Terzo
ciclo
Anno
liturgico C (2009-2010)
Tempo
Ordinario
32a Domenica
(7 novembre
2010)
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2Mac
7, 1-2.9-14; Sal
16; 2Ts 2,16-3,5; Lc 20, 27-38
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“E non osavano più rivolgergli alcuna domanda”
(Lc 20,40): così finisce il brano di vangelo odierno.
Gesù è ormai entrato a Gerusalemme; il rapporto con i capi del popolo si è
definitivamente rotto. Con la discussione sulla risurrezione futura, che i
sadducei, a differenza dei farisei, non ammettevano, si chiude il confronto dei
capi con Gesù.
Dio è Dio
dei vivi. Il senso di questa verità è illustrato da Origene
nel suo commento a Giosuè là dove dice:
“Magari venisse concessa anche a
me l’eredità di Abramo, Isacco, Giacobbe e divenisse mio il mio Dio allo stesso
modo che è diventato Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe, in Cristo
Gesù, Signore nostro” (Omelia XVIII,3). È l’invito a prendere possesso di
una eredità, a diventare coeredi di Cristo (Rm 8,17),
Lui il Risorto sul quale la morte non ha più potere; a diventare quelli che
siamo: figli della risurrezione.
Nella
risposta ai Sadducei, nei passi paralleli di Matteo e Marco, Gesù li apostrofa
come coloro che non conoscono le Scritture né conoscono la potenza di Dio. Cita
il passo di Es 3,6, dove Dio proclama che conosce le
sofferenze del suo popolo e vuole scendere a liberarlo. La nota fondamentale di
questa citazione riguarda il nome di Dio che non rinvia mai semplicemente
all’essere di Dio, ma al suo essere per noi. Tanto che Dio è sempre ‘Dio di’:
Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe. Ma ora, con la venuta di Gesù e
con l’imminente mistero della sua morte e risurrezione, Dio oramai sarà il ‘Dio
di Gesù’, il Dio che in Gesù ha sigillato il suo amore per noi nel modo più
radicale e definitivo. Non solo ha fatto risorgere Gesù, diventato nella
confessione di fede il Vivente, ma ha
reso accessibile, in Gesù, il dono della sua vita eterna, quella vita sulla
quale la morte non ha potere alcuno di mortificazione. Così, confessare la fede
nella risurrezione significa contemporaneamente confessare la risurrezione di
Gesù e il dono della vita che da lui scaturisce.
La risposta
di Gesù ai Sadducei non riguarda semplicemente una verità degli ultimi tempi: i
morti risorgeranno. Riguarda la potenza del dono di Dio che rende gli uomini
che lo accolgono figli della risurrezione. D’altra parte, chi non accetterà il
patire del Figlio dell’uomo, nemmeno accetterà la realtà della risurrezione. In
gioco è la potenza della fede che non tollera la prospettiva mondana nel
mistero di Dio. Il caso prospettato dai sadducei dei vari mariti e dell’unica
moglie nel regno di Dio nasconde l’incapacità di comprensione del dono di Dio.
Ogni proiezione mondana impedisce l’accoglienza del dono di Dio. Vale per la
risurrezione come per ogni altra verità del mistero di Dio che in Gesù si
rivela.
Per
declinare in modo a noi accessibile la realtà della definizione di Gesù dei
beati come figli della risurrezione, potremmo collegarla alla beatitudine: “beati gli operatori di pace, perché saranno
chiamati figli di Dio” (Mt 5,9). Gesù dice che i figli della risurrezione
sono i figli di Dio. Allora i figli della risurrezione sono gli operatori di
pace: chi vive nella pace e nella concordia, quella che Gesù ci ha ottenuto con
il dono del suo Spirito e che Paolo illustra in Ef
4,32 dicendo: ‘Dio ha perdonato a voi in Cristo’, espressione che secondo il
verbo greco dovrebbe essere resa con ‘Dio ha fatto grazia di sé a voi in
Cristo’. Un’esperienza profonda del suo perdono, di questo suo far grazia di sé
a me, che rende capace me, a mia volta, di fare grazia di me a tutti nel suo
amore, in fraternità. Questa è proprio l'opera del suo Spirito, quello che
sulla croce Gesù ha reso al Padre perché venisse effuso su di noi. Lo stesso
Spirito che invochiamo nella preghiera eucaristica perché ci renda un unico
corpo e uno spirito solo, finché alla fine Dio sia tutto in tutti. Figli di Dio
sono allora coloro che lo Spirito governa, coloro che si muovono sotto l'azione
dello Spirito e l'unica perfezione desiderabile per l'uomo è appunto quella di
lasciarsi penetrare fin nelle midolla da questo far grazia di sé da parte di
Dio agli uomini, in Cristo, per la potenza del suo Spirito. Come dice stupendamente
s. Francesco, sintesi dell’intera Tradizione: “ciò che devono desiderare sopra ogni cosa è di avere lo Spirito del
Signore e la sua santa operazione”.
Vuol dire
allora che la vita vissuta nel segno del far grazia di sé a noi in Cristo e del
far grazia di noi a tutti in Cristo, è la vita non toccata dalla morte, non più
toccata dal veleno della divisione e della separazione. E se il peccato porta
la morte, vuol dire che il peccato non è che la resistenza, l'ostacolo, a
vivere in radicalità la fraternità operata dallo Spirito, ostacolo che ci vela
il volto di Dio e ci impedisce di conoscerlo come Padre. La morte è la rinuncia
a questa proprietà di relazione con Dio, realtà misteriosa di cui anche gli
affetti che si vivono in questo mondo sono allusivi. Una volta che la verità
risplenderà in tutta la sua bellezza non ci sarà più bisogno di far valere le
modalità allusive.
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I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale
Romano”):
Prima Lettura 2Mac
7, 1-2.9-14
Dal secondo libro dei Maccabèi
In quei
giorni, ci fu il caso di sette fratelli che, presi insieme alla loro madre,
furono costretti dal re, a forza di flagelli e nerbate, a cibarsi di carni
suine proibite.
Uno di loro,
facendosi interprete di tutti, disse: «Che cosa cerchi o vuoi sapere da noi?
Siamo pronti a morire piuttosto che trasgredire le leggi dei padri».
[E il
secondo,] giunto all’ultimo respiro, disse: «Tu, o scellerato, ci elimini dalla
vita presente, ma il re dell’universo, dopo che saremo morti per le sue leggi,
ci risusciterà a vita nuova ed eterna».
Dopo costui
fu torturato il terzo, che alla loro richiesta mise fuori prontamente la lingua
e stese con coraggio le mani, dicendo dignitosamente: «Dal Cielo ho queste
membra e per le sue leggi le disprezzo, perché da lui spero di riaverle di
nuovo». Lo stesso re e i suoi dignitari rimasero colpiti dalla fierezza di
questo giovane, che non teneva in nessun conto le torture.
Fatto morire
anche questo, si misero a straziare il quarto con gli stessi tormenti. Ridotto
in fin di vita, egli diceva: «È preferibile morire per mano degli uomini,
quando da Dio si ha la speranza di essere da lui di nuovo risuscitati; ma per
te non ci sarà davvero risurrezione per la vita».
Salmo Responsoriale
Dal Salmo 16
Ci sazieremo, Signore, contemplando il
tuo volto.
Ascolta,
Signore, la mia giusta causa,
sii attento
al mio grido.
Porgi
l’orecchio alla mia preghiera:
sulle mie
labbra non c’è inganno.
Tieni saldi
i miei passi sulle tue vie
e i miei
piedi non vacilleranno.
Io t’invoco
poiché tu mi rispondi, o Dio;
tendi a me
l’orecchio, ascolta le mie parole.
Custodiscimi
come pupilla degli occhi,
all’ombra
delle tue ali nascondimi,
io nella
giustizia contemplerò il tuo volto,
al risveglio
mi sazierò della tua immagine.
Seconda Lettura
2Ts 2, 16-3, 5
Dalla seconda lettera di san Paolo
apostolo ai Tessalonicesi
Fratelli, lo
stesso Signore nostro Gesù Cristo e Dio, Padre nostro, che ci ha amati e ci ha
dato, per sua grazia, una consolazione eterna e una buona speranza, conforti i
vostri cuori e li confermi in ogni opera e parola di bene.
Per il
resto, fratelli, pregate per noi, perché la parola del Signore corra e sia
glorificata, come lo è anche tra voi, e veniamo liberati dagli uomini corrotti
e malvagi. La fede infatti non è di tutti. Ma il Signore è fedele: egli vi
confermerà e vi custodirà dal Maligno.
Riguardo a
voi, abbiamo questa fiducia nel Signore: che quanto noi vi ordiniamo già lo
facciate e continuerete a farlo. Il Signore guidi i vostri cuori all’amore di
Dio e alla pazienza di Cristo.
Vangelo Lc 20,27-38
Dal vangelo secondo Luca
In quel
tempo, si avvicinarono a Gesù alcuni sadducèi – i quali dicono che non c’è
risurrezione – e gli posero questa domanda: «Maestro, Mosè ci ha prescritto:
“Se muore il fratello di qualcuno che ha moglie, ma è senza figli, suo fratello
prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello”. C’erano dunque
sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli. Allora la
prese il secondo e poi il terzo e così tutti e sette morirono senza lasciare
figli. Da ultimo morì anche la donna. La donna dunque, alla risurrezione, di
chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie».
Gesù rispose
loro: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che
sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non
prendono né moglie né marito: infatti non possono più morire, perché sono
uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio.
Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto,
quando dice: “Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe”.
Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui».