Terzo ciclo
Anno liturgico C (2009-2010)
Tempo di Natale
2a Domenica
(3 gennaio 2010)
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Sap
24,1-12; Sal 147; Ef 1,3-6.15-18; Gv 1,1-18
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Nelle liturgie natalizie non manca mai
il riferimento alla benedizione divina che in Gesù scende sull’uomo e che
dall’uomo sale copiosa a Dio. Gesù è il Dono fatto da Dio all’umanità e
contemporaneamente il frutto dell’umanità che nella Vergine raggiunge il suo
esito esemplare. Nelle sue poesie sul mistero del Natale s. Efrem lo sottolinea
egregiamente: “Maria è il giardino sul quale discese dal Padre la pioggia della
benedizione; di quella effusione lei asperse il volto di Adamo”. O ancora,
facendo parlare la stessa Madre di Dio, vede nel riferimento a Cristo lo scopo
supremo della vita, capace di una visione nuova, trasformante: “Se una madre ha
un bambino, questo diventa fratello del mio diletto. Se ha una figlia o una
congiunta, questa diventa la sposa del mio Signore. Colui che ha un servo, gli
conceda la libertà, affinché venga per servire il suo Signore … A causa tua una
serva diventa libera. Se una ti ama, c’è nel suo seno una invisibile
liberazione”.
Nel contesto di quel Dono fatto da Dio
all’umanità, che costituisce il mistero del Natale del Verbo di Dio in mezzo
agli uomini, va letto il primo capitolo della lettera agli Efesini. In quel suo
procedere solenne, spazioso, Paolo delinea l’orizzonte di benedizione nel quale
è compresa la vita dell’uomo: “Benedetto
Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni
benedizione spirituale nei cieli in Cristo. In lui ci ha scelti prima della
creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità,
predestinandoci a essere per lui figli adottivi mediante Gesù Cristo, secondo
il disegno d’amore della sua volontà, a lode dello splendore della sua grazia,
di cui ci ha gratificati nel Figlio amato”. Con l’attestazione
dell’apostolo Giovanni: “E il Verbo si
fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua
gloria”, che di quella benedizione fa l’oggetto specifico dell’esperienza
della vita.
Come a dire: se prima della creazione
del mondo, l’uomo è stato pensato da Dio in funzione della capacità di portare
la bellezza del Figlio di Dio, allora come non vedere nell’esperienza della
conoscenza di quel Figlio, ormai diventato Figlio dell’uomo, l’esito supremo
della vita, il compimento di ogni desiderio di verità e bellezza? È in ragione
di questa possibilità che l’annuncio evangelico si rivolge a tutti, a tutte le
genti, a tutto l’uomo. Quando s. Gregorio di Nissa si domanda quale sia quel
regno dei cieli che si trova dentro di noi (cfr. Lc 17,21) non può che
rispondere: “Di cos’altro si può trattare, se non della gioia che si riversa
dall’alto nelle anime tramite lo Spirito? Essa è come l’immagine, la garanzia e
la prova della gioia eterna di cui godranno le anime dei santi nel secolo che
attendono”. Proprio come chiediamo nella colletta della liturgia di oggi:
“Padre di eterna gloria … illuminaci con il tuo Spirito, perché accogliendo il
mistero del tuo amore, pregustiamo la gioia che ci attende, come figli ed eredi
del regno”. È la richiesta di fare anche noi l’esperienza dell’apostolo Giovanni:
“venne ad abitare in mezzo a noi e noi abbiamo contemplato la sua gloria”; di
entrare anche noi in quel circolo di benedizione che descrive Paolo: “Benedetto
Dio … che ci ha benedetti con ogni benedizione …”. A tal punto che, se davvero
quella benedizione è sopra di noi e sgorga profonda dal nostro cuore, come non
attraversare le afflizioni del vivere custoditi, come cercare altrove quello di
cui ha bisogno il nostro cuore, come avere paura di veder scemare la speranza
che portiamo, come volere dal prossimo quello che invece a lui dobbiamo nel
segno della condivisione di quella benedizione? Del resto è proprio questo
l’argomento e l’orizzonte della preghiera, luogo di adorazione e di memoria
perché e finché quella benedizione ci conquisti e conquisti il mondo con la sua
pace.