Quarto
ciclo
Anno
liturgico A (2010-2011)
Tempo
di Natale
Santa Famiglia
(26 dicembre
2010)
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Sir
3, 3-7.14-17a; Sal
127; Col 3, 12-21; Mt 2, 13-15.19-23
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"O Dio,
nostro creatore e Padre, tu hai voluto che il tuo Figlio divenisse membro
dell'umana famiglia": così prega la colletta della festa di oggi. Il
mistero della s. famiglia appartiene alla realtà del mistero dell’Incarnazione.
Si appartiene all’umanità perché si nasce da una donna, ma si diventa ‘umani’
perché accolti in una famiglia. È il destino della chiamata alla vita, della
vocazione umana: si diventa uomini solo dentro una storia riconosciuta, che ci
precede e ci accompagna, imparando a riconoscere e vivere quella ‘promessa’ di
vita che resta inscritta in noi venendo al mondo sia per i genitori che per i
figli. La famiglia è il luogo di svelamento di quella promessa che viene
dall’alto, il luogo di riferimento esistenziale che segna la natura dei nostri
sogni. Non è il luogo da dove proviene la promessa; è più semplicemente il
luogo dove la promessa diventa nostra, diventa mia.
Si tratta
del mistero che io definirei dell’obbedienza all’amore. Parlo di obbedienza
prima che di amore perché l’amore costituisce l’esito di un’obbedienza
confidente. Vale nei confronti di Dio, ma anche nei confronti degli uomini. È
caratteristico che nella liturgia di oggi come nella liturgia del matrimonio al
termine amore si accompagni il termine onore. Senza la percezione dell’onore
dovuto al mistero che si vive, l’amore non riuscirà a sopravvivere perché
divorerà invece di comunicare vita. Lo dice chiaro il libro del Siracide invitando a onorare il padre e la madre, a
suggello del patto di solidarietà con l’umanità che rende la vita in questo
mondo vivibile. Senza onore non si assicura più quella ‘vivibilità’ perché la
vita sarà vissuta nella logica dell’arraffare, che mina alle radici le ragioni
appunto della vivibilità.
Nell’esperienza
cristiana l’onore è vissuto ‘in Cristo’. La lettera di Paolo ai Colossesi descrive la famiglia come il luogo di esercizio e
di visione nella fede, in obbedienza all’unico mistero che tutti ci riguarda.
Paolo parla di ‘sottomissione’ per la moglie, di ‘amore’ per il marito, di
‘obbedienza’ per i figli. Il senso lo si ricava dalle espressioni precedenti
quando Paolo delinea la comunità dei credenti come eletti di Dio rivestiti dei
sentimenti di Cristo, riconciliati, nella pace di un unico sentire, con la
parola di Cristo che tutto regge e pervade. La ‘sottomissione’ della donna non
ha nulla a che vedere con la soggezione all’uomo; si riferisce a quella visione
del mistero che appartiene alla donna, che le colma il cuore e che estende
continuamente i confini di quell’ ‘amore’ che è richiesto all’uomo, perché
senza di lei l’uomo non saprebbe coglierne la profondità e la preziosità. La
‘obbedienza’ dei figli in quel contesto non è che l’appropriazione della
tenerezza verso la propria umanità, terreno ideale per imparare a vedere la
‘promessa’ di vita che si apre davanti a loro. E così tutti restano immersi in
quell’unico mistero di obbedienza che regge e orienta la loro vita, mistero di
cui imparano, insieme, poco a poco, a dipanare i segreti nel concreto della
loro vita. L'avvertimento di Paolo ai Colossesi
"...rivestitevi, come eletti di Dio,
santi e amati, di sentimenti di misericordia ... perdonandovi a vicenda ... e
la pace di Cristo regni nei vostri cuori ..." allude appunto al
mistero di obbedienza. L'obbedienza si fa trasparenza della tenerezza di Dio
che non disdegna di consegnarsi agli uomini perché essi imparino a consegnarsi
vicendevolmente e a Lui. E se l'obbedienza non porta a svelare la tenerezza
vuol dire che non procede dall'adorazione, da una visione, ma solo da una
volontà. E quando tutto procedesse dalla mia volontà, come posso accogliere e
celebrare la salvezza che viene da Dio? Come essere segno e custode del
'segreto' di Dio?
