Quarto ciclo
Anno liturgico A (2010-2011)
Solennità e feste
Ss. Corpo e Sangue di Cristo
(26 giugno 2011)
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Dt 8,2-3.14b-16a; Sal 147; 1Cor 10,16-17; Gv 6,51-58
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L’origine della festa, propria
dell’Occidente latino, è legata al possente risveglio della devozione
eucaristica che si sviluppò dal secolo XII in poi, accentuando particolarmente
la presenza reale di Cristo nel sacramento e quindi la sua adorazione. Furono
le visioni di Giuliana di Cornillon, monaca
agostiniana di Liegi, ad avere un influsso decisivo nell’introduzione della
festività, che per la prima volta si celebrò nella diocesi di Liegi nel 1247.
Urbano IV, già arcidiacono di Liegi e confessore di Giuliana, la prescrisse per
tutta la Chiesa nel 1264.
Quando s. Agostino si domanda quale
sia la virtù specifica dell'Eucarestia, non può che rispondere: "La virtù
propria di questo nutrimento è quella di produrre l'unità, affinché, ridotti ad
essere il corpo di Cristo, divenuti sue membra, siamo ciò che riceviamo".
In effetti, quando ci accostiamo alla comunione eucaristica, l’amen che il
fedele risponde non significa : sì, credo che quel pezzo di pane è il corpo di
Cristo, ma, più in verità: sì, so che faccio parte di quel corpo e accetto di
vivere come un corpo solo!
Un corpo solo con il Signore Gesù,
che si è consegnato agli uomini perché gli uomini conoscessero la grandezza
dell’amore di Dio per loro! La liturgia oggi sottolinea fortemente la realtà di
quell’essere un corpo solo, nella consegna al mondo. Il brano di Giovanni, con
un realismo perfino provocatorio, lo rivela chiaramente. Gesù, che si presenta
come il pane vero disceso dal cielo, raffigurato nella manna che gli ebrei
ebbero in dono nella loro traversata del deserto, non dice semplicemente che
chi ‘mangia’ di lui avrà la vita. Dice più specificamente: chi lo ‘mastica
rompendo con i denti’, azione tipica del mangiare a livello corporale. Ebbene,
nello spirito, l’azione del ‘mangiare’ il corpo del Signore, è ancora più reale
del mangiare fisico. Tra l’altro, Giovanni sottolinea come il primo effetto del
mangiare la carne del Signore immolato non sia quello di avere il Signore in
noi, ma di dimorare noi in lui, di essere noi presi in lui. E proprio questo
effetto primario, tipicamente spirituale e assolutamente reale, fonte di
energia e di vita, induce a collegare l’essere un corpo solo con il Signore con
l’essere un corpo solo anche tra di noi. Essere nel Signore significa essere
assunti nella dinamica di rivelazione dell’amore di Dio al mondo (questo
significa l’essere inviati da Dio) per cui la vita stessa non può essere
vissuta che a servizio dello splendore di quell’amore.
L’Eucaristia è la rivelazione del
mistero delle cose. Nell'inno ai vespri della festa si canta: "Frumento di
Cristo noi siamo .... In pane trasformaci, o Padre, per il sacramento di pace:
un Pane, uno Spirito, un Corpo, la Chiesa una-santa,
o Signore". E Francesco d'Assisi, nel suo commento al Padre Nostro,
annuncia: "Il nostro pane quotidiano,
il tuo Figlio diletto, il Signore nostro Gesù Cristo, dà a noi oggi: in memoria, comprensione e reverenza dell'amore che
egli ebbe per noi e di tutto quello che per noi disse, fece e patì".
Un uomo non si rivela in tutta la
sua totalità se non dentro un mistero più grande di lui, che gli offre uno
spazio di movimento, infinito quanto il suo desiderio. Il chicco di frumento
non conosce la sua vera natura se non viene trasformato in farina, impastata,
cotta in pane e poi assunto in sacramento di pace. L'uomo non coglie la sua
verità se non nel suo porsi con gli altri uomini ed accogliersi ed offrirsi e
farsi punto di comunione, luogo in cui
crescere in comunione, assunto nel corpo di Cristo. Cosa diventa il nostro
cuore compreso nella logica eucaristica? Un amore donato che si fa dimora per
tutti nella gioia. E da dove si pesca la potenza e la freschezza di quell’amore
se non nell’essere un corpo solo con il Signore Gesù, che di quell’amore è il
testimone per eccellenza?
È l'Eucarestia, come dice s.
Francesco, a comunicare al cuore dell'uomo credente, che fa affidamento alla
logica che viene dall'alto, la potenza di una memoria, di una intelligenza e di
un sentimento per un amore grande che ci ha toccati, per Colui che si è
rivelato al nostro cuore come capace di amore per noi. Sperimentando questo,
allora le sue parole, il suo agire ed il suo soffrire, si impastano con il
nostro, lo lievitano e, mossi ormai dalla sua stessa dinamica di vita,
impariamo a stare solidali con tutti, in quell’umanità che ci rende un unico
corpo, un corpo solo con il nostro Dio.
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I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale Romano”):
Prima Lettura Dt 8, 2-3. 14b-16a
Dal libro del Deuteronòmio
Mosè parlò
al popolo dicendo:
«Ricòrdati di tutto il cammino che il Signore, tuo Dio, ti
ha fatto percorrere in questi quarant’anni nel deserto, per umiliarti e
metterti alla prova, per sapere quello che avevi nel cuore, se tu avresti
osservato o no i suoi comandi.
Egli dunque
ti ha umiliato, ti ha fatto provare la fame, poi ti ha nutrito di manna, che tu
non conoscevi e che i tuoi padri non avevano mai conosciuto, per farti capire
che l’uomo non vive soltanto di pane, ma che l’uomo vive di quanto esce dalla
bocca del Signore.
Non dimenticare
il Signore, tuo Dio, che ti ha fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla
condizione servile; che ti ha condotto per questo deserto grande e spaventoso,
luogo di serpenti velenosi e di scorpioni, terra assetata, senz’acqua; che ha
fatto sgorgare per te l’acqua dalla roccia durissima; che nel deserto ti ha
nutrito di manna sconosciuta ai tuoi padri».
Salmo Responsoriale
Dal Salmo 147
Loda il Signore, Gerusalemme.
Celebra il
Signore, Gerusalemme,
loda il tuo
Dio, Sion,
perché ha
rinforzato le sbarre delle tue porte,
in mezzo a
te ha benedetto i tuoi figli.
Egli mette
pace nei tuoi confini
e ti sazia
con fiore di frumento.
Manda sulla
terra il suo messaggio:
la sua
parola corre veloce.
Annuncia a
Giacobbe la sua parola,
i suoi
decreti e i suoi giudizi a Israele.
Così non ha
fatto con nessun’altra nazione,
non ha fatto
conoscere loro i suoi giudizi.
Seconda Lettura
1 Cor 10, 16-17
Dalla Prima lettera di san Paolo
apostolo ai Corinzi
Fratelli, il
calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il
sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il
corpo di Cristo?
Poiché vi è
un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo: tutti infatti
partecipiamo all’unico pane.
Sequenza: Lauda Sion
Vangelo Gv 6, 51-58
Dal vangelo secondo Giovanni
In quel
tempo, Gesù disse alla folla:
«Io sono il
pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il
pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».
Allora i
Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua
carne da mangiare?».
Gesù disse
loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio
dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la
mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò
nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera
bevanda.
Chi mangia
la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che
ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia
me vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che
mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».