Quarto
ciclo
Anno
liturgico A (2010-2011)
Tempo
Ordinario
24a Domenica
(11 settembre
2011)
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Sir
27,30-28,9; Sal 102; Rm 14,7-9; Mt 18,21-35
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L’immagine
di fondo che emerge è la stessa delle domeniche precedenti: la chiesa come
comunità di riconciliati, di uomini e donne che hanno fatto esperienza della
grande misericordia di Dio e che non possono non condividerla tra di loro.
La
bellissima preghiera dopo la comunione ci introduce nella dinamica divina che
attraversa il cuore dei credenti: “La potenza di questo sacramento, o Padre, ci
pervada corpo e anima, perché non prevalga in noi il nostro sentimento, ma
l'azione del tuo Santo Spirito”. E qual è l’azione dello Spirito nella
storia? La riconciliazione del mondo in
Cristo. Quel mistero è l’unico argomento di interesse per il cuore se vuol
vivere in pace. Lo ricorda anche il libro del Siracide:
“Ricorda i precetti e non odiare il
prossimo, l’alleanza dell’Altissimo e dimentica gli errori altrui”. In
gioco è proprio l’esperienza dell’alleanza dell’Altissimo, che in Gesù mostra
tutto il suo splendore.
Gesù
racconta la parabola del debitore spietato in risposta alla domanda stupita di
Pietro sulla nostra capacità reale di offrire il perdono ai fratelli. Il passo
parallelo di Luca rivela il sottofondo che fa da contesto: “Gli apostoli dissero al Signore: «Accresci
in noi la fede!». Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granello di
senape, potreste dire a questo gelso: “Sràdicati e
vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe” (Lc
17,5-6). Il perdono è questione di fede, non di generosità. Il perdono è in
funzione dell'esperienza di Dio, non della nostra generosità. Il perdono parla
di Dio, non di noi.
Il primo
servo della parabola, quello che deve al padrone diecimila talenti, allude a
ciascuno di noi in rapporto a Dio. Diecimila talenti sono una cifra
spropositata, a sottolineare l'assoluta impossibilità della restituzione.
Davanti a Dio ognuno si trova in questa condizione, sebbene non sia così
evidente la cosa per la nostra coscienza. È
così forte la paura di Dio che, pur avendo coscienza dei propri peccati,
si confida più nella propria giustizia che nel perdono umilmente chiesto e
ricevuto e quindi non si è disposti a perdonare al proprio fratello, dal quale
si esige la giustizia a tutti i costi. Non ci si rende conto che l'operazione è
impossibile e che risponde solo alle proprie paure nascoste e quindi alla
grettezza del proprio cuore.
Il secondo
servo, quello che deve al suo compagno cento denari (nel confronto tra i
diecimila talenti e i cento denari si è calcolato che la differenza è di uno
per seicentomila!), indica ciascuno di noi in rapporto agli altri. In gioco non
è la disistima della giustizia, ma la grettezza di cuore, la giustizia
perpetrata in nome di sentimenti ignobili. Di più ancora, in gioco non è
semplicemente una questione tra compagni, ma la stessa dignità della conoscenza
di Dio. Il primo servo è cattivo nei confronti del compagno perché non solo non
ricorda quello che lui per primo ha ricevuto, ma soprattutto perché ferisce i
sentimenti del padrone ed agisce infischiandosi di lui, rinnegando i legami che
ha con lui. Se i doni di Dio non sono percepiti dentro l’offerta di una storia
di alleanza, di comunione e di vita per noi, dimentichiamo Dio e ci chiudiamo
nei doni ricevuti rivendicandoli come di diritto. Ciò ci impedisce di vivere
l’alleanza con i nostri fratelli e facciamo pagare a loro le conseguenze di
quello spirito di rivendicazione che ci attanaglia.
