Terzo ciclo

Anno liturgico C (2009-2010)

Tempo Ordinario

 

18a Domenica

(1 agosto 2010)

 

_________________________________________________

Qo 1,2; 2,21-23;  Sal 94;  Col 3,1-5.9-11;  Lc 12,13-21

_________________________________________________

 

La risposta di Gesù all’uomo che gli chiedeva di usare la sua autorità per ottenere giustizia in una questione di eredità svela l’intenzione nascosta di tante nostre domande: cercare giustizia non è forse un diritto? Ma tale domanda è evangelica? In altri termini: il cuore può trovare davvero soddisfazione? È fin troppo evidente che non si può vivere bene senza giustizia, ma quale giustizia assicura il vivere bene? La riflessione sapienziale della prima lettura, tratta dal libro del Qoelet, lo evidenzia molto bene: tutto è vanità. Vale a dire: è fatica vana cercare nei beni di questo mondo la felicità.

Come sempre, le risposte di Gesù fanno riformulare le domande in modo più pertinente. Che tipo di giudizio Gesù formula? Il suo giudizio non riguarda questo mondo, ma il mondo futuro, che però si gioca in questo mondo, come illustra anche la seconda lettura. L’uomo cerca i beni di questo mondo per vivere bene, ma – ricorda Gesù – il vivere bene non dipende dai beni di questo mondo. La parabola dell’uomo ricco che aveva accumulato molti beni, nel suo significato più immediato, è chiara. Corrisponde al senso di molti altri passi evangelici: che giova all’uomo guadagnare il mondo se poi rovina se stesso o muore? (cfr Lc 9,25). Non si tratta però di scegliere tra la povertà evangelica e la ricchezza, ma tra la cupidigia e la solidarietà: “Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio”. Ecco la domanda meglio posta: come arricchire davanti a Dio? In altre parole: quali beni permangono? Di quali beni va in cerca il nostro cuore?

Sembra che l’uomo non possa evitare questa contraddizione: i beni affascinano, ma non soddisfano; il regno di Dio soddisfa, ma non affascina, almeno come noi ci immaginiamo o vorremmo! La profondità della portata delle parole di Gesù risalta più avanti, nel v. 32: “Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno”. Contrapposto ai beni sta il Regno. Ma noi siamo ancora nella condizione di percepire la natura dell’offerta di Gesù con il suo parlare della benevolenza del Padre che in lui ci fa gustare il suo Regno? Riusciamo ancora a sognare cosa possa comportare l’invito: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo” (Mt 25, 34)? In effetti, si tratta di una rivelazione singolare, che risalterà ancora di più quando leggeremo domenica prossima il seguito del nostro brano.

La rivelazione di Gesù procede per due passaggi: prima risponde alla folla, poi ai discepoli. Rispondendo alla folla indica come la discriminante per la giustizia in questo mondo risulti dal fatto di stare solidali con l’umanità. Alla domanda: come ci si arricchisce davanti a Dio, la Scrittura dà una risposta univoca: dando al povero (Pr 3,27; Is 58,7). La solidarietà con chi è nel bisogno rende la vita degna di essere vissuta. Allora chi è il ricco? È colui che assomiglia a Gesù: “egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo...” (Fil 2,6-7). Dietro l’ammonizione di Gesù, si nasconde anche questa rivelazione.

Gesù continua poi a spiegarsi con i discepoli e risponde alla domanda: qual è la radice della confidenza nella vita? Sta forse nei beni di questo mondo? No! Sta nell’alleanza con Dio, la cui fruizione permette quel vivere bene che il nostro cuore cerca, a volte troppo affannosamente, solo nei beni di questo mondo. Se prima si sottolineava che i beni vanno condivisi, adesso si sottolinea che il bene vero è l’accoglienza del desiderio di prossimità all’uomo da parte di Dio, che in Gesù si fa manifesta: al Padre è piaciuto dare a voi il regno. Tutte le parole di Gesù sono l’eco di questa rivelazione. Qui si radica quella confidenza capace di aprire la vita, capace di aprirci alla vita, attraversando l’usura del tempo e l’inconsistenza dei beni. Qui si radica l’opposto di quella cupidigia che scardina il cuore dell’uomo e che rende la vita una battaglia persa per la felicità. Cercare prima di tutto il Regno è volere prima di tutto la compagnia di Dio, voler godere la benevolenza di Dio nella nostra vita. Godere la benevolenza porta ad offrirla, a condividerla, a vivere i beni nell’ottica di una benevolenza condivisa. Il segreto? La possibilità di imparare a percepire, nelle parole della voce che dice: “Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno”, la tenerezza con cui quella voce risuona. Come a dire: il cuore dell’uomo cerca una pienezza che nessuna delle ragioni del mondo soddisfa. Le ragioni del mondo non riescono a dare ragione delle ragioni del cuore. Solo in quella voce quelle ragioni trovano quiete.