Terzo ciclo
Anno liturgico C (2009-2010)
Tempo di Quaresima
Domenica delle
Palme
(28 marzo 2010)
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Lc
19,28-40// Is 50,4-7; Sal 21; Fil 2,6-11;
Lc 22,14-23,56
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Con la liturgia delle palme si dà
inizio alle celebrazioni della Settimana Santa. Un sentimento di esultanza, di
euforia quasi, introduce agli avvenimenti pasquali: Gesù entra trionfalmente in
Gerusalemme acclamato da ali festanti di discepoli. Presto l’euforia cederà il
passo alla paura, al tradimento. E quando tutto sembrerà ormai definitivamente
cancellato nel silenzio della morte, risuonerà ancora un grido di gioia la
domenica di Pasqua, ma questa volta senza nessuna euforia, come strappato a
forza, trasfigurante nella sua assoluta imprevedibilità. Sarà il grido, non che
vince la morte, ma che l’attraversa, che l’assume, che la libera dai suoi
confini mondani aprendola allo splendore del mistero di Dio.
Tutti i vangeli riportano il solenne
ingresso di Gesù in Gerusalemme, nell’ottica del compimento della profezia di
Zaccaria, unico testo messianico dove il Messia è umile: “Esulta grandemente, figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme!
Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un
asino, un puledro figlio d’asina” (Zc 9,9). L’accentuazione di Luca cade
sulla ‘regalità’ di Gesù, con le allusioni alla consacrazione di Salomone (cfr
1Re 1,33-40) e alla proclamazione di Ieu re di Israele con lo stendere da parte
dei grandi i mantelli per terra (cfr 2Re 9,13), regalità che la liturgia latina
sottolinea con la solenne processione.
È assolutamente significativo che Gesù
accolga il riconoscimento del suo essere re soltanto a partire da questo
ingresso in Gerusalemme che introduce la sua passione. Nel racconto di Luca
Gesù aveva puntato diritto a Gerusalemme nel corso del suo ministero. Quando
sta per entrarvi, i discepoli lo acclamano festosi pensando evidentemente altra
cosa rispetto a quello che ha in mente lui, pur sottolineando comunque la
Benedizione che rappresenta per loro tutti da parte di Dio. La liturgia, prima
segue i pensieri dei discepoli con la solenne processione e, subito dopo,
quelli di Gesù - quei pensieri che i discepoli non potevano ancora leggere -
facendo intravedere i pensieri di Dio sul suo Figlio venuto a rivelare l’amore
del Padre per gli uomini. Gesù si proclamerà re davanti a Pilato quando ormai
nessuna ambiguità impedirà la comprensione di quel titolo e verrà proclamato re
dalla croce con il titolo che compare sugli antichi crocifissi: ‘re della
gloria’.
È curioso osservare che l’esultanza dei
discepoli richiama l’esultanza degli angeli a Betlemme: la proclamazione della
pace, dono di Dio all’umanità, là annunciata, qui si delinea in tutta la sua
drammaticità, senza che alcuno ancora se ne renda conto, eccetto Gesù. Forse,
la sua risposta ai farisei, sorpresi e intimoriti per le possibili conseguenze
di fronte all’occupante romano: “Io vi
dico che, se questi taceranno, grideranno le pietre”, allude al ‘giudizio’
della storia nella tragedia della prossima distruzione di Gerusalemme. Gesù si
rivolge alla città, piange su di essa, la richiama a riconoscere la visita del
suo Dio. Già altre volte Gerusalemme era stata richiamata dai profeti a leggere
gli avvenimenti tragici nell’ottica della storia con il suo Dio.
La liturgia si fa carico di mostrarci
tale drammaticità, subito dopo la solenne processione, con la colletta: “Dio
onnipotente ed eterno, che hai dato come modello agli uomini il Cristo tuo
Figlio, nostro Salvatore, fatto uomo e umiliato fino alla morte di croce …”.
Non c’è più ombra dell’esultanza di prima. Viene letto il terzo canto del Servo
del Signore del profeta Isaia: “Ho
presentato il mio dorso ai flagellatori ... non ho sottratto la faccia agli
insulti e agli sputi”. Si canta il salmo 21: “hanno scavato [forato] le mie
mani e i miei piedi... Si dividono le mie vesti”. S. Paolo canta la figura
di Gesù nella sua passione d’amore per gli uomini: “… svuotò se stesso assumendo una condizione di servo ... umiliò se stesso
facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce”. E viene
proclamato solennemente il racconto della passione di Gesù.
Proprio su questo Gesù la chiesa invita
a fissare gli sguardi, in tutta la potenza della sua rivelazione quanto
all’amore di Dio per gli uomini. Quanto sono preziosi gli uomini per lui!
Quanto può essere rivoluzionata la vita se vissuta dentro e a partire dal suo
amore! Quando la colletta ci propone l’immagine di Gesù umiliato non è per
suggerirci un modello di umanità sofferente. Gesù resta modello perché, per
realizzare la nostra vocazione all’umanità, non possiamo non rifarci a lui che
di questa umanità ha svelato tutta la bellezza nel suo stare fedele in
comunione con Dio, dalla parte degli uomini ed in comunione con gli uomini,
dalla parte di Dio. E la sua bellezza traspare proprio nel momento in cui,
sfigurato dal dolore e calpestato, non rinnega l’alleanza di Dio ed apre, per
lui e per tutti, la promessa di una vita inattaccabile dalla morte. Ed è la sua
bellezza a generare speranza, quella di cui il mondo oggi, come sempre, ha
tremendamente ed urgentemente bisogno.