
senza fine è
la sua grandezza.
Misericordioso
e pietoso è il Signore,
lento
all’ira e grande nell’amore.
Buono è il
Signore verso tutti,
la sua
tenerezza si espande su tutte le creature.
Giusto è il
Signore in tutte le sue vie
e buono in
tutte le sue opere.
Il Signore è
vicino a chiunque lo invoca,
a quanti lo
invocano con sincerità.
Seconda Lettura
Fil 1,20c-24.27a
Dalla lettera di san Paolo apostolo
ai Filippési.
Fratelli,
Cristo sarà glorificato nel mio corpo, sia che io viva sia che io muoia.
Per me
infatti il vivere è Cristo e il morire un guadagno.
Ma se il
vivere nel corpo significa lavorare con frutto, non so davvero che cosa
scegliere. Sono stretto infatti fra queste due cose: ho il desiderio di
lasciare questa vita per essere con Cristo, il che sarebbe assai meglio; ma per
voi è più necessario che io rimanga nel corpo.
Comportatevi
dunque in modo degno del vangelo di Cristo.
Vangelo Mt 20, 1-16
Dal vangelo secondo Matteo
In quel
tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:
«Il regno
dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata
lavoratori per la sua vigna. Si accordò con loro per un denaro al giorno e li
mandò nella sua vigna. Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che
stavano in piazza, disoccupati, e disse loro: “Andate anche voi nella vigna;
quello che è giusto ve lo darò”. Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso
mezzogiorno e verso le tre, e fece altrettanto. Uscito ancora verso le cinque,
ne vide altri che se ne stavano lì e disse loro: “Perché ve ne state qui tutto
il giorno senza far niente?”. Gli risposero: “Perché nessuno ci ha presi a
giornata”. Ed egli disse loro: “Andate anche voi nella vigna”.
Quando fu
sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: “Chiama i lavoratori e dai
loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi”. Venuti quelli delle
cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. Quando arrivarono i
primi, pensarono che avrebbero ricevuto di più. Ma anch’essi ricevettero
ciascuno un denaro. Nel ritirarlo, però, mormoravano contro il padrone dicendo:
“Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che
abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo”.
Ma il
padrone, rispondendo a uno di loro, disse: “Amico, io non ti faccio torto. Non
hai forse concordato con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene. Ma io
voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te: non posso fare delle mie cose
quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?”. Così gli
ultimi saranno primi e i primi, ultimi».