Terzo
ciclo
Anno
liturgico C (2009-2010)
Tempo
Ordinario
17a Domenica
(25 luglio
2010)
_________________________________________________
Gen
18,20-32; Sal 137; Col 2,12-14;
Lc 11,1-13
_________________________________________________
La liturgia
ci introduce oggi al mistero della preghiera. Il brano di vangelo inizia con
l’annotazione che i discepoli vedono Gesù pregare. Cosa li ha dunque colpiti,
cosa ha affascinato i loro cuori nel vedere il loro maestro assorto in
preghiera da far nascere in loro una profonda nostalgia:“Signore, insegnaci a pregare”? La risposta di Gesù, con
l’insegnamento della preghiera del Padre
nostro, è estremamente rivelativa. Se Gesù insegna il Padre nostro, vuol dire che ciò che rendeva singolare la sua preghiera
era l’intensità di intimità con quel Padre
di cui custodiva i comandamenti, di cui annunciava la prossimità, di cui
svelava il volto, di cui mostrava la verità nell’amore all’uomo e di cui
suscitava la nostalgia in questo mondo.
La
profondità di tale rivelazione è svelata dalla preghiera di intercessione di
Abramo. Il brano è introdotto dal pensiero del Signore: “Devo io tenere nascosto ad Abramo quello che sto per fare, mentre
Abramo dovrà diventare una nazione grande e potente e in lui si diranno benedette
tutte le nazioni della terra?”, secondo la proclamazione del salmo: “Il Signore si confida con chi lo teme: gli
fa conoscere la sua alleanza” (Sal 25,14), che nel testo ebraico suona: “Il segreto (o l’intimità) del Signore è per
quanti lo temono”. Abramo, che si sente polvere e cenere, può parlare al
suo Signore da dentro l’alleanza che gli è stata offerta e alla quale ha aperto
il suo cuore in tutta fiducia.
Quando
intercede per Sodoma è come osasse richiamare il Signore alla sua dignità di giustizia e di misericordia,
come a lui si era rivelato. Abramo sapeva che non erano bastati otto giusti per
salvare l’umanità dal diluvio (nell’arca si
salvano Noè e quelli della sua
famiglia, otto in tutto). Nella sua intercessione si ferma dunque a dieci: se
ci fossero dieci giusti nella città, come potrà il Signore distruggerla,
proprio per riguardo a quei dieci? Ma l’umanità non ha dieci giusti, ne ha uno
solo: quel Figlio di Dio fatto uomo, l’unico Giusto. Sarà per riguardo a lui
che Dio abbandona la sua giustizia
per mostrare la sua misericordia.
Ogni preghiera si fa forte presso Dio per la forza di quel Giusto che costringe
Dio alla misericordia. Sarà quel Giusto a mostrare il volto di misericordia del
Padre.
La
tradizione ebraica è unanime nel riconoscere ad Abramo la condivisione dei
sentimenti di Dio tanto che sembra che il servo custodisca il senso
dell’alleanza in favore di tutti i popoli in modo più sollecito dell’Altissimo.
E in questo piace all’Altissimo. E in questo è il padre della fede. Negli
antichi racconti su Abramo si fa notare che quando un uomo prega con devozione
può star sicuro che la sua preghiera sarà esaudita, perché è detto: “Il desiderio degli umili tu sempre ascolti,
Signore, disponi il loro cuore, fai attento il tuo orecchio” (Sal 10,17).
Nessuno ha pregato con tale fervore come Abramo: “Lontano da te agire in questo modo, il far morire il giusto con
l’empio, così che il giusto sia trattato come l’empio; lontano da te!”.
Quando l’Altissimo vide come intercedeva perché non distruggesse il mondo, lo
lodò: “Tu sei il più bello tra i figli
dell’uomo, sulle tue labbra è stata versata la grazia” (Sal 45,3).
Quando Gesù
insegna la preghiera del Padre nostro,
l’allusione concerne la confidenza di Abramo con il suo Dio, concerne il volto
di misericordia del Padre per i suoi figli che quel Figlio dell’uomo incarna e
rivela. La forza della preghiera dipende dal contesto di confidenza con Dio che
fa leva sulla sua misericordia per i suoi figli. Potremmo commentare brevemente
le invocazioni del Padre nostro con le indicazioni dei nostri padri: possa il
tuo nome essere mantenuto santo in noi, nelle nostre menti e nelle nostre
volontà; venga per noi ora quel regno che hai promesso di dare ai tuoi santi: ‘venite, benedetti del Padre mio, ricevete in
eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo’ (Mt
25,34); quando chiediamo il nostro pane quotidiano stiamo chiedendo la vita
eterna in Cristo e l’essere una cosa sola con il suo corpo. E per sottolineare
la confidenza in Dio che ci può liberare dalla tentazione, Gesù racconta la
parabola dell’amico importuno.
Nella
tradizione cristiana si sottolinea costantemente che ogni nostra richiesta a
Dio, se non può essere ricondotta ad una domanda del Padre Nostro, non sarà esaudita. E tutte le richieste confluiscono
in una sola, come la conclusione della spiegazione di Gesù mostra chiaramente:
“ ... quanto più il Padre vostro del
cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono!”. Raramente
abbiamo coscienza nella nostra preghiera che questa sia la domanda essenziale.
Probabilmente, perché non abbiamo né coscienza dell’urgenza che ci agita dentro
né della confidenza di cui ci è dato l’accesso.
L’invadenza
dell’amico importuno fa pensare alla mancanza di ritegno della donna cananea
(cfr. Mt 15, 28), all’insistenza della vedova presso il giudice disonesto (cfr.
Lc 18,1-8). E dire che Dio esaudisce prontamente
le suppliche dei suoi eletti, quando la verità della storia è lì a provare il
contrario, come tutti ne facciamo amaramente esperienza, significa riconoscere
che solo la richiesta di Spirito Santo sarà esaudita. Vale a dire, sarà
esaudito l'anelito del cuore che non si accontenta delle cose che provengono da
Dio, ma che cerca proprio Dio, la confidenza con lui. Allora, per le cose di
cui abbiamo bisogno, prima che di richiesta, si tratta di affidamento.
Affidamento, che risalta in tutta la sua potenza nel riferirci a Dio come al
Padre, come Gesù ci ha insegnato e rivelato.
La
drammaticità della logica della preghiera (ottieni se chiedi, non
necessariamente ciò che chiedi) è la drammaticità di una relazione d’amore,
espressa proprio dalla preghiera di quel Giusto di cui viene detto: “Nei giorni della sua vita terrena egli offrì
preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime, a Dio che poteva salvarlo da
morte e, per il suo pieno abbandono a lui, venne esaudito. Pur essendo Figlio,
imparò l’obbedienza da ciò che patì” (Eb 5,7-8).