Terzo ciclo

Anno liturgico C (2009-2010)

Tempo Ordinario

 

21a Domenica

(22 agosto 2010)

 

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Is 66,18-21;  Sal 116;  Eb 12,5-13;  Lc 13,22-30

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Sembra che il Signore disattenda molte domande degli uomini. Abbiamo ascoltato nel vangelo: “Un tale gli chiese: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?»” (cfr. anche At 1,6; Lc 10,29; Gv 21,21). Il fatto è che facciamo spesso domande inutili, devianti, illusorie. E se Gesù non risponde a domande mal poste, nemmeno noi dobbiamo cercare di comprendere le sue risposte a partire dalle nostre domande mal poste.

Luca aveva appena illustrato la potenza del Regno con le parabole del granello di senape e del lievito. Ora ne mostra l’accessibilità, aperta a tutti ma non scontata, tanto che restiamo stupiti delle immagini ‘dure’ che Gesù usa. Fatichiamo a capire il suo linguaggio. Usa l’immagine della porta stretta, dei pochi che possono oltrepassarla, della severità del padrone (cfr. anche Lc 19,22.27) che si rifiuta di far entrare i ritardatari nella sala del regno, del sovvertimento dei giudizi usuali: “Ed ecco, vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi”.

Possiamo lasciarci condurre da due riferimenti che troviamo nella liturgia di oggi. Anzitutto dal canto al vangelo: “Io sono la via, la verità e la vita, dice il Signore; nessuno viene al Padre se non per mezzo di me”. Poi dal brano di Isaia, conclusione dell’intero libro, che allude alla riunione dei popoli con l’Israele di Dio. Il profeta parla nel periodo della ricostruzione del tempio (535-520 a.C.) dopo il ritorno da Babilonia sottolineando espressamente che tutti i popoli sono ‘adatti’ alla santità di Dio dal momento che i sacerdoti saranno scelti anche al di fuori della discendenza di Aronne e della discendenza israelitica. In ragione di cosa? Ciò che è gradito a Dio è la docilità e questa vale per tutti, anche per i pagani, come il profeta aveva proclamato: “Su chi volgerò lo sguardo? Sull’umile e su chi ha lo spirito contrito e su chi trema alla mia parola” (Is 66, 2).

L’espressione di Gesù: “Ed ecco, vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi” non vuol suggerire che ci sono differenze tra gli eletti né tanto meno ai pochi o ai tanti che si salvano né pretende far sapere chi siano i preferiti. Si riferisce invece al fatto che davanti all’offerta di salvezza da parte di Dio non c’è distinzione di persone; tutti siamo ugualmente destinatari di quell’offerta e guai a chi ritiene di avere un titolo speciale da avanzare perché non verrà riconosciuto. In primo piano, all’inizio della nostra storia come alla fine, davanti a me come davanti a tutti, ora e sempre, è lo sconfinato amore di benevolenza di Dio che vuole che ciascuno e tutti siano salvi. Chi si concepisce in riferimento ad altro si condanna.

L’espressione è anche da mettere in riferimento alla prima risposta di Gesù: “Sforzatevi di entrare per la porta stretta”. Se è inutile indagare sul numero degli eletti, se non può valere alcun titolo di pretesa o di rivendicazione, l’unica cosa da sapere è per dove passare e ottenere la salvezza.

Lo sforzatevi allude a quello che poi s. Paolo chiamerà il combattimento della fede, a quello che i nostri padri chiameranno la lotta spirituale, la battaglia dello spirito. Senza questa ‘tensione’ interiore non si arriva a nulla, non si porta nulla a compimento. Ma di quale compimento in realtà si tratta? Della nostra ‘nascita dall’alto’, per il dono dello Spirito, fino a poter dire con Paolo: “Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me. E questa vita, che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me” (Gal 2,20). È la nascita al Regno, descritto da Gesù come un banchetto, per sottolineare il mistero della pienezza e dell’intimità dell’amore che hanno conquistato il cuore. L’immagine ha una valenza escatologica, non tanto però per indicare quello che avverrà alla fine dei tempi, ma per mostrare che quella ‘fine’ dei tempi è venuta a visitare il cuore e a far assaporare la densità dei misteri di Dio.

La tensione interiore si rivela in tutta la sua potenza proprio nel punto di passaggio che permette l’accesso al regno. E il punto di passaggio non può essere che lo stesso Signore Gesù. Lui è la porta stretta attraverso la quale dobbiamo passare. È detta stretta perché ha la preferenza di Dio e non nostra, perché esprime la sapienza che viene dall’alto che è contraria alla sapienza del mondo di cui siamo impastati, rivela il sentire di Dio che si oppone al sentire della nostra carne. Ma è una strettezza che prelude al passaggio della vita, proprio come per un bambino il quale, per nascere, deve passare per la porta stretta. E non per nulla in Gesù si parla di nuova nascita perché soltanto a partire di lì scopriamo il nostro essere secondo quell’abbondanza di vita alla quale aneliamo sconfinatamente.

Il luogo di passaggio è indicato anche dal profeta Isaia, sebbene velatamente, là dove dice: “con le loro opere e i loro propositi. Io verrò a radunare tutte le genti e tutte le lingue”, reso invece, secondo un’altra traduzione: “Io sarò i loro atti e i loro pensieri …”, “Sono io che motiverò i loro atti e i loro pensieri …”, intendendo: quando Dio diventa la fonte di ogni nostro atto e di ogni nostro pensiero, saremo passati attraverso quella porta stretta che conduce al regno della vita. E la strettezza, almeno per il nostro uomo esteriore, è descritta sempre dal profeta come sopra riportavo: “Su chi volgerò lo sguardo? Sull’umile e su chi ha lo spirito contrito e su chi trema alla mia parola” (Is 66,2). Ma scegliere l’umiltà e il cuore contrito significa scegliere il Signore Gesù, che di sé dice: “Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero” (Mt 11,28-29).