Terzo ciclo
Anno liturgico C (2009-2010)
Tempo di Natale
Epifania del
Signore
(6 gennaio 2010)
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Is
60,1-6; Sal 71; Ef 3,2-6;
Mt 2,1-12
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Epifania vuol dire manifestazione. La
festa di oggi ingloba tre momenti della manifestazione del Signore: la
manifestazione di Gesù alle genti con la venuta dei magi; la manifestazione del
Signore all’inizio della sua carriera messianica con il battesimo al fiume
Giordano; la manifestazione del Signore con il primo miracolo alle nozze di
Cana. Recita l’antifona al Magnificat: “Tre prodigi celebriamo in questo giorno
santo: oggi la stella ha guidato i magi al presepio, oggi l’acqua è cambiata in
vino alle nozze, oggi Cristo è battezzato da Giovanni nel Giordano per la
nostra salvezza”. E l’inno ai Vespri canta: “I magi vanno a Betlem e la stella li guida: nella sua luce amica cercan
la vera luce. Il Figlio dell’Altissimo s’immerge nel Giordano, l’Agnello senza
macchia lava le nostre colpe. Nuovo prodigio a Cana: versan vino le anfore, si
arrossano le acque mutando la natura”. Ma ancora più significativa è
l’antifona al Benedictus: “Oggi la
chiesa, lavata dalla colpa nel fiume Giordano, si unisce a Cristo, suo Sposo;
accorrono i magi con doni alle nozze regali e l’acqua cambiata in vino rallegra
la mensa”.
Lasciando da parte ogni considerazione
sul battesimo di Gesù, la cui festa ricorre domenica prossima, immergiamoci nel
racconto dell’adorazione dei magi. Da
notare la differenza degli atteggiamenti dei vari personaggi in questione. I
magi non sanno ma il loro cuore si è mosso tanto che si mettono in viaggio,
arrivano a Gerusalemme, chiedono, cercano. Invece la Gerusalemme colta, gli scribi
e gli anziani, sa le cose ma non si muove. Se Erode sembra muoversi lo fa solo
per paura di perdere il potere e quindi in realtà non si muove per cercare in
verità. Sono i possibili atteggiamenti che può assumere l’uomo davanti al
mistero ed alla storia di Dio. I magi sono la figura della manifestazione di
Dio alle genti; portando i loro doni, si aprono al mistero di Dio (con l’oro
riconoscono la regalità misteriosa di quel ‘bambino nato per noi’, con
l’incenso riconoscono la sua divinità, con la mirra la sua umanità pronta a
soffrire la passione per la nostra salvezza) e permettono al loro cuore di
vedere la gloria di Dio. Fanno ritorno a casa loro per altra strada, come a
dire che chi si apre all’adorazione di Dio riscopre la casa propria in altro modo,
con altro sguardo, sotto altri orizzonti.
Questo mi induce a due osservazioni: 1)
se il Messia è promesso alle genti, di che cosa noi credenti siamo debitori al
mondo? Siamo debitori proprio della conoscenza del Signore. E questo debito
pende sulla nostra testa. Qui si ricollega la responsabilità della
testimonianza dei credenti di fronte al mondo; 2) se il Messia è promesso alle
genti, vuol dire che fin tanto che tutte le genti non l’hanno conosciuto, la
nostra stessa conoscenza del Messia è manchevole, resta limitata. Come in
amore: fin tanto che non ho trovato qualcuno che voglia bene a me, io non potrò
scoprire quello che sono in verità, quello che porto e di cui sono capace. Così
è con Dio. Fin tanto che tutti non l’hanno conosciuto, Dio non ha ancora avuto
modo di manifestarsi in tutta la sua ricchezza. Attendere questa
manifestazione, nel cuore di tutti, rende umili e adoranti e risponde al
comandamento dell’amore verso tutti, anche verso i nemici, finché la gloria di
Dio si manifesti compiutamente.
Quanto al mistero della trasformazione
dell’acqua in vino alle nozze di Cana (cfr. Gv 2,1-10), simbolo delle nozze del
Signore Gesù con l’umanità nostra, anche questo ha a che vedere con la
manifestazione della gloria di Dio nella nostra vita. Potremmo chiederci:
quando siamo acqua e quando siamo vino? Essere acqua significa accettare, sì, i
comandamenti del Signore, ma limitarsi all’esecuzione esteriore. Passare
dall’essere acqua al diventare vino significa passare dalla volontà di
osservanza del comandamento al gusto del frutto che il comandamento comporta.
La promessa nascosta in ogni parola di Dio è questa: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi
verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui” (Gv 14,23). Come a dire:
ogni comandamento ha un’ispirazione; senza cogliere tale ispirazione non
potremo mai gustare la promessa che è nascosta dentro ogni comandamento, la
promessa della conoscenza cordiale
del Signore, la promessa del gusto della sua compagnia. Come in un rapporto
d’amore. Non basta fare delle cose, neanche farle per l’altro; se non si coglie
l’ispirazione che muove il cuore ad agire, se non si coglie l’effetto che il
nostro agire ha sul cuore dell’altro, se non ci viene rimandata la gioia
dell’altro che coglie il movimento del nostro cuore, si resta acqua. Il vino
invece, dice la Scrittura, rallegra il cuore dell’uomo. E nel gustare quel
vino, il cuore si apre alla conoscenza della gloria del Signore: proprio quello
che i magi hanno sperimentato, che gli apostoli hanno testimoniato, di cui i
credenti in Cristo sono debitori al mondo. Nel Cristo divinità e umanità sono
inscindibilmente unite, Dio finalmente risplende nell’uomo e l’uomo risplende
del suo Dio. E se tutto diventerà più svelato
con la morte e risurrezione di Gesù, già però se ne può intravedere il mistero
fin dalla sua nascita dalla Vergine Maria, almeno per coloro che gli si
avvicinano con stupore e sanno vedere nelle parole e negli eventi che lo
riguardano gli indizi della sua gloria.