Il vangelo
presenta Giuseppe proprio come il custode del segreto di Dio, nella concretezza
e nel dramma della vita quotidiana, custode della tenerezza di Dio per
l'umanità, che per lui si concentrava nella sua famiglia, luogo di rivelazione
di Dio nel mondo e la sua storia è storia di questa famiglia, storia per questa
famiglia. La realizzazione di sé, come diremmo oggi, passa per l'assunzione di
un compito di grazia che fa dell'obbedienza a Dio, nel cammino di fedeltà
all'assolvimento di tutto ciò che un tal compito comporta nel concreto delle
situazioni, la porta dell'amore. Porta che può essere intravista solo se gli
occhi del cuore 'vedono' quanto basta per non tirarsi indietro.
La storia di
una famiglia è la storia di come questo 'segreto' di Dio è accolto, custodito,
vissuto. Abbiamo solo bisogno di 'rivestirci', di divenire cioè consapevoli del
dono e compito di grazia che ci ha riguardati nell'intimo e ci ha resi , nella
nostra piccolezza e nelle situazioni concrete, 'evangelici', cooperatori della
gioia altrui, segni e strumenti di salvezza, come Giuseppe. Non però di quella
salvezza operata da noi, come se il nostro amore bastasse a salvare noi o gli
altri, ma di quella che viene da Dio la cui debolezza è più forte della forza
degli uomini, debolezza la cui eco io sento nel qualificare Gesù 'il nazareno'.
In effetti,
l’ultimo versetto del brano evangelico letto riporta: "... andò ad abitare in una città chiamata Nazaret,
perché si adempisse ciò che era stato detto dai profeti:«Sarà chiamato
Nazareno»". Non è chiaro a quali passi profetici l'evangelista si
richiama, ma è chiara l'allusione al mistero che quell'aggettivo comporta. Tre
sono almeno i significati di quell'aggettivo. Designa Gesù come proveniente da Nazaret, abitante a Nazaret con i
suoi genitori ai quali, come riporta l'evangelista Luca, stava sottomesso. E'
un'affermazione della sua vita quotidiana, nascosta, in famiglia. Esprime la
concretezza della sua umanità quanto alle radici, agli affetti, alla crescita.
Gesù è uomo non solo perché è nato, ma perché è stato allevato, nutrito,
curato, educato, amato,in una famiglia umana. Nazareno richiama poi 'nazir' (cfr. Gen 49,26; Gdc 13,5), il consacrato a Dio, il Santo di Dio. Esprime la
natura del compito che è chiamato a compiere: salvare Israele, salvare
l'umanità. E siccome il Salvatore è solo Dio, partecipare al compito di
'salvare' comporta la pienezza di santità di Dio stesso. Nazareno richiama
anche un altro termine ebraico che vuol dire 'germoglio'. Girolamo spiega così
l'etimologia del nome Nazaret: "Il luogo dove la
terra ha germinato il Salvatore, dove è cresciuto il germoglio giusto, il fiore
della radice di Jesse, si chiama Nazaret,
che significa: santità, germoglio, fiore, ramoscello". E si allude alle
profezie di Is 11,1 e Zac
6,12.
Se andiamo a
vedere quando Gesù è chiamato 'nazareno' notiamo che lo chiamano così i demoni
(Mc 1,24) i quali lo sanno 'Santo di Dio'; lo chiamano così anche gli angeli
alla risurrezione (Mc 16,6); ma soprattutto l'aggettivo compare nei racconti
della passione di Giovanni, all'arresto e soprattutto sull'iscrizione sopra la
croce: Gesù Nazareno Re dei Giudei (Gv 18,5; 19,19).
Tutte sottolineature della realtà della sua umanità: è proprio quell'uomo che è
vissuto a Nazaret, la cui famiglia è di Nazaret, è proprio lui il Figlio di Dio, morto e risorto
per la nostra salvezza, Lui proprio nel quale abita la pienezza della divinità.
