Terzo
ciclo
Anno
liturgico C (2009-2010)
Tempo
Ordinario
24a Domenica
(12 settembre
2010)
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Es
32,7-14; Sal 50; 1Tm 1,12-17;
Lc 15,1-32
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Oggi viene
proclamato il capitolo 15 di Luca, il vangelo della misericordia in parabole.
Le parabole della pecorella smarrita e del padre misericordioso che si rallegra
del ritorno del figlio prodigo sono forse tra quelle che più hanno segnato
l’immaginario interiore cristiano. In esse la coscienza cristiana ha colto
qualcosa di potente dell’assoluta verità di Dio.
Le parabole
esemplificano la dinamica tipica dell’amore di Dio che si dà pena per i suoi
figli, emersa con la lettura dell’Esodo. È vero, come dirà Gesù, che Dio può
far nascere figli perfino dalle pietre (cfr. Lc 3,8). Ma è ancora più vero che,
per quanto indegni e ribelli, i figli che Dio preferisce sono quelli in carne
ed ossa, quelli che siamo, che rimprovera ma di cui continua ad avere premura.
Mosè ha interceduto e Dio si è lasciato commuovere. Sembra paradossale che sia
Mosè a ricordare a Dio i segreti del Suo cuore! Ebbene, Gesù, morto e risorto
per noi, è il sigillo ultimativo di quella Volontà di bene di Dio.
Ciò che le
parabole sottolineano, come la ragione convincente per il nostro cuore della
fiducia che merita l’amore di Dio, è una cosa sola: la gioia di Dio nel suo
essere misericordioso. Gesù non si cura degli angeli (le 99 pecore al sicuro,
secondo l’interpretazione dei Padri) ma va in cerca dell’uomo peccatore e la
sua gioia sta proprio nella compagnia dell’uomo che ha ritrovato tanto da
condividerla con gli angeli. Il padre della parabola esprime la sua gioia nel
veder il figlio prodigo ritornare al quale fa festa e nel desiderio di
condividerla con il figlio maggiore. Il mistero a cui alludono queste parabole
è l’eterno, solidale, amore di Dio per l’uomo, amore che non può non essere
amore di misericordia perché l’uomo si è perso. Su quell’amore è costruito
l’universo, in quell’amore consiste la gioia di Dio e non in altro.
Come ripete
la seconda lettura: “Cristo Gesù è venuto
nel mondo per salvare i peccatori, il primo dei quali sono io” e proclama
il canto al vangelo: “Dio ha riconciliato
a sé il mondo in Cristo” (2Cor 5,19). La luminosità e il calore che si
sprigionano per il cuore dell’uomo quando si rende conto di questa realtà, che
in Gesù si fa evidente, derivano appunto dal percepire la gioia di Dio nel suo
accogliere e andare incontro all’uomo peccatore. Gesù, che vuole rispondere
alle critiche dei farisei sulla sua condotta, con le sue parabole intende
svelare il mistero di Dio, il mistero del suo cuore. Ricordo che la parabola
della pecora perduta e ritrovata è l’annuncio evangelico della festa del SS.
Cuore di Gesù.
Il nostro
cuore, invece, irretito nelle illusioni del peccato, è più aspro di quello di
Dio; crede di salvare una specie di nobiltà teorica condannandosi,
rinchiudendosi in una condanna sfiduciata. Allora è il momento di ricordargli
che Dio è più grande e se il cuore lo riconosce esce dalla sua solitudine, si
umilia e ritrova speranza, perché può consegnarsi fiducioso a quell'amore di
misericordia di cui le tre parabole di oggi illustrano il mistero e la tipica
realtà di cui siamo invitati a fare esperienza. Quando allora il nostro cuore
cede alle condanne e ai disprezzi, vale la supplica della preghiera dopo la
comunione: “La potenza di questo sacramento, o Padre, ci pervada corpo e anima,
perché non prevalga in noi il nostro sentimento, ma l’azione del tuo santo
Spirito”.
Possiamo
aggiungere due costatazioni. La prima. Dio preferisce la sua gioia alla sua
giustizia. “Io vi dico: così vi sarà
gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove
giusti i quali non hanno bisogno di conversione” (Lc 15,7). Ora, tutti i
nostri pensieri di autocondanna, di paura, di disprezzo di noi e degli altri,
feriscono l'amore di Dio perché gli rendono impossibile la gioia. Ogni
autocondanna è una incomprensione di Dio. Ogni condanna, di sé e degli altri, è
un'incomprensione profonda del cuore di Dio: come non sapere quello che gli
procura gioia?
Seconda
costatazione. Chi sono i giusti? Nell'interpretazione spirituale dei Padri i
novantanove giusti lasciati sui monti sono gli angeli. Ma sono anche coloro
che, come gli angeli, adorano e lodano e gioiscono con Dio. Sono cioè coloro
che gioiscono con Dio quando un peccatore ritorna, quando un uomo si pente. Di
qui il criterio di discernimento della bontà, che ci rende 'sim-patici' di Dio,
vale a dire degli stessi sentimenti di Dio: un cuore è buono quando gioisce del
bene del fratello. Gioire della virtù di un fratello più che per la propria è
segno di un cuore puro, ormai conquistato dalla bontà di Dio. Gioire per un
altro rende intimi di Dio.