Terzo ciclo

Anno liturgico B (2008-2009)

Tempo di Quaresima

 

4a Domenica

(22 marzo 2009)

 

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2Cr 36,14-23;  Sal 136;  Ef 2,4-10;  Gv 3,14-21

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Nell’incontro con Nicodemo, uno dei capi dei farisei che gli sarà fedele sino alla fine, Gesù illustra il mistero di Dio che si rivela nella sua persona e nella sua storia. Tutto il colloquio è incentrato sulla necessità dell’esaltazione (sulla croce) del Figlio dell’uomo e della nuova nascita per l’uomo che vuole entrare nel regno di Dio. Lo sguardo della chiesa, lungo tutta la liturgia quaresimale, è teso alla Pasqua e si fissa su quel Figlio dell’uomo che viene innalzato proprio sulla croce.

La liturgia di oggi sfrutta dei punti di osservazione privilegiati. La prima lettura, tratta dal secondo libro delle Cronache, si conclude con l’invito ai deportati in Babilonia a salire a Gerusalemme e tornare a godere dell’alleanza che Dio rinnova loro. Questa pagina conclude la terza parte, denominata Scritti, della Bibbia ebraica; è l’ultima pagina della Bibbia secondo la disposizione del canone ebraico. La liturgia collega il salire a Gerusalemme, così tipico della tensione dell’anima e della storia degli ebrei, con il salire di Gesù alla città santa per la sua Pasqua, per l’esaltazione sulla croce, argomento del suo colloquio con Nicodemo. L’alleanza di Dio con il popolo è rivisitata con l’immagine dell’offerta della salvezza in Gesù da parte del Padre che “ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito”, come proclama il canto al vangelo.

Nicodemo non ha qualcosa da chiedere a Gesù in particolare. Evidentemente è mosso da benevolenza nei suoi confronti, è profondamente colpito dal modo di agire di Gesù e si chiede che valore abbia il suo apparire rispetto alla storia che vive con il suo Dio. Gesù legge il suo cuore e ne interpreta il movimento profondo come desiderio di vedere il regno di Dio. Nicodemo segue il discorso di Gesù ma continuamente chiede: “Come può avvenire quello che dici? Non comprendo”. Gesù non ha altra possibilità di spiegargli le cose se non di focalizzare la sua attenzione sul mistero della sua persona. Prima aveva parlato di nascita dall’alto, da acqua e Spirito, alludendo evidentemente al mistero del battesimo e del dono dello Spirito Santo che ci fa nuove creature