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I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale
Romano”):
Prima Lettura
Sir 3, 3-7.14-17a
Dal libro di Siracide
Il Signore
ha glorificato il padre al di sopra dei figli
e ha
stabilito il diritto della madre sulla prole.
Chi onora il
padre espìa i peccati e li eviterà
e la sua
preghiera quotidiana sarà esaudita.
Chi onora
sua madre è come chi accumula tesori.
Chi onora il
padre avrà gioia dai propri figli
e sarà
esaudito nel giorno della sua preghiera.
Chi
glorifica il padre vivrà a lungo,
chi
obbedisce al Signore darà consolazione alla madre.
Figlio,
soccorri tuo padre nella vecchiaia,
non
contristarlo durante la sua vita.
Sii
indulgente, anche se perde il senno,
e non disprezzarlo,
mentre tu sei nel pieno vigore.
L’opera
buona verso il padre non sarà dimenticata,
otterrà il
perdono dei peccati, rinnoverà la tua casa.
Salmo Responsoriale Dal Salmo 127
Beato chi teme il Signore e cammina
nelle sue vie.
Beato chi
teme il Signore
e cammina
nelle sue vie.
Della fatica
delle tue mani ti nutrirai,
sarai felice
e avrai ogni bene.
La tua sposa
come vite feconda
nell’intimità
della tua casa;
i tuoi figli
come virgulti d’ulivo
intorno alla
tua mensa.
Ecco com’è
benedetto
l’uomo che
teme il Signore.
Ti benedica
il Signore da Sion.
Possa tu
vedere il bene di Gerusalemme
tutti i
giorni della tua vita!
Seconda Lettura
Col 3, 12-21
Dalla lettera di san Paolo apostolo
ai Colossesi
Fratelli,
scelti da Dio, santi e amati, rivestitevi di sentimenti di tenerezza, di bontà,
di umiltà, di mansuetudine, di magnanimità, sopportandovi a vicenda e
perdonandovi gli uni gli altri, se qualcuno avesse di che lamentarsi nei
riguardi di un altro.
Come il
Signore vi ha perdonato, così fate anche voi. Ma sopra tutte queste cose
rivestitevi della carità, che le unisce in modo perfetto. E la pace di Cristo
regni nei vostri cuori, perché ad essa siete stati chiamati in un solo corpo. E
rendete grazie!
La parola di
Cristo abiti tra voi nella sua ricchezza. Con ogni sapienza istruitevi e
ammonitevi a vicenda con salmi, inni e canti ispirati, con gratitudine,
cantando a Dio nei vostri cuori. E qualunque cosa facciate, in parole e in
opere, tutto avvenga nel nome del Signore Gesù, rendendo per mezzo di lui
grazie a Dio Padre.
Voi, mogli,
state sottomesse ai mariti, come conviene nel Signore. Voi, mariti, amate le
vostre mogli e non trattatele con durezza. Voi, figli, obbedite ai genitori in
tutto; ciò è gradito al Signore. Voi, padri, non esasperate i vostri figli,
perché non si scoraggino.
Vangelo Mt 2,
13-15. 19-23
Dal vangelo secondo Matteo
I Magi erano
appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli
disse: «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre,
fuggi in Egitto e resta là finché non ti avvertirò: Erode infatti vuole cercare
il bambino per ucciderlo».
Egli si
alzò, nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto, dove
rimase fino alla morte di Erode, perché si compisse ciò che era stato detto dal
Signore per mezzo del profeta: «Dall’Egitto ho chiamato mio figlio».
Morto Erode,
ecco, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto e gli disse:
«Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre e va’
nella terra d’Israele; sono morti infatti quelli che cercavano di uccidere il
bambino».
Egli si
alzò, prese il bambino e sua madre ed entrò nella terra d’Israele. Ma, quando
venne a sapere che nella Giudea regnava Archelao al
posto di suo padre Erode, ebbe paura di andarvi. Avvertito poi in sogno, si
ritirò nella regione della Galilea e andò ad abitare in una città chiamata Nàzaret, perché si compisse ciò che era stato detto per
mezzo dei profeti: «Sarà chiamato Nazareno».