Terzo ciclo
Anno liturgico C (2009-2010)
Tempo Ordinario
2a Domenica
(17 gennaio 2010)
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Is
62,1-5; Sal 95; 1Cor 12,4-11;
Gv 2,1-12
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Il brano evangelico di oggi termina con
questa annotazione: “Questo, a Cana di
Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e
i suoi discepoli credettero in lui”. Se ci rifacciamo a Gv 1,14: “E il Verbo si fece carne e venne ad abitare
in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio
unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità”, ci possiamo
domandare: che cosa hanno visto i discepoli, a Cana, di questa gloria? Quando
Giovanni usa il termine ‘segno’, non intende riferirsi al miracolo come se si
trattasse di vedere la potenza straordinaria di Gesù in atto; allude a un’altra
cosa, a qualcosa che sia in relazione con la ‘gloria’.
Possiamo afferrare meglio la
rivelazione di Cana se incastoniamo l’episodio nella narrazione di Giovanni.
Gli eventi che intercorrono dal riconoscimento di Gesù da parte di Giovanni
Battista al Giordano fino alle nozze di Cana sono racchiusi nello spazio di una
settimana, la settimana della nuova creazione, in riferimento alla settimana
della creazione narrata dalla Genesi. L’episodio di Cana segue il
riconoscimento di Gesù da parte di Natanaele, il quale segue quello da parte di
Andrea e Giovanni, i quali seguono quello di Giovanni Battista. Per cogliere la
portata del miracolo di Cana, bisogna percepire la densità di quel ‘andarono e videro’ di Andrea e Giovanni,
i quali svelando a Pietro tutta l’emozione che li abitava riferiscono la loro
scoperta in questi termini: ‘abbiamo
trovato il Messia’. E ancora, bisogna intuire la sorpresa di Natanaele, che
risiedeva proprio a Cana, quando Gesù gli si rivolge con quelle parole: ‘vedrai cose più grandi di queste!’.
Tutti i segni che Gesù compie sono collocati nella scia di questo ‘vedere cose
più grandi’ fino alla rivelazione suprema, con la morte e risurrezione di Gesù,
allorquando le ‘cose più grandi’ sono ormai le ‘cose ultime’, definitive,
supreme, a partire dalle quali tutto prende senso e splendore. La sua ‘gloria’
finalmente è svelata in tutto il suo splendore, la gloria del suo amore per gli
uomini.
I segni
sono dunque in relazione con la gloria
dentro un movimento di rivelazione di cose sempre più grandi fino alla
rivelazione suprema, la morte/risurrezione di Gesù. I segni sono allora gesti
simbolici che hanno la funzione di indicare che in Gesù si realizza l’evento
escatologico (“In verità, in verità io vi
dico: vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sopra il
Figlio dell’uomo”, compiendo il sogno di Giacobbe di Gen 28,17); invitano
tutti gli uomini a percepire la filiazione divina di Gesù, come dirà Giovanni
alla fine del suo vangelo riferendosi ai segni che ha descritto nella sua
narrazione: “Ma questi sono stati scritti
perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo,
abbiate la vita nel suo nome”. Il mistero di Gesù allude al mistero della
Trinità, la quale si rivela nel suo amore agli uomini tramite Gesù e nel dono
dello Spirito Santo che ci rende atti a vivere di e dentro quell’amore.
A Cana Gesù viene invitato alle nozze,
simbolo dell’antica alleanza. Ma manca il vino, quello che solo il Messia
avrebbe portato, il vino simbolo dell’amore e della gioia, compimento delle
promesse di Dio al suo popolo. Se ne accorge sua madre, che appartiene
all’antica alleanza, ma la cui fedeltà a Dio la rende capace di vedere in Gesù
il Messia, per cui si rivolge fiduciosa ai servi: “Qualsiasi cosa vi dica, fatela”. Gesù, che fa riempire d’acqua le
giare e fa attingere e portare in tavola, realizza il passaggio dall’antica
alla nuova alleanza con il dono del vino che simboleggia l’esperienza diretta e
personale, nella gioia e nell’amore, della relazione tra Dio e l’uomo: “Perché la legge fu data per mezzo di Mosé,
la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo” (Gv 1,17). Non per
nulla, l’episodio che segue alle nozze di Cana è la purificazione del Tempio a
Gerusalemme da parte di Gesù che scaccia venditori e cambiamonete. Quello che
la legge prometteva, Gesù lo rende possibile in sovrabbondanza; quello a cui
anelava il cuore dell’uomo ora diventa vivibile, gustosamente esperibile:
l’uomo vive finalmente la pace con il suo Dio, in un amore ritrovato e
condivisibile. E questo si vedrà proprio nella sua ‘ora’ quando dalla croce
risplenderà il suo amore infinito, amore che con il dono dello Spirito Santo
diventa radice di vita e di azione nel suo discepolo e segno di Dio per il
mondo intero.
Il miracolo di Cana con la
trasformazione dell’acqua in vino, mentre allude al passaggio dalla Legge alla
Grazia, allude anche al mistero dell’intelligenza delle Scritture. Tutte le
Scritture parlano di lui (‘Voi scrutate
le Scritture pensando di avere in esse la vita eterna: sono proprio esse che
danno testimonianza di me’, Gv 5,39): tutte le parole alludono alla Parola
fatta carne. E quando si incomincia a intravedere questa tensione profonda che
percorre tutta la Scrittura, allora si passa dal bere l’acqua al gustare il
vino. Così come nel compiere i comandamenti di Dio: un conto è praticarli
materialmente, un conto è praticarli cogliendo l’ispirazione e la rivelazione
di vita che comportano.
L’immagine di fondo è quella delle
nozze, a illustrare il mistero della comunione di Dio con l’uomo. Le nozze
alludono al compimento dei desideri del cuore ormai abitati dal desiderio di
Dio che ci è venuto incontro, che ci ha guadagnati al suo amore e che ci ha
conquistati al suo splendore.
Quest’ultimo aspetto è ben delineato
nel brano di Isaia che descrive Dio come lo Sposo che gioisce della sua sposa,
la quale passa da una percezione di angosciosa solitudine, di ‘abbandonata’,
all’emozione di essere svelata a se stessa in una dolcezza di riposo perché
‘sposata’ ( forse, meglio: ‘abitata in dolcezza’). La percezione di quella
nuova realtà, di cui è indegna, ma di cui gode nell’intimo, grata e consegnata,
costituisce il contenuto del nome nuovo con la quale è chiamata.
Così possiamo pregare con la chiesa: “…
la santa chiesa sperimenti la forza trasformante del suo amore e pregusti nella
speranza la gioia delle nozze eterne” allorquando tutti ci relazioneremo come
figli di Dio nell’esperienza assoluta e sovrana dell’amore di Dio per noi.