Terzo ciclo

Anno liturgico C (2009-2010)

Tempo Ordinario

 

11a Domenica

(13 giugno 2010)

 

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2Sam 12,7-13;  Sal 31;  Gal 2,16-21;  Lc 7,36-8,3

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Due sono gli episodi narrati nei vangeli a proposito di una unzione di Gesù da parte di una donna. Uno, riportato da Luca, nella casa di un fariseo, per mano di una donna peccatrice che piange sui piedi di Gesù e li asciuga con i suoi capelli e li cosparge di olio profumato insieme ai suoi baci. L’altro, a Betania, poco prima della passione: Matteo e Marco riferendo di una donna che versa sul capo di Gesù un olio profumato in casa di Simone il lebbroso; Giovanni, invece, riferendo di Maria, sorella di Lazzaro, che unge con nardo genuino i piedi di Gesù, suscitando la reazione dei discepoli, che gridano allo spreco.

Fermiamoci sull’episodio narrato da Luca; le sue accentuazioni sono assolutamente particolari. La donna non proferisce parola alcuna; non ne ha bisogno. Il suo cuore grida, come canta l’antifona di ingresso citando il salmo 26: “Ascolta Signore la mia voce: a te io grido. Sei tu il mio aiuto, non respingermi, non abbandonarmi, Dio della mia salvezza”. Lei gode della beatitudine descritta dal salmo responsoriale: “Beato l’uomo a cui è tolta la colpa e coperto il peccato. Beato l’uomo a cui Dio non imputa il delitto e nel cui spirito non è inganno”. I suoi sentimenti profondi riecheggiano nelle parole, sempre del salmo 26, dell’antifona alla comunione: “Una cosa ho chiesto al Signore, questa sola io cerco: abitare nella casa del Signore tutti i giorni della mia vita”.

Ciò che è avvenuto nel cuore di quella donna è ben descritto dalle parole di Paolo: “E questa vita, che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me” (Gal 2,20). La peccatrice perdonata non avrebbe potuto ancora esprimersi così, ma l’esperienza del cuore là la conduce. A tal punto l’amore ha toccato il cuore da non consentirle più di vivere se non dentro quell’amore, come Gesù le testimonia: “La tua fede ti ha salvata; va’ in pace!”.

Il centro della scena tuttavia non è dato dalle espressioni di amore della donna, pur così tenerissime ed espresse come se il mondo attorno non esistesse nemmeno, tanto era rapito il suo cuore, ma dal comportamento di Gesù che accoglie quelle manifestazioni, le sa leggere svelandone il dinamismo segreto. Il centro è dato dalla grazia dell’amore ricevuto, dall’amore di Gesù che ha toccato e sanato il cuore della donna peccatrice, secondo la verità proclamata dalle parole del canto al vangelo: “Dio ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati” (1Gv 4,10). È la scoperta di una vita! Lei ne ha fatto esperienza viva e tutti i suoi gesti, semplici e splendidi, rivelano proprio quell’esperienza.

Gregorio Magno annota che quella donna non poteva avere alcuna vergogna esteriore tanto era assorta nella sua vergogna interiore. Il fariseo non interviene per allontanarla perché non infastidisca l’ospite, in quanto si è reso conto dell’accondiscendenza silenziosa e mite di Gesù verso di lei. Lei non vede nessun altro se non Gesù; anzi, vede solo i suoi piedi, si è rannicchiata ai suoi piedi, piange e asciuga e bacia e unge di profumo i suoi piedi. In quei gesti passa tutta la sua anima; non ha bisogno di alcuna parola, di alcun sguardo: sente il cuore di Gesù come lui sente il suo. La scena è così potente che s. Ambrogio può interpretarla come immagine della Chiesa che risponde all’amore del Cristo. Nell’offerta del suo amore la Chiesa è peccatrice non perché ‘semper reformanda’, ma perché, come Cristo assume l’aspetto del peccatore, così la Chiesa prende la figura della peccatrice: è la Chiesa che ama in quella donna; è la Chiesa che ama in Paolo, che ama in Pietro, che ama nei suoi santi.

Quando Gesù racconta la sua parabola per illustrare al fariseo l’agire di Dio, è come se ricordasse che l’uomo non può dare in cambio a Dio qualcosa per saldare il suo debito. Non può dare nulla, ma il suo amore sì. E l’amore è più grande tanto più grande è la coscienza del proprio debito, perché Dio condona proprio tutto il debito. Tra l’altro, l’episodio sembra rispondere all’accusa verso Gesù che è ‘un beone e un mangione, amico dei pubblicani e dei peccatori’. Sì, si tratta di quel ‘beone e mangione’ ma che conosce i segreti di Dio, che attende i cuori al varco e che svela a tutti la misericordia perdonante di Dio, perché questa è la sua gloria: vedere l’uomo riconciliato con Lui, convinto dal suo amore. L’esperienza appare sicuramente desiderabile, ma non è affatto scontata, tanto è vero che i pensieri del cuore degli uomini sembrano muoversi in altre direzioni. Tutto il racconto del vangelo mostra la difficoltà per gli uomini di accogliere la via di Dio. Ma non esiste un’altra via di Dio; la via è proprio Gesù, perché svela in verità il volto di Dio, dandoci la Sua vita, che è tutta la nostra vita.

Vale la pena di raccogliere ancora un’altra suggestione di s. Ambrogio. Solo l’episodio raccontato da Luca riporta il particolare delle lacrime: “Proprio per questo, forse, Cristo, non ha lavato i propri piedi, affinché noi glieli laviamo con le lacrime. Lacrime benedette, che non soltanto possono lavare la nostra colpa, ma anche bagnare i piedi del Verbo celeste, affinché i suoi passi abbondino dentro di noi”. Le lacrime non parlano soltanto della vergogna del nostro peccato, ma del desiderio di Dio che ha toccato il nostro cuore; parlano della bellezza del nostro cuore che è fatto per Dio e per rispondere al suo amore. Quando il mondo scompare, quando anche l’io non è più ingombrante, allora il cuore sta solo con il suo Signore e sa che può star lì perché il Signore si è fatto solidale con la nostra umanità peccatrice. Ed è per questo che quando ritorna alla vita quotidiana, un cuore siffatto non custodisce semplicemente in sé la grazia dell’incontro, ma si fa memoria vivente di quell’amore misericordioso per il mondo.