Ecco perché
il sottofondo di comprensione della parabola è la fede. L'esempio del
granellino di senapa non vuol suggerire che basta avere una fede tanto piccola
quanto un granellino, ma che la fede racchiude la stessa potenza di crescita di
un granellino. La fede non è che la coscienza dell'alleanza con Dio che ci
viene rivelata proprio nel perdono del nostro peccato e nella capacità a vivere
in comunione con Lui ed il miracolo che si impone al nostro cuore è proprio
quello di vivere il perdono al fratello come un segno di quella vita divina di
cui siamo diventati partecipi. Il tutto è rappresentato dall'invocazione del
Padre Nostro: ‘rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri
debitori’, in modo così vero che, una volta capaci di risplendere della luce
del perdono perfetto, senza più accusare nessuno, non si subisce più la
tentazione e non si è più preda del male, come la successione delle invocazioni
della preghiera suggeriscono: ‘non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal
male’.
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I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale
Romano”):
Prima Lettura Sir
27, 30 - 28, 9
Dal libro del Siràcide
Rancore e
ira sono cose orribili,
e il
peccatore le porta dentro.
Chi si
vendica subirà la vendetta del Signore,
il quale
tiene sempre presenti i suoi peccati.
Perdona
l’offesa al tuo prossimo
e per la tua
preghiera ti saranno rimessi i peccati.
Un uomo che
resta in collera verso un altro uomo,
come può
chiedere la guarigione al Signore?
Lui che non
ha misericordia per l’uomo suo simile,
come può
supplicare per i propri peccati?
Se lui, che
è soltanto carne, conserva rancore,
come può
ottenere il perdono di Dio?
Chi espierà
per i suoi peccati?
Ricòrdati della fine e smetti di odiare,
della
dissoluzione e della morte e resta fedele ai comandamenti.
Ricorda i
precetti e non odiare il prossimo,
l’alleanza
dell’Altissimo e dimentica gli errori altrui.
Salmo Responsoriale
Dal Salmo 102
Il Signore è buono e grande
nell'amore.
Benedici il
Signore, anima mia,
quanto è in
me benedica il suo santo nome.
Benedici il
Signore, anima mia,
non
dimenticare tutti i suoi benefici.
Egli perdona
tutte le tue colpe,
guarisce
tutte le tue infermità,
salva dalla
fossa la tua vita,
ti circonda
di bontà e misericordia.
Non è in
lite per sempre,
non rimane
adirato in eterno.
Non ci
tratta secondo i nostri peccati
e non ci
ripaga secondo le nostre colpe.
Perché
quanto il cielo è alto sulla terra,
così la sua
misericordia è potente su quelli che lo temono;
quanto dista
l’oriente dall’occidente,
così egli
allontana da noi le nostre colpe.
Seconda Lettura
Rm 14, 7-9
Dalla lettera di san Paolo apostolo
ai Romani
Fratelli,
nessuno di noi vive per se stesso e nessuno muore per se stesso, perché se noi
viviamo, viviamo per il Signore, se noi moriamo, moriamo per il Signore.
Sia che
viviamo, sia che moriamo, siamo del Signore.
Per questo
infatti Cristo è morto ed è ritornato alla vita: per essere il Signore dei
morti e dei vivi.
Vangelo Mt 18, 21-35
Dal vangelo secondo Matteo
In quel
tempo, Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: «Signore, se il mio fratello
commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette
volte?». E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a
settanta volte sette.
Per questo,
il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi
servi. Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale
che gli doveva diecimila talenti. Poiché costui non era in grado di restituire,
il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto
possedeva, e così saldasse il debito. Allora il servo, prostrato a terra, lo
supplicava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa”. Il
padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il
debito.
Appena
uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo
prese per il collo e lo soffocava, dicendo: “Restituisci quello che devi!”. Il
suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti
restituirò”. Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che
non avesse pagato il debito.
Visto quello
che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al
loro padrone tutto l’accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli
disse: “Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai
pregato. Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto
pietà di te?”. Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non
avesse restituito tutto il dovuto.
Così anche
il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al
proprio fratello».