Terzo ciclo
Anno liturgico C (2009-2010)
Tempo di Avvento
4a Domenica
(20 dicembre 2009)
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Mic
5,1-4; Sal 79; Eb 10,5-10;
Lc 1,39-48
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La liturgia di oggi si apre con
l’antifona tradizionalmente cantata nella novena in preparazione del Natale: “Rorate coeli desuper et nubes pluant justum:
aperiatur terra, et germinet salvatorem”; “Stillate dall’alto, o cieli, la vostra rugiada e dalle nubi scenda a
noi il Giusto; si apra la terra e germogli il Salvatore” (Is 45,8). Si
tratta della versione della Volgata che interpreta messianicamente
l’espressione più neutra dell’ebraico e del greco della LXX: “Stillate, cieli,
dall’alto e le nubi facciano piovere la giustizia; si apra la terra e produca
la salvezza”.
Siamo ormai prossimi alla festa del
Natale e tutta la liturgia oggi è un invocare il compimento del ‘volere’ la
nostra salvezza da parte di Dio. Non è l’uomo a muovere Dio, ma è il volere salvatore
di Dio che investe l’uomo. Il salmo 79 riassume bene gli aneliti dei cuori: “Risveglia la tua potenza e vieni a salvarci
... Guarda dal cielo e vedi e visita questa vigna”. Quel ‘volere’ si rivela
in un volto di cui godremo finalmente la vista. Quel Giusto, quel Salvatore, di
cui si invoca la discesa contemporaneamente dall’alto e dalla terra, è colui
che di sé dice entrando in questo mondo: “Ecco,
io vengo per fare la tua volontà” (Eb 10,7). La sua non è una dichiarazione
puntuale, che avviene cioè in un determinato momento sottintendendo che prima
non pensava in questi termini, ma è una dichiarazione eterna, frutto del
colloquio eterno tra il Padre e il Figlio nell’amore che li lega tra loro e al
mondo. L’apparire finalmente di Gesù nella storia umana non riguarda
semplicemente la cronaca storica, ma concerne la dimensione eterna della storia
umana. Lui ne è il fulcro, ne è la radice ed insieme il frutto.
Si invoca la sua discesa dall’alto:
Dio si avvicina all’uomo, non l’uomo a Dio; Dio si fa figlio dell’uomo, non
l’uomo Figlio di Dio. Ma si invoca pure dal basso, dalla terra: Dio non
sopraggiunge come un meteorite, come importato da fuori, benché dall’alto; Dio,
nel suo agire, sempre accondiscende all’uomo e quando si avvicina all’uomo lo
fa in modalità umana, da dentro quella storia che ha messo in moto per
condividere con l’uomo il suo Bene. Invocare la sua discesa dalla terra è
proclamare la santità dell’umanità della Vergine che Dio stesso si è preparato
perché finalmente si compia quel ‘volere’ che ha costituito il desiderio di Dio
dall’eternità: Dio e l’uomo in uno, tutto Dio per l’uomo e tutto l’uomo per
Dio.
A quel ‘volere’ si appella la
Vergine con le sue parole all’angelo: “Ecco
la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola” (Lc 1,38), come
proclama il canto al vangelo. Il volere di benevolenza di Dio per l’uomo, che
si era espresso nel volere di intimità del Figlio con il Padre per essere il
testimone del suo amore per gli uomini tra gli uomini, si rispecchia nel volere
di obbedienza della Vergine che sta unita al suo Dio. Si rivela qui la santità
dell’umanità della Vergine che diventa lo spazio di realizzazione del desiderio
di Dio per gli uomini, ritrovando in ciò tutta la sua dignità di creatura e
tutto lo splendore nel quale era stata concepita fin dall’inizio. E non per
nulla l’elogio di Elisabetta si appunta proprio su questo: “beata colei che ha creduto nell’adempimento
di ciò che il Signore le ha detto”. E parafrasando potremmo aggiungere:
beata colei che ha fatto esperienza così forte e totale dell’amore di
benevolenza di Dio per l’umanità da non ricercare altro nel suo vivere se non
che quell’amore di benevolenza avesse tempo e modo di riversarsi su tutto e su
tutti, su di lei come sul mondo. É da tale consapevolezza che sgorgano le
parole del magnificat e il canto di esultanza della creatura che vede lo spazio
di vita ormai totalmente occupato da
quell’amore. Anche nella preghiera del Padre nostro, quando invochiamo: ‘sia
fatta la tua volontà come in cielo così in terra’, per prima cosa chiediamo di
fare esperienza di quell’amore di benevolenza da parte di Dio, amore nel quale
siamo stati concepiti e voluti e che costituisce tutto il nostro splendore.
Se si accoglie il Verbo di Dio, se
ne accoglie anche la dinamica di amore che l’ha spinto a venire a noi, dinamica
che investe il mondo e che costituisce il suo splendore. Ecco perché in quell’“avvenga per me secondo la tua parola”
c’è anche l’impeto di carità che muove la Vergine ad andare da sua cugina
Elisabetta. Le parole del magnificat alludono anche alla carità che ha
investito il suo cuore e del cui splendore il suo agire è ormai testimone,
segno della presenza fatta carne del Figlio di Dio. Di quell’amore Lui è il
rivelatore per eccellenza perché conoscendo il Padre in verità sa che è amore
per noi. Proprio questo è venuto a ‘far vedere’! E in questo sta la nostra
salvezza e la nostra pace.
Nel salmo 79 il versetto che fa da
ritornello responsoriale “Fa’ splendere
il tuo volto e noi saremo salvi”, viene ripetuto tre volte. Quel volto che
risplende su di noi è il Messia cantato come ‘figlio dell’uomo che per te hai
reso forte’. Forte da vincere ogni nemico e farci godere la pace, cioè
ricondurci all’esperienza dell’amore di Dio così forte da non concepire la vita
in altri termini se non nella logica di quell’amore. La pace non è
evidentemente assenza di afflizioni, ma condivisione dell’amore, amore che
esprime tutto il volere di Dio per l’uomo e da parte sua e da parte nostra.
È interessante osservare che l’espressione
della lettera agli Ebrei: “entrando nel mondo, Cristo dice: Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato…
Allora ho detto: Ecco, io vengo - poiché di me sta scritto nel rotolo del libro
- per fare, o Dio, la tua volontà” riprende la versione greca del salmo 40,
ma l’ebraico porta: “gli orecchi mi hai aperto”, ad indicare la disponibilità
totale al volere di Dio. Ma se Gesù prende un corpo, lo prende non solo per
compiere il volere di salvezza di Dio per l’uomo, ma anche per mettersi in
condizioni di compiere quella salvezza in termini di splendore di amore e di
nient’altro. Non c’è ombra di ‘potenza’ nell’amore che Gesù manifesta nascendo
come un bambino, vivendo da uomo e morendo sulla croce; eppure, non c’è potenza
più forte di quell’amore che non si fa vincere da nulla. È l’amore che
‘magnifica’ il Signore davanti all’uomo e l’uomo davanti a Dio.