Terzo ciclo
Anno liturgico C (2009-2010)
Tempo Ordinario
3a Domenica
(24 gennaio 2010)
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Ne
8,2-10; Sal 18; 1Cor 12,12-31; Lc 1,1-4; 4,14-21
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Nel racconto di Luca la predicazione a
Nazaret assume il valore di avvenimento emblematico, collocato all’inizio
dell’attività apostolica di Gesù, subito dopo il battesimo e le tentazioni nel
deserto, come se l’evangelista volesse riassumere in una immagine premonitrice
il senso del messaggio messianico di Gesù. Il lettore viene posto subito in una
posizione ‘critica’ di fronte all’agire di Dio tramite Gesù.
L’inizio del brano comporta un
particolare significativo. Il testo dice che Gesù ritorna in Galilea ‘con la
potenza dello Spirito’, mentre in precedenza aveva riportato che Gesù, dopo il
battesimo al Giordano, ‘pieno di Spirito’, era stato spinto nel deserto per
essere tentato da diavolo. Avendo vinto il maligno, avendo accettato di
condursi, come Messia, secondo i segreti di Dio e non del diavolo, Gesù inizia
la sua missione. E quando si presenta nella sinagoga a Nazaret riferisce a se
stesso il passo di Isaia: “Lo Spirito del
Signore è sopra di me … Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato”.
Gesù si presenta come l’Inviato, capace di dare compimento alle promesse di
Dio, come riporta il canto al vangelo: “Il
Signore mi ha mandato ... ”. Quello che forse non cogliamo più della
manifestazione di questa autocoscienza di Gesù è il suo carattere dinamico.
L’invio non rimanda semplicemente all’opera per la quale è inviato, ma
all’intimità che vive con il Padre nel mostrare, con le parole e l’agire, il
suo grande amore agli uomini.
La profezia messianica di Isaia 61, che
parla di poveri, di prigionieri/oppressi, di ciechi, allude alle ‘deficienze’
del nostro vivere che Gesù è venuto a redimere: a) la nostra vita è mancante,
soffre di limiti; b) viviamo sotto l’oppressione di una schiavitù imposta o
procurata, subita o provocata; c) camminiamo all’oscuro, non distinguiamo bene
nulla. Gesù si presenta, dalla parte di Dio, capace di rinnovare la letizia, di
offrire la libertà e di suggerire un senso. Sono le coordinate di un vivere
felicemente la propria vocazione umana, in comunione con Dio. La felicità, come
la vita stessa di Gesù mostrerà, è ‘dire bene Dio’ con la premura della cura
dell’uomo fino a dare la vita perché la vita dell’altro cresca. Ma come vivere
questa felicità senza la rivelazione del volto di Dio che si fa conoscere come
‘cura per l’uomo’? Per questo Origene annota come sia da invidiarsi l’assemblea
che tutta intera, alla lettura della parola di Dio, tiene gli sguardi fissi su
Gesù! Come accogliere – come Gesù rivelerà in molte parabole – la felicità di
Dio per il pentimento del peccatore senza accusarlo di ingiustizia e senza
sentire la gioia dell’altro come un’offesa alla mia di uomo giusto?
Tutti i frutti dello Spirito “amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza,
bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé” (Gal 5,22) sono espressione della
cura per l’uomo e chi più li possiede, più si prende cura. E più ci si prende
cura, più il volto di Dio è rivelato nella sua verità e la letizia riempie il
cuore dell’uomo, secondo l’invito di Neemia al popolo dopo la lettura della
Legge: “Non vi rattristate, perché la
gioia del Signore è la vostra forza”. Gli ebrei erano appena ritornati
dall’esilio di Babilonia, avevano ricominciato a costruire il tempio e le mura
di Gerusalemme, ma la vita si prospettava piena di insidie sia sociali che religiose.
Il popolo viene ricompattato con la proclamazione del libro della legge, la
lettura del quale suscita un’emozione grandissima. Il popolo piange, si
rattrista, si accorge di quanto sia stato infedele al suo Dio. Come era
successo al re Giosia: “Udite le parole
del libro della legge, il re si stracciò le vesti” (2Re 22,11); come
succederà alla gente che aveva ascoltato il discorso di Pietro a Pentecoste: “all’udire queste cose si sentirono
trafiggere il cuore” (At 2,37). Ma Esdra e Neemia invitano alla gioia, sia
perché quello era un giorno di festa e nella festa è prescritto di stare lieti
insieme alla mensa, invitando anche i poveri sia perché la parola di Dio
proclamata, spiegata, vissuta e condivisa nella sua potenza di letizia rende
solidali gli uomini, non avendo più nulla da rivendicare in senso egoistico.
La gioia cela un’energia potente,
diventa la forza che il salmo 18 descrive e che potremmo interpretare
sinteticamente: la giustizia del Signore, il contenuto cioè della parola di
Dio, è quella di portare gioia al cuore e questa gioia è quella che consente al
nostro cuore di vivere secondo la sua giustizia, cioè di manifestare la sua
presenza con il prenderci cura di ognuno fino a dare la vita perché l’altro
possa averla abbondante. Solo il Messia poteva rivelare che consisteva in
questo la manifestazione del Signore e che in questo risiedeva e il compimento
del desiderio dell’uomo e la felicità di Dio.
L’esito della predicazione di Gesù a
Nazaret sarà però drammatico e questo sarà il tema delle letture di domenica
prossima.