Terzo
ciclo
Anno
liturgico C (2009-2010)
Solennità
e feste
Tutti i Santi
(1
novembre 2010)
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Ap
7,2-4.9-14; Sal
23; 1Gv 3,1-3; Mt 5,1-12
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L’immagine
di fondo che caratterizza la liturgia di oggi è quella della comunità umana
unita come famiglia di Dio, nella lode e nell’adorazione dell’unico Dio e
Salvatore, in una gioia perfettamente condivisa tra gli uomini, gli angeli e
Dio stesso. Lo sguardo della Chiesa non è però attirato come da un punto di
fuga situato oltre la storia, come si trattasse di riempirsi gli occhi con una
visione consolatoria. La sua visione parla di un’esperienza quotidiana, quella
tipica della celebrazione eucaristica in cui, nel Corpo di Cristo presente
sull’altare, i fedeli si riconoscono membri della comunione dei santi
comprendente tutti coloro che, in ogni epoca, hanno creduto e vissuto in
Cristo. Parla di realtà ultima, ma vicina, più ‘reale’ delle cose di tutti i
giorni: un mondo che interpella e invita con soave insistenza. Parla al cuore
degli aneliti che lo assillano, delle radici che lo costituiscono, delle
tensioni che lo lavorano, dei desideri che l’abitano.
Penso
all’esperienza esaltante degli abitanti di Siena quando l’enorme pala (tre
metri per cinque) della Maestà di
Duccio da Buoninsegna fu scortata dalla bottega
dell’artista alla cattedrale in trionfo, tra gli applausi della cittadinanza e
posta sull’altare. La visione di tutti quei santi schierati a destra e a
sinistra del trono dove, in Maria, la natura umana viene rivelata come degna
dimora dello Spirito, portatrice del Figlio dell’Altissimo, doveva suscitare
l’impressione di trovarsi già partecipi della loro compagnia e del loro
tripudio. Oggi, forse, non avvertiamo più l’attrazione del cielo allo stesso
modo, ma la speranza, di cui era portatrice quell’attrazione, è ancora
necessaria per vivere e cogliere il senso della nostra vita.
Per noi,
oggi, la comunità dei santi attorno all’Altissimo, riuniti nella stessa lode e
nella stessa gioia, fornisce come le coordinate di senso alla responsabilità
della vita terrena. Non abbiamo altro modo di sconfinare nell’eterno se non
quello di giocare la nostra vita terrena, secondo tutto lo spessore di dignità
che comporta. L’immagine chiave di tale dignità è la realtà degli uomini come
‘figli di Dio’: “Carissimi, noi fin d’ora
siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo
però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo
vedremo così come egli è”. Quello che siamo, siamo chiamati a diventarlo: è
tutto il senso della vocazione umana. Così, mentre vediamo delinearsi, anche
solo per tratti sfumati, la gloria della santità compiuta nel Regno, che la
liturgia celebra solennemente, ci accorgiamo che quegli stessi tratti
caratterizzano la via per lambire la santità anche qui, nella nostra storia,
con il percorso che segue il nostro cuore per arrivare all’evidenza dell’amore
di Dio, motivo di purità per il nostro cuore, realtà di pacificazione e di
riconciliazione con tutti i nostri fratelli, figli di Dio allo stesso titolo
nostro, decisi a non perdere l’amore quando l’afflizione ci opprime. È la
santità del Regno che poco a poco conquista il cuore, come l’insieme delle
beatitudini mostra:
beati i poveri: beati coloro che non fanno consistere la loro
ricchezza che nell’essere figli di Dio, che non hanno nulla di più caro al
mondo se non quel Figlio che ha loro manifestato l’amore grande di Dio per l’umanità;
beati gli afflitti: beati coloro che non hanno lacrime più amare di
quelle versate quando dovessero allontanarsi dall’agire come figli di Dio e,
pentiti, ritornano al loro Signore, ritrovando la consolazione della
solidarietà con Dio e con gli uomini;
beati i miti: beati coloro che con pazienza sopporteranno ogni
prova per non venir meno al loro essere ed agire come figli di Dio, fin tanto
che la terra del loro cuore sarà tutta diventata cielo;
beati quelli che hanno fame e sete della giustizia: beati coloro il cui unico tormento
è quello di perseverare nella fedeltà all’essere figli di Dio, fin tanto che il
volto di Dio si manifesti al loro cuore e li consoli;
beati i misericordiosi: beati coloro che, avendo
sperimentato quanto è grande l’amore di Dio che li ha resi figli suoi, per sua
sola misericordia, saranno capaci di estendere a tutti la possibilità di tale
esperienza aprendo il loro cuore al perdono;
beati i puri di cuore: beati coloro che avranno
sperimentato la luce dell’amore di Dio in modo da collocare i loro cuori nella
luce e poter vedere tutto in questa luce;
beati gli operatori di pace: beati coloro che, come figli di
Dio, vivono nella dinamica dell’amore di Dio per gli uomini che vuole tutti
riconciliati; beati coloro che non hanno altro scopo nel loro vivere se non di
perseguire questa pace ottenutaci dal Figlio di Dio;
beati i perseguitati per causa della giustizia: è l’ottava beatitudine, quella che
ingloba le altre nel senso che di tutte rappresenta la condizione suprema:
qualsiasi cosa abbiate a soffrire, non vi turbi e non vi distolga dalla volontà
di vivere da figli di Dio, fiduciosi nella promessa del Signore, nella sua
parola che è potente, cioè capace di far vivere quello che indica.
