Terzo ciclo

Anno liturgico C (2009-2010)

Tempo di Avvento

 

1a Domenica

(29 novembre 2009)

 

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Ger 33,14-16;  Sal 24;  1Ts 3,12-4,2;  Lc 21,25-36

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La Bibbia si conclude con un grido: “Lo Spirito e la sposa dicono: Vieni!... Amen. Vieni, Signore Gesù” (Ap 22,17.20). Riassume l’anelito di Dio per l’uomo e quello dell’uomo per Dio di cui tutte le Scritture sono intessute. L’incompletezza delle cose e l’insoddisfazione dell’uomo, a qualunque causa si addebitino, rimandano a quel grido. A noi percepirlo, perché dalle profondità del cuore proviene, eco della promessa del Signore di dare la vita per la quale siamo fatti.

Qui si innesta il tema della vigilanza del tempo di Avvento, tempo che è celebrato nelle sue tre dimensioni attorno alla figura di Gesù: a) l’evento della nascita di Gesù nella storia; b) il suo ritorno glorioso alla fine della storia; c) l’oggi della storia vissuto nel Signore che nasce e cresce nei cuori. Il colore viola dei paramenti liturgici richiama la fatica storica della rivelazione dello splendore del Cristo in e tra di noi, in attesa della letizia del Natale con la consuetudine di farci doni perché ci è stato fatto il Dono per eccellenza: Dio si è fatto uno di noi, la terra può vivere come il cielo. Proprio come diciamo nel Padre nostro: sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra, cioè perché la nostra terra diventi tutta cielo.

Possiamo dare uno sguardo di insieme alla liturgia di oggi partendo dall’esortazione di Paolo ai Tessalonicesi: “Fratelli, il Signore vi faccia crescere e sovrabbondare nell’amore fra voi e verso tutti, come sovrabbonda il nostro per voi, per rendere saldi i vostri cuori e irreprensibili nella santità, davanti a Dio e Padre nostro, alla venuta del Signore nostro Gesù con tutti i suoi santi”. La lettera è il più antico documento letterario del Nuovo Testamento, scritta da Paolo verso l’anno 51, appena una ventina d’anni dopo la morte e risurrezione di Gesù. La generosità degli inizi con la partecipazione entusiasta alla carità di Dio rivelata in Gesù che tutti coinvolge trasformando la vita si riflette nella fede nell’imminenza del ritorno di Gesù. Il mistero è percepito come nella sua globalità e nella sua estensione.

La liturgia rielabora quell’esperienza proclamando Dio come colui che mantiene le promesse. Lo diciamo nella colletta: “Padre santo, che mantieni nei secoli le tue promesse”; lo annuncia il profeta: “io realizzerò le promesse di bene che ho fatto”. Il salmo responsoriale si apre sulle intenzioni di Dio che parlano al nostro cuore: “Il Signore si confida con chi lo teme: gli fa conoscere la sua alleanza”. Il testo ebraico è ancora più eloquente: “Il segreto (l’intimità) del Signore è per chi lo teme”. Come a dire: le vie del Signore che chiediamo di conoscere sono la verità del suo amore, che in Gesù si è reso toccabile. Non c’è evento nella nostra vita che possa cancellarlo o soffocarlo o far desistere il Signore dal suo amore. Temere lui vuol dire non impedire al cuore di vivere di quel suo desiderio di amore per noi. Non è proprio agevole né per nulla scontato accettare che i sentieri di Dio nei nostri confronti siano amore e fedeltà. Ma il Signore Gesù, nato nella nostra storia, è lì a proclamarlo, a ricordarcelo, a far  risplendere il suo amore perché ci conquisti e ci acquieti, ciascuno e tutti insieme.

La vigilanza serve a questo: a tenerci desti all’amore del Signore. E l’uomo è colui che alza il capo per essere capace di vedere le promesse di Dio, di vederle compiersi nel suo cuore. Per tutto l’avvento risuonerà l’esortazione: ‘vegliate e pregate’, come a dire: abbiate un occhio acuto e un cuore ardente. Non si tratta solo di un esercizio di intelligenza (vegliate!) ma di un processo di confidenza (pregate!). Un antico saluto degli indiani Hopi suonava: sta’ attento a che la tua testa resti aperta verso l’alto! Tenere aperta la testa verso l’alto significa allora superare la paura, perché il Dio che siamo chiamati a conoscere è un Dio di amore per noi. Attende solo – anche Dio attende! – di incontrare cuori aperti alla sua promessa, fiduciosi di vedere il bene che la sua promessa ci rivela.

Del resto, è caratteristico che l’anno liturgico finisca e cominci con la stessa lettura evangelica del cap. 21 di Luca. Ciò che si attende per la fine è lo stesso di ciò che si contempla per l’inizio. Ciò vuol dire che tutta la storia riceve senso a partire da un unico punto: la realtà del Signore Gesù nel suo amore per noi. Se il canto all’alleluia proclama: “Mostraci, Signore, la tua misericordia e donaci la tua salvezza”, vuol dire che possiamo vivere la nostra storia nell’attesa della rivelazione dell’amore di benevolenza del Signore per i suoi figli! Attesa, che non si riferisce solamente al premio finale, ma al desiderio di godibilità, nel tempo, di quella rivelazione, nella quale si incontrano e si consumano due desideri, quello dell’uomo e quello di Dio.