Terzo ciclo

Anno liturgico C (2009-2010)

Tempo di Pasqua

 

Ascensione

(16 maggio 2010)

 

_________________________________________________

At 1,1-11;  Sal 46;  Eb 9,24-28; 10,19-23;  Lc 24,46-53

_________________________________________________

 

Con l’ascensione di Gesù possiamo contemplare in tutto il suo arco la portata del mistero pasquale, come riferisce Luca all’inizio del racconto degli Atti: “Nel primo racconto, o Teòfilo, ho trattato di tutto quello che Gesù fece e insegnò dagli inizi fino al giorno in cui fu assunto in cielo, dopo aver dato disposizioni agli apostoli che si era scelti per mezzo dello Spirito Santo” (At 1,1). E insieme cogliere la tensione che caratterizza la vita dei credenti, come recita la colletta: “ ... nel tuo Figlio asceso al cielo la nostra umanità è innalzata accanto a te, e noi, membra del suo corpo, viviamo nella speranza di raggiungere Cristo nostro Capo nella gloria”.

Gesù non ascende a un luogo. Gli angeli non sarebbero venuti a ricordare: “Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo?”. Se si fosse trattato semplicemente della sparizione dalla loro vista, non sarebbe stato ragionevole annotare: “poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia”. Spiega Agostino: “Disparve agli occhi mortali perché noi ritornassimo al cuore e trovassimo il Cristo”. In effetti i discepoli hanno visto il fenomeno fisico dell’ascendere al cielo di Gesù, ma ne hanno anche intravisto la portata mistica. Il che significa che lo sparire di Gesù dalla vista dei loro occhi permetteva di coglierlo presente nei loro cuori, come lui stesso aveva promesso: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”, versetto con il quale si chiude il vangelo di Matteo.

L’aspetto singolare di quell’avvenimento è costituito proprio dall’esperienza di una gioia speciale, abbinata alla promessa dello Spirito Santo che di lì a poco gli apostoli avrebbero ricevuto. Con l’ascensione si inaugura lo spazio di testimonianza della chiesa nel mondo, testimonianza che può essere vissuta nella ‘forza dall’alto’ (= battezzati in Spirito Santo). Leggendo insieme i passi del vangelo di Luca e degli Atti, due particolari saltano agli occhi.

Primo particolare. La forza dello Spirito agisce nel nostro cuore rispetto a tre contesti ben precisi e interdipendenti: il riconoscimento della realtà e dell’identità del Risorto, lo stesso che ha patito per noi; l’intelligenza delle Scritture di cui il Risorto mostra il compimento; la missione nel mondo. Quando i discepoli di Emmaus si comunicano la sensazione interiore che li aveva accompagnati nel colloquio con il pellegrino dicono: “Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava [in greco, letteralmente: ci apriva] le Scritture?”. Identica ‘apertura’ che realizza il Risorto con i discepoli per illustrare il mistero della sua persona: “Allora aprì loro la mente all’intelligenza delle Scritture e disse …”. Aprire le Scritture al cuore e aprire il cuore alle Scritture è far entrare nel regno di Dio, argomento tipico del sostare del Risorto con i suoi discepoli prima di ascendere al cielo. Una volta riconosciuto il Risorto e compreso le Scritture, si apre lo spazio della missione e della testimonianza, perché quell’esperienza è offerta a tutti. Questo significa: “nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati”.

Così l’evento dell’ascensione al cielo di Gesù acquista tutto il suo senso. Il cielo non è il cielo fisico, ma il luogo dove lui abita nella sua santità. E dove può essere percepita la santità se non nel vivere fraterno? Così, la predicazione alle genti non riguarda semplicemente l’annuncio di ciò che Dio ha operato per gli uomini, ma comprende anche il mostrare da parte dei discepoli che tale annuncio si è tradotto per loro in splendore di vita.

Sarà proprio la potenza dello Spirito che permetterà ai discepoli di custodire la gioia di un amore condiviso, capace di attraversare odi e afflizioni senza cedere. La tensione apostolica della testimonianza e della missione, che vive sotto il segno della benedizione che Gesù costituisce per l’umanità, respira di quella gioia e di quell’amore. Il vangelo di Luca termina con l’immagine di Gesù benedicente. Se gli occhi non vedranno più la mano benedicente, sentiranno però nel cuore la potenza di quella benedizione perenne che lui costituisce, sigillo ultimativo della volontà di bene di Dio per l’uomo. Volontà, nella quale si radica tutta la dignità dell’uomo e il suo impegno di responsabilità di fronte al mondo.

Secondo particolare. Gli apostoli hanno come la sensazione che forse è arrivato finalmente il momento della ricostituzione del regno di Israele, il momento cioè dell’immissione nella storia della potenza di Dio che tutto trasforma nel suo regno e non lascia più posto a null’altro: “Signore, è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele?”. Sono cose che non vi riguardano – risponde però Gesù. A voi basta sapere che ‘avrete forza dallo Spirito Santo … e mi sarete testimoni…’. Quello che vi riguarda è che siate agiti dalla potenza dello Spirito Santo per essermi testimoni. Ora è il tempo della testimonianza, il tempo cioè della conoscenza del Figlio dell’uomo, il tempo della fraternità ricostituita nella potenza dall’alto, nella potenza dello Spirito Santo.

Essere allora testimoni del Signore Gesù nel mondo vuol dire partecipare alla testimonianza dello stesso Signore che ha fatto risplendere nel mondo il volto di Dio nel suo amore per gli uomini; vuol dire godere di quella gioia, pace e libertà che il mondo desidera, ma non conosce e di cui invece il Risorto fa dono ai suoi senza che nessuno possa rapirle dai loro cuori. Per questo, anche se gli apostoli non vedono più con i loro occhi il loro amato Signore, non possono che essere pieni di gioia, perché in lui e con lui continuano la rivelazione dell’alleanza di Dio con gli uomini.