Ci
ritroveremo così nel Cristo, nostro ‘ristoro’, come canta il versetto al
vangelo. Ma quel ‘ristoro’ allude alla creazione del riposo da parte di Dio nei
giorni della creazione e che Dio riverserà in pienezza alla fine dei tempi.
Dopo aver creato tutte le cose, il libro della Genesi dice: “Dio, nel settimo giorno, portò a compimento
il lavoro che aveva fatto” (Gen 2,2). Ma non era
più logico attendersi che avesse terminato la sua opera nel sesto giorno? Gli
antichi rabbini hanno concluso evidentemente che vi fu un atto di creazione
anche il settimo giorno: “Che cosa è stato creato il settimo giorno? La ‘menuchà’, la
tranquillità, la serenità, la pace e il riposo” (cfr. Gen
Rabbà, 10,9). È lo stato in cui non vi è contesa né
lotta, né paura, né diffidenza; è felicità, pace e armonia, vita eterna. Il
vangelo lo chiama ‘ristoro’, quello che il Signore Gesù farà gustare: “Venite a me, voi tutti che siete affaticati
e oppressi, e io vi darò ristoro” (Mt 11,28).
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I TESTI DELLE LETTURE (dal “Messale
Romano”):
Prima lettura Ap 7,2-4.9-14
Dal libro dell’Apocalisse di san
Giovanni apostolo
Io,
Giovanni, vidi salire dall’oriente un altro angelo, con il sigillo del Dio
vivente. E gridò a gran voce ai quattro angeli, ai quali era stato concesso di
devastare la terra e il mare: «Non devastate la terra né il mare né le piante,
finché non avremo impresso il sigillo sulla fronte dei servi del nostro Dio».
E udii il
numero di coloro che furono segnati con il sigillo: centoquarantaquattromila
segnati, provenienti da ogni tribù dei figli d’Israele.
Dopo queste
cose vidi: ecco, una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni
nazione, tribù, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e
davanti all’Agnello, avvolti in vesti candide, e tenevano rami di palma nelle
loro mani. E gridavano a gran voce: «La salvezza appartiene al nostro Dio,
seduto sul trono, e all’Agnello».
E tutti gli
angeli stavano attorno al trono e agli anziani e ai quattro esseri viventi, e
si inchinarono con la faccia a terra davanti al trono e adorarono Dio dicendo:
«Amen! Lode, gloria, sapienza, azione di grazie, onore, potenza e forza al
nostro Dio nei secoli dei secoli. Amen».
Uno degli
anziani allora si rivolse a me e disse: «Questi, che sono vestiti di bianco,
chi sono e da dove vengono?». Gli risposi: «Signore mio, tu lo sai». E lui:
«Sono quelli che vengono dalla grande tribolazione e che hanno lavato le loro
vesti, rendendole candide nel sangue dell’Agnello».
Salmo Responsoriale
Dal Salmo 23
Ecco la generazione che cerca il tuo
volto, Signore.
Del Signore
è la terra e quanto contiene:
il mondo,
con i suoi abitanti.
È lui che
l’ha fondato sui mari
e sui fiumi
l’ha stabilito.
Chi potrà
salire il monte del Signore?
Chi potrà
stare nel suo luogo santo?
Chi ha mani
innocenti e cuore puro,
chi non si
rivolge agli idoli.
Egli otterrà
benedizione dal Signore,
giustizia da
Dio sua salvezza.
Ecco la
generazione che lo cerca,
che cerca il
tuo volto, Dio di Giacobbe.
Seconda lettura 1Gv 3,1-3
Dalla prima lettera di san Giovanni
apostolo
Carissimi,
vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio,
e lo siamo realmente! Per questo il mondo non ci conosce: perché non ha
conosciuto lui.
Carissimi,
noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora
rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili
a lui, perché lo vedremo così come egli è.
Chiunque ha
questa speranza in lui, purifica se stesso, come egli è puro.
Vangelo Mt
5,1-12
Dal vangelo secondo Matteo
In quel
tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si
avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro
dicendo:
«Beati i
poveri in spirito,
perché di
essi è il regno dei cieli.
Beati quelli
che sono nel pianto,
perché
saranno consolati.
Beati i
miti,
perché
avranno in eredità la terra.
Beati quelli
che hanno fame e sete della giustizia,
perché
saranno saziati.
Beati i
misericordiosi,
perché
troveranno misericordia.
Beati i puri
di cuore,
perché
vedranno Dio.
Beati gli
operatori di pace,
perché
saranno chiamati figli di Dio.
Beati i
perseguitati per la giustizia,
perché di
essi è il regno dei cieli.
Beati voi
quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di
male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la
vostra ricompensa nei cieli».