Quarto ciclo

Anno liturgico A (2010-2011)

Tempo Ordinario

 

21a Domenica

(21 agosto 2011)

 

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Is 22,19-23;  Sal 137;  Rm 11,33-36;  Mt 16,13-20

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I brani evangelici di oggi e di domenica prossima andrebbero letti insieme. Siamo a Cesarea di Filippo, la città costruita da Erode Filippo presso le sorgenti del Giordano, in una zona rocciosa, alle pendici del monte Hermon. Gesù, come annota l’evangelista Luca, ha appena terminato la sua preghiera, segno evidente dell’imminenza di una rivelazione. Gesù intende manifestare ai discepoli qualcosa del mistero della sua persona.

Matteo incastona la confessione di Pietro: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio Vivente” dopo la seconda moltiplicazione dei pani e l’ammonizione ai discepoli di guardarsi dal lievito dei farisei, i quali sanno leggere il tempo guardando il cielo ma non sanno guardare in alto per riconoscere il segno dei tempi messianici. L’insegnamento della Legge era teso all’affrettare i tempi messianici, ma quando l’ora di Dio si manifesta non ne riconoscono i segni. In questo contesto la domanda di Gesù ai discepoli: “Ma voi, chi dite che io sia?” acquista particolare risonanza. Se lui è il segno, perché chiedere altri segni? Se lui è l’inviato, perché aspettare ancora qualcuno che prepari la strada? Ecco quello che Pietro ha compreso: no, è proprio lui l’inviato, è proprio lui che farà vedere la salvezza di Dio.

Gesù allora lo proclama beato. Questa beatitudine richiama la benedizione proferita in precedenza da Gesù per i discepoli: “Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te” (Mt 11,25-26). È la benedizione/beatitudine per i ‘piccoli’, per coloro che stanno aperti al pensiero e all’azione di Dio in tutta confidenza, capaci perciò di ricevere senza filtri l’atto di rivelazione di Dio. Si tratta di una ‘conoscenza’ per rivelazione, per confidenza e non per convinzione. Come a dire: Pietro lascia che il tuo cuore si alimenti della promessa della rivelazione di Dio, che si manifesta in Gesù, senza addurre ragioni che sanno ancora troppo di questo mondo. Il seguito del racconto, che leggeremo domenica prossima, svelerà però che ancora troppe ragioni di questo mondo albergano nel cuore di Pietro, il quale si vedrà severamente ammonito da Gesù in vista dell’accoglienza piena della sua rivelazione.

Tra l’altro, è da dentro questa ‘beatitudine’ che Gesù cambia il nome a Pietro (sembra che all’epoca di Gesù il nome Pietro, traduzione greca del nome aramaico Kepha, che significa roccia, non venisse usato come nome di persona). Pietro potrà conoscere il suo cuore e il compito della sua vita nel processo di fedeltà a quella beatitudine che lo condurrà, dopo la risurrezione di Gesù, alla sua triplice confessione di amore, superando ogni dubbio e tradimento. Non sarà Pietro a diventare più forte, ma sarà la forza di quella beatitudine a conquistare completamente il suo cuore, dal momento che non lo chiude mai alla confidenza del suo Signore, nonostante le sue perplessità e debolezze.

Sulla verità di quella beatitudine è fondata la chiesa, luogo della fede nel Signore Gesù, Salvatore. La promessa di Gesù: “E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa” significa che niente e nessuno può rapirci al Signore. L’espressione ‘le porte degli inferi non prevarranno’ sarebbe forse meglio renderla con ‘il potere della morte non prevarrà’, intendendo: il perdono e l’accesso al Regno, in Gesù, non verrà mai meno. Se siamo suoi, di lui che è il più forte, allora nessuno può rapirci; se prendiamo la vita da lui, che è il Vivente, Colui sul quale la morte non ha più potere, allora la vita che ci attraversa non cederà davanti a nulla perché non è più soggetta alla morte. Quella promessa è da raccordare con l’altra, alla fine del vangelo: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”, parole con cui si chiude il vangelo di Matteo (Mt 28,20). E nelle parole di Gesù è adombrata la promessa che non mancheranno mai uomini e donne che faranno risplendere in mezzo a noi quella Presenza.

Rispetto alla confessione di Pietro, che è anche la nostra, noi preghiamo dopo la comunione: “Porta a compimento, Signore, l’opera redentrice della tua misericordia e perché possiamo conformarci in tutto alla tua volontà, rendici forti e generosi nel tuo amore”. Possiamo interpretare: la conoscenza del tuo amore conquisti i nostri cuori e informi il nostro agire così da vivere del tuo amore sempre e comunque, perché in tutto prevalga lo splendore della tua Presenza salvatrice, umilmente riconosciuta e adorata. È il contenuto dell’azione pastorale della chiesa nel mondo, ieri come oggi e sempre, fino alla fine dei tempi.

 

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I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale Romano”):

 

Prima Lettura  Is 22, 19-23

Dal libro del profeta Isaia

 

Così dice il Signore a Sebna, maggiordomo del palazzo:

«Ti toglierò la carica,

ti rovescerò dal tuo posto.

In quel giorno avverrà

che io chiamerò il mio servo Eliakìm, figlio di Chelkìa;

lo rivestirò con la tua tunica,

lo cingerò della tua cintura

e metterò il tuo potere nelle sue mani.

Sarà un padre per gli abitanti di Gerusalemme

e per il casato di Giuda.

Gli porrò sulla spalla la chiave della casa di Davide:

se egli apre, nessuno chiuderà;

se egli chiude, nessuno potrà aprire.

Lo conficcherò come un piolo in luogo solido

e sarà un trono di gloria per la casa di suo padre».

 

Salmo Responsoriale  Dal Salmo 137

Signore, il tuo amore è per sempre.

Ti rendo grazie, Signore, con tutto il cuore:

hai ascoltato le parole della mia bocca.

Non agli dèi, ma a te voglio cantare,

mi prostro verso il tuo tempio santo.

 

Rendo grazie al tuo nome per il tuo amore e la tua fedeltà:

hai reso la tua promessa più grande del tuo nome.

Nel giorno in cui ti ho invocato, mi hai risposto,

hai accresciuto in me la forza.

 

Perché eccelso è il Signore, ma guarda verso l’umile;

il superbo invece lo riconosce da lontano.

Signore, il tuo amore è per sempre:

non abbandonare l’opera delle tue mani.

 

Seconda Lettura  Rm 11, 33-36

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani

O profondità della ricchezza, della sapienza e della conoscenza di Dio! Quanto insondabili sono i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie!

Infatti,

chi mai ha conosciuto il pensiero del Signore?

O chi mai è stato suo consigliere?

O chi gli ha dato qualcosa per primo

tanto da riceverne il contraccambio?

Poiché da lui, per mezzo di lui e per lui sono tutte le cose. A lui la gloria nei secoli. Amen.

 

Vangelo  Mt 16, 13-20

Dal vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo, domandò ai suoi discepoli: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?». Risposero: «Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elìa, altri Geremìa o qualcuno dei profeti».

Disse loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente».

E Gesù gli disse: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli».

Allora ordinò ai discepoli di non dire ad alcuno che egli era il Cristo.