Terzo
ciclo
Anno
liturgico C (2009-2010)
Tempo
Ordinario
30a
Domenica
(24 ottobre
2010)
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Sir
35,15-17.20-22; Sal 33; 2Tm 4,6-8.16-18; Lc 18,9-14
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Con la
parabola del fariseo e del pubblicano Gesù illustra un altro aspetto del
mistero della preghiera. Nel tempo della storia, stando davanti a Dio, gli
uomini non si possono suddividere tra giusti e peccatori, ma necessariamente
soltanto tra quanti presumono di ritenersi giusti e quanti si ritengono
peccatori. Il giudizio dei cuori spetta a Dio e la parabola illustra proprio la
verità di quel giudizio, che rivela la verità essenziale dei cuori.
Non si
tratta evidentemente di disprezzare le pratiche buone, tanto più quelle
inerenti al culto, che del resto procedono dai comandamenti di Dio, ma di
svelare la condizione che rende quelle pratiche gradite a Dio e portatrici di
frutto per il cuore dell’uomo.
Il brano del
Siracide ci offre indicazioni preziose. Il passo tratta delle offerte al tempio
e mette in guardia il credente dal presentare al Signore vittime ingiuste, sottolineando che “il Signore è giudice e per lui non c’è preferenza di persone (letteralmente:
la gloria della persona non è nulla davanti a lui)”. Uno può offrire vittime
ingiuste in tre modi: a) praticare il rito dell’offerta materialmente senza
impegnare la propria vita convertendosi; b) portare una vittima sottratta al
povero, frutto quindi di ingiustizia e oppressione; c) presentare una vittima difettosa.
Il Signore, che è giudice, vede i cuori e non si lascia ingannare da nessuna
gloria esteriore.
Quando il
fariseo proclama la sua giustizia,
non dice cose false, ma non è retto il suo cuore, perché interpreta la sua
giustizia come una gloria da esibire e Dio, per il quale la gloria delle
persone non conta nulla, non può accogliere la sua offerta. Il fariseo offre
una vittima difettosa.
Ma la
ragione più profonda della non accoglienza della sua preghiera è un’altra.
Basta mettere a confronto la preghiera del fariseo con quella che Gesù innalza
al Padre al ritorno dei discepoli da una missione di predicazione: “Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e
della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai
rivelate ai piccoli” (Mt 11,25). Almeno tre sono le differenze vistose: la
preghiera di Gesù prorompe da un’intimità goduta, esprime solidarietà con Dio e
con gli uomini, celebra Dio e non l’uomo. Quella del fariseo è appiattita sull’esteriorità
esibita, fa rimarcare la separazione, celebra l’uomo e non Dio. Se nella
preghiera di Gesù Dio è benedetto come Padre, in quella del fariseo, la
caratteristica che manca, è proprio la proclamazione della sua paternità.
Nella
preghiera del Padre Nostro, tutte le richieste sono dirette a Dio, eccetto una
: “... come noi li rimettiamo ai nostri debitori”. A questa richiesta che ci fa
Dio rimanda la conclusione della parabola di Gesù: “chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato”
(Lc 18,14). Chi è profondamente consapevole del suo peccato e chiede a Dio il
perdono, come dice il pubblicano: “O Dio,
abbi pietà di me peccatore”, non ha bisogno di smarcarsi dagli altri, non
avverte nemmeno che qualcuno sia in difetto verso di lui. Ed è solo a partire
da questa consapevolezza che, risalendo all’indietro nella preghiera del Padre
Nostro, chiediamo di nutrirci del Pane di vita, di accogliere, come desiderio e
criterio supremo di condotta del cuore, il mistero di benevolenza di Dio per
gli uomini, di farci guidare dallo Spirito e di cercarne il regno, di vivere in
maniera che il Nome di Dio sia costantemente glorificato ed allora, come Gesù,
potremo chiamare Dio Padre. Questo,
il fariseo, non lo può fare. Ma se non fa questo, come può essere gradita la
sua preghiera? In realtà la preghiera non tende ad altro se non a far sì che
sia rivelata al nostro cuore la verità di Dio, cioè che è Padre.
