Terzo ciclo

Anno liturgico C (2009-2010)

Tempo di Natale

 

Battesimo del Signore

(10 gennaio 2010)

 

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Is 40,1-11;  Sal 103;  Tt 2,11-14; 3,4-7;  Lc 3,15-22

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Con la festa del battesimo di Gesù si chiude il ciclo natalizio. L’Avvento si era aperto con l’invocazione del profeta: “Se tu squarciassi i cieli e scendessi!” (Is 63,19). I cieli si sono effettivamente squarciati lasciando ‘piovere il Giusto’, come oggi la scena del Battesimo di Gesù fa intravedere: “il cielo si aprì e discese sopra di lui lo Spirito Santo in forma corporea, come una colomba, e venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento»”. I cieli che si aprono non preludono ad una visione del mondo celeste, ma alla discesa sulla terra dei beni divini, beni che dovevano caratterizzare il popolo di Dio dell’era messianica, dei quali il principale è proprio lo Spirito Santo, effuso su tutti, attraverso quel Figlio che lo possiede in pienezza.

Il simbolismo della colomba sembra alludere al carattere escatologico della visione che indica in Gesù il Messia e il punto di partenza della comunità messianica. Ricorda la colomba del Cantico dei Cantici, sposa di Yahvé e Giovanni Battista potrà poi esclamare: “Lo sposo è colui al quale appartiene la sposa; ma l’amico dello sposo, che è presente e l’ascolta, esulta di gioia alla voce dello sposo. Ora questa mia gioia è piena. Lui deve crescere; io, invece, diminuire” (Gv 3,29). Se nel racconto di Luca sembra che Gesù solo veda in visione la colomba, in quello di Giovanni anche il Battista vede lo Spirito discendere su Gesù sotto forma di colomba e comprende che Gesù aveva la missione di far apparire la colomba, cioè il nuovo popolo di Dio animato dallo Spirito Santo.

Il primo gesto di Gesù, nel dare inizio alla sua missione, è quello di stare solidale con i peccatori. Lui, l’Innocente, l’Agnello che toglie i peccati del mondo, è in fila con i peccatori per ricevere il battesimo di penitenza di Giovanni. Non ha bisogno del battesimo, eppure viene a farsi battezzare. Perché? Viene per celebrare il suo sposalizio: nella sua umanità oramai è lavata tutta l’umanità, che può stare unita a lui e godere, come lui, di quello Spirito che come colomba si posa sul suo capo, capo del suo corpo che siamo noi. Nessuno può ancora vedere lo Spirito però; solo Gesù, uscendo dalle acque, lo può vedere perché ne è ripieno ed anche Giovanni, che con quel battesimo dato a Gesù finisce la sua opera di battezzatore per lasciare posto a lui, al suo nuovo battesimo nello Spirito. La cosa si farà evidente a Pentecoste allorquando lo Spirito verrà effuso come lingue di fuoco sugli apostoli.

La chiesa prega che il Signore, come ha squarciato i cieli, si degni squarciare i nostri cuori perché anche a noi appaia, finalmente, in tutta la sua bellezza, il volto del Figlio di Dio, testimone supremo dell’amore di Dio per gli uomini. E come dice Paolo a Tito “… nell’attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo”, noi aspettiamo la manifestazione del Signore al nostro cuore in ogni circostanza della nostra vita, in ogni azione e non soltanto alla fine della vita. Come se pregassimo: “fa’ che possiamo vedere il volto del tuo Figlio, fa’ che il nostro cuore sia rapito dalla sua bellezza, apri il nostro cuore alle sue parole perché venga rivelato al nostro cuore il tuo amore e possiamo venire risanati, facci fare l’esperienza viva del tuo perdono perché possiamo vivere un corpo solo e un’anima sola con tutti, nel suo Spirito, ormai popolo nuovo”.

Tu sei il Figlio mio, l’amato”. Nelle Scritture si parla del figlio, l’amato, a proposito di Isacco, figlio di Abramo (Gen 22,2), quando Dio gli chiede la sua vita e nella parabola dei vignaioli assassini (Mc 12,6) quando il padrone della vigna pensa di mandare loro il figlio, che poi mettono a morte. Quell’aggettivo l’amato, se rivela la radicalità della fede di Abramo, rivela a maggior ragione la radicalità dell’amore di Dio per l’umanità.

L’aggiunta: “in te ho posto il mio compiacimento”, si può tradurre: ‘in te il mio Amore è perfetto’. In te, però, non è più solo rivolto al Figlio nella sua divinità, ma nella sua umanità: l’amore di Dio e dell’uomo si corrispondono ormai perfettamente. Oppure, si può anche tradurre: ‘in te la mia volontà si compie, perfetta’. E la volontà di Dio non è che l’amore per l’uomo e nella vita e nella persona di Gesù questo amore risplende nella sua radicalità e totalità. Se noi stiamo in lui, allora anche in noi la volontà del Padre si compirà perché anche in noi il suo amore risplenderà. È ciò che comporta l’essere nati dallo Spirito, il vivere mossi e guidati dallo Spirito di cui Gesù è ricolmo e che ci ha effuso con la sua morte e risurrezione. Proprio come s. Francesco di Assisi proclamerà della nostra vita in Cristo: “ciò che devono desiderare sopra ogni cosa è di avere lo Spirito del Signore e la sua santa operazione”.

La figura di Gesù, nel racconto del battesimo, è definita da tre termini: figlio/servo/agnello. Il compiacimento del Padre si risolve nel fatto che Gesù viene a fare la sua volontà, vale a dire fa riferimento all’obbedienza del servo che accetta fino in fondo il compito affidatogli, ma allude anche all’intimità ed alla libertà del figlio che condivide intensamente con il Padre la sua passione d’amore per gli uomini. Per noi accogliere i due riferimenti contemporaneamente è proprio difficile! Per noi la volontà di Dio non suona subito come una volontà di Bene, come un Bene che vuole condividere con noi, come una gioia di Bene che riposa i cuori e di Dio e degli uomini. Ma se riconosciamo lo splendore dell’amore di Dio che rifulge dal volto di quel figlio/servo/agnello, potremo anche noi, come lui e in lui, cogliere e compiere il volere di bene di Dio in favore degli uomini e godere della sua gioia che consiste nell’unire ‘i figli di Dio dispersi’. Quando il cuore dell’uomo non si lascia guidare da alcun’altra ragione nel suo agire, saprà che la fraternità con gli uomini è il supremo desiderio di Dio e il luogo di manifestazione del suo splendore. Così si compiono i misteri di Dio, così l’uomo torna alle radici della sua gioia, nel suo Dio. Cose misteriose, certo, ma veritiere e fondanti il senso stesso del nostro vivere e del nostro desiderare.