Terzo
ciclo
Anno
liturgico C (2009-2010)
Tempo
Ordinario
16a Domenica
(18 luglio
2010)
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Gen
18,1-10; Sal 14; Col 1,24-28;
Lc 10,38-42
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La lettura
della Genesi ed il brano di Luca sono accomunati da un atteggiamento di fondo
caratteristico: la sollecitudine. Abramo 'corre' per onorare i suoi ospiti;
Marta, presa dalla stessa sollecitudine, è tutta indaffarata nei molti servizi
per un'ospitalità degna dell'illustre Ospite, mentre Maria, con lo stesso
atteggiamento di sollecitudine anche se in modalità differente dalla sorella, è
tutta presa dall'Ospite dal quale non stacca occhi e orecchi. Da dove
scaturisce quella sollecitudine? Senza cogliere la radice di quella
sollecitudine, difficilmente possiamo avvertire il mistero che questi testi
illustrano.
Gesù intesse
l’elogio di Maria per rimproverare Marta? Dopo l’intervento della sorella e la
risposta di Gesù, Maria avrà continuato a stare ai piedi di Gesù? La finale del
brano riporta: “Maria ha scelto la parte
migliore, che non le sarà tolta”. Cosa significa: ‘non le sarà tolta’?
Semplicemente, che Gesù l’avrebbe lasciata stare ai suoi piedi e non l’avrebbe
comunque importunata invitandola ad aiutare la sorella nel servizio? Il vangelo
non riporta semplici annotazioni di cronaca quotidiana.
In effetti,
il fulcro dell’episodio sta appunto in quel ‘non le sarà tolta’, in quanto
rivela la ragione del fatto che la scelta di Maria è migliore (nel testo:
‘Maria ha scelto la parte buona’). L’allusione è al desiderio profondo del
cuore dell’uomo che è fatto per Dio e di cui brama vedere il Volto. Ciò che
sazia il cuore dell’uomo è la ‘conoscenza’ del suo Dio. L’elogio di Gesù si
riferisce ad un tempo in cui sarà Lui stesso a servire i suoi discepoli (cfr.
Lc 12,37). Ciò che non verrà mai meno e di cui si potrà godere in assoluto,
quello è la parte buona, l’unica cosa necessaria, quello di cui c’è bisogno. In
primo piano c’è Dio che viene incontro all’uomo, Dio che compie i desideri
dell’uomo, Dio che ristora l’uomo. La figura di Maria ai piedi di Gesù apre a
quella visione. Ma quella visione è percepibile se il cuore avverte la natura
del suo ‘ascoltare’, tutto teso a godere la verità dell’amore del suo Dio che
la nutre e la ristora. Così, la sua figura è figura di ogni discepolo, la
figura di ogni lettore/ascoltatore della Parola di Dio.
Quando Gesù
fa l’elogio di Maria, rivela la natura vera del servizio di Marta. In effetti,
due sono gli aspetti dell'ospitalità: la sollecitudine nel servizio e la
intimità con l'ospite. Dei due, la parte migliore è l'intimità, nel senso che è
l'intimità la forza e la finalità della sollecitudine, la quale serve a dare
concretezza all'intimità. Tutto converge verso l'intimità. Ma la domanda vera
per noi può essere: posso godere l'intimità senza aver mostrato la
sollecitudine? Volere l'intimità senza essere capace di sollecitudine non
suonerebbe forse come una pretesa, come una ricerca interessata, come un
privilegio esibito?
Nel rapporto
tra le due sorelle, che simboleggiano tutta la chiesa considerata unitariamente
nelle sue molteplici manifestazioni di doni e carismi, Maria deve ringraziare
Marta: può stare con il Signore senza che il Signore sia privato del dovuto onore;
e Marta può ringraziare Maria: può onorare il suo Signore senza che il Signore
sia lasciato solo.
In realtà la
suddivisione dei ministeri non comporta lo spezzettamento dell'unica cosa
necessaria, che resta sempre la medesima per tutti, in tutte le circostanze.
Quando gli apostoli hanno scelto di dedicarsi al ministero della parola e di
affidare ad altri il servizio delle mense, nel racconto degli Atti degli
apostoli, non hanno scelto di fare Maria piuttosto di Marta. L'esempio
testimoniale dell'unica cosa necessaria è dato da Stefano, incaricato del
servizio delle mense, che aveva il cuore rapito nella visione del suo Signore.
L’unica cosa necessaria non è l'opera migliore fra altre; è di altra natura: il
possesso di quell'unica cosa necessaria rende 'fruttuosa' ogni opera di
servizio. Fruttuosa, vale a dire capace di far sbocciare l'opera eseguita in
frutto di intimità. Come a dire, ancora, che il frutto dell'agire bene non è
semplicemente la virtù, ma la visione: aprire gli occhi del cuore alla conoscenza
del Signore, all'unione con il Signore che davvero ristora il nostro cuore. E
se il cuore è ristorato, allora, nel suo servizio ai fratelli, lascerà
intravedere 'quanto è buono il Signore', quanto è desiderabile il suo possesso.
In realtà, il senso stesso della sollecitudine del servizio consiste nel
permettere agli altri di desiderare l’intimità col Signore, che di quel
servizio è motivo e scopo.
Quando di
Abramo si descrive la sua sollecitudine per gli ospiti, in primo piano non sta
la sua virtù, ma la promessa di Dio che viene incontro all’uomo e lo rende
degno della sua accondiscendenza. Quello che il testo vuol far vedere è
l’accondiscendenza di Dio per il suo servo, capace di tener fede alle sue
promesse e di garantire al suo servo la verità della sua conoscenza, per lui e
per i suoi discendenti. Le antiche leggende ebraiche non fanno che sottolineare
questo aspetto nella fantasia dei particolari del racconto. Abramo è visitato
da Dio il terzo giorno dopo la sua circoncisione, segno dell’obbedienza al suo
Dio, quando è ancora sofferente. Il caldo era insopportabile perché nessun
viandante passasse a disturbare Abramo. Ma la cosa aveva reso Abramo molto
triste perché se non capitava nessuno non avrebbe potuto esercitare alcuna
ospitalità. Dio stesso decide allora di fargli visita e non vuole che nemmeno
si alzi per venirgli incontro perché era sofferente, dicendogli, anzi, che i
suoi discendenti, già all’età di quattro o cinque anni, staranno seduti nelle
scuole e nelle sinagoghe dove Lui dimorerà. Ma quando arrivano gli angeli in
veste di uomini, Abramo supplica il Signore di permettergli di andare loro
incontro per offrire ospitalità, preferendola alla compagnia stessa della Sua
Presenza. Tutti particolari che rivelano l’estrema accondiscendenza di Dio,
percepita come la benedizione perenne sul popolo che da Abramo prende
discendenza.
La colletta
della liturgia di oggi coglie bene la natura della sollecitudine che fa da
radice sia all’agire che all’ascoltare: “Padre sapiente e misericordioso, donaci
un cuore umile e mite, per ascoltare la parola del tuo Figlio che risuona
ancora nella Chiesa, radunata nel suo nome, e per accoglierlo e servirlo come
ospite nella persona dei nostri fratelli”. Poter avere un cuore umile e mite
significa poter partecipare all’umanità di quel Figlio che di sé dice: ‘Venite
a me voi tutti … che sono mite e umile di cuore’ (cfr. Mt 11,29). E partecipare
alla sua umanità significa poter godere dell’intimità del Figlio con il Padre e
poter esprimere nel proprio agire tutta l’accondiscendenza di Dio per l’uomo,
radice della nostra sollecitudine per i fratelli.