Terzo ciclo
Anno liturgico C (2009-2010)
Tempo di Natale
Natale di N. S. Gesù
Cristo
(25 dicembre 2009)
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Messa
della notte: Is 9,1-6; Sal 95; Tt 2,11-14;
Lc 2,1-14
Messa
dell’aurora: Is 62,11-12; Sal 96; Tt 3,4-7;
Lc 2,15-20
Messa
del giorno: Is 52,7-10; Sal 97; Eb 1,1-6;
Gv 1,1-18
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La liturgia natalizia, con i suoi tre
formulari della messa nella notte, all’aurora e di giorno, illustra il mistero
della nascita di Gesù a Betlemme nella luce di tre sguardi: lo sguardo del
profeta, lo sguardo del discepolo e lo sguardo dei testimoni oculari.
Anzitutto lo sguardo del profeta,
quello di Isaia. Il suo sguardo potente si affissa sulla promessa di Dio e
sulla visione di consolazione per il popolo. Se la promessa riguarda un bambino
che deve nascere: “un bambino è nato per
noi, ci è stato dato un figlio”, l’immagine di fondo dei brani è invece
un’immagine nuziale, che possiamo riassumere nell’espressione: “Nessuno ti chiamerà più Abbandonata, né la
tua terra sarà più detta Devastata, ma sarai chiamata Mia Gioia e la tua terra
Sposata, perché il Signore troverà in te la sua delizia e la tua terra avrà uno
sposo”. Dio è lo sposo che gioisce della sua sposa, la quale passa da una
percezione di angosciosa solitudine, di abbandonata
e sola, all’emozione di essere
svelata a se stessa in una dolcezza di riposo che la fa sentire abitata, mio compiacimento e sposata (forse,
meglio: abitata in dolcezza). La
percezione di quella nuova realtà, di cui è indegna, ma di cui gode
nell’intimo, grata e consegnata, costituisce il contenuto del nome nuovo con la
quale è chiamata. È la situazione dell’umanità dopo la nascita di quel Bambino
che è nato per svelare quanto è grande l’amore di Dio per l’uomo e come l’uomo
possa accogliere e vivere questo amore in tutta umanità.
Poi c’è lo sguardo del discepolo, di
Paolo, che nella sua lettera a Tito riassume la rivelazione del natale di Gesù
con le espressioni: “è apparsa la grazia
di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini”, “quando apparvero la bontà di Dio, salvatore nostro, e il suo amore per
gli uomini”. Con la nascita di Gesù, con il Figlio di Dio fatto uomo,
questa ‘apparizione’ è diventata visibile, toccabile. Potremmo intendere: proprio
la vita umana di Gesù rivela la bellezza di Dio; proprio la pratica di umanità
conforme alla volontà di Dio, in Gesù, racconta la salvezza e il progetto di
Dio su tutta l’umanità.
Infine c’è lo sguardo dei testimoni
oculari: la Vergine, gli angeli, i pastori. Gesù nasce povero, in condizioni
disagiate e senza riconoscimenti, nonostante la potenza delle immagini
messianiche che lo preannunciavano. La Vergine, sua madre, però, non gli ha
fatto mancare la grazia dell’umanità, quell’umanità che poi lui, da grande,
svelerà in tutta la sua portata divina nel suo passaggio pasquale. Gli angeli
svelano tutta la preferenza di Dio per l’umanità e la loro gioia deriva dalla
condivisione di questo segreto della creazione con il loro Dio. I pastori
rappresentano l’umanità che non possiede titoli di gloria o di merito. Sentiamo
l’emozione dei loro cuori, che passa ai loro piedi e riempie i loro occhi:
quando ritornano ai loro greggi a riprendere la vita di sempre hanno la
sensazione che la vita non può essere come quella di prima. Lo intuiamo dalla
gioia della condivisione con altri di quanto hanno sperimentato.
A dire il vero, la liturgia propone
nella messa del giorno un altro sguardo, quello dell’apostolo Giovanni, che
guarda alla storia da dentro una profondità inattingibile, la stessa vita
divina intratrinitaria. La particolarità però è che quella vita a noi appare
nell’umanità di quel Bambino, perché la luce del Natale rimanda alla Pasqua,
come un poema natalizio di s. Efrem canta: “Gloria al Nascosto che non potrebbe
essere intravisto con l’intelligenza, ma che si è reso palpabile nella sua
bontà tramite la sua umanità! La natura che non fu mai toccata, per le mani fu
legata e appesa, per i piedi fu fissata e crocifissa: come a lui è piaciuto, ha
preso corpo perché lo si potesse prendere”. Proprio a questo, con tutta la
potenza di rivelazione che comporta quanto all’amore di Dio per l’uomo, vanno
riferite le parole dell’apostolo Giovanni: “Dalla
sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia”. È la luce di
tale splendore, fonte della nostra dignità, che rifulge nel Natale. La luce, la
gioia, la pace che caratterizzano il clima della festività natalizia, tanto da
indurre pressoché tutti a riversarle nelle case, nelle strade, nelle città,
hanno a che fare proprio con quel Figlio, nato bambino, che vuol condividere
all’uomo il segreto di Dio.
Sempre s. Efrem canta: “Sia benedetto
Colui che ha fatto del nostro corpo una tenda per la sua Invisibilità! Sia
benedetto Colui che nella nostra lingua ha tradotto i suoi segreti!”.
Cosa hanno visto i pastori e tutti i
discepoli? Qualcosa che ha a che fare con l’apertura di un orizzonte e la
possibilità di una esperienza fino ad allora impraticabili: “Dio, nessuno l’ha mai visto: il Figlio
unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato”.
Quell’orizzonte e quell’esperienza costituiscono il dono natalizio della pace.
Se l’amore che ha originato quel dono è intravisto, allora si possono risanare
le ferite della storia, si è abilitati a costruire un altro tipo di storia, si
è raggiunti così nel profondo da non volere altro per sé e per tutti. È l’esperienza
che farà dire all’apostolo: se Dio ci ha dato il suo Figlio unigenito, come non
ci darà anche tutti gli altri beni? Come a dire: in lui potremo trovare tutti i
beni ai quali anela il nostro cuore. È il perenne annuncio profetico dei
credenti in Cristo al mondo.
Buon Natale a tutti!