La
difficoltà per noi, provati dalla vita, affaticati e oppressi, sta nel fatto
che non è così semplice presentarci davanti a Dio in tutta sincerità da
peccatori, come fa il pubblicano della parabola. Vorremmo comunque poter
esibire qualcosa di buono o rivendicare qualcosa che ci sarebbe dovuto; eppure,
così facendo, non conosceremo mai la vera confidenza in Dio. Sembra questa la
ragione per la quale Gesù ci invita a fare credito al prossimo per ottenerlo
davanti a Dio.
Il movimento
della preghiera non è quello di esibire qualcosa per convincere Dio a venire da
noi, bensì quello di confidare nella sua offerta di salvezza, nella sua
prossimità. Un passo del profeta Isaia lo esprime chiaramente: “Su chi volgerò lo sguardo? Sull’umile e su
chi ha lo spirito contrito e su chi trema alla mia parola” (passo, che la
versione greca rende con: “Su chi volgerò lo sguardo? Sull’umile e sul mite…”
(Is 66,2). E non è Gesù colui che di sé dice: “Venite a me … e imparate da me, che sono mite e umile di cuore” (Mt
11,28-29)? Così, se Gesù è l’offerta di salvezza da parte di Dio, non c’è alcun
bisogno di esibire alcunché davanti a Dio; di conseguenza, non c’è più alcun
bisogno di separarci dai nostri fratelli, perché possiamo godere insieme la
salvezza di Dio. Più un uomo si loda e più piccola è l’immagine di Dio che
coltiva; più un uomo si distingue e si separa dagli altri, meno conosce la
dolcezza che viene dalla salvezza di Dio.
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I TESTI DELLE LETTURE:
Prima Lettura (Sir 35,15-17.20-22)
Il Signore è
giudice
e per lui
non c’è preferenza di persone.
Non è
parziale a danno del povero
e ascolta la
preghiera dell’oppresso.
Non trascura
la supplica dell’orfano,
né la
vedova, quando si sfoga nel lamento.
Chi la
soccorre è accolto con benevolenza,
la sua
preghiera arriva fino alle nubi.
La preghiera
del povero attraversa le nubi
né si quieta
finché non sia arrivata;
non desiste
finché l’Altissimo non sia intervenuto
e abbia reso
soddisfazione ai giusti e ristabilito l’equità.
Salmo Responsoriale
(Salmo 33)
Il povero
grida e il Signore lo ascolta.
Benedirò il
Signore in ogni tempo,
sulla mia
bocca sempre la sua lode.
Io mi glorio
nel Signore:
i poveri
ascoltino e si rallegrino.
Il volto del
Signore contro i malfattori,
per
eliminarne dalla terra il ricordo.
Gridano e il
Signore li ascolta,
li libera da
tutte le loro angosce.
Il Signore è
vicino a chi ha il cuore spezzato,
egli salva
gli spiriti affranti.
Il Signore
riscatta la vita dei suoi servi;
non sarà
condannato chi in lui si rifugia.
Seconda Lettura (2Tm 4,6-8.16-18)
Figlio mio,
io sto già per essere versato in offerta ed è giunto il momento che io lasci
questa vita. Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho
conservato la fede. Ora mi resta soltanto la corona di giustizia che il
Signore, il giudice giusto, mi consegnerà in quel giorno; non solo a me, ma
anche a tutti coloro che hanno atteso con amore la sua manifestazione.
Nella mia prima
difesa in tribunale nessuno mi ha assistito; tutti mi hanno abbandonato. Nei
loro confronti, non se ne tenga conto. Il Signore però mi è stato vicino e mi
ha dato forza, perché io potessi portare a compimento l’annuncio del Vangelo e
tutte le genti lo ascoltassero: e così fui liberato dalla bocca del leone.
Il Signore
mi libererà da ogni male e mi porterà in salvo nei cieli, nel suo regno; a lui
la gloria nei secoli dei secoli. Amen.
Vangelo (Lc 18,9-14)
Dal vangelo
secondo Luca
In quel
tempo, Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima
presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri:
«Due uomini
salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano.
Il fariseo,
stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come
gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano.
Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che
possiedo”.
Il
pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al
cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”.
Io vi dico:
questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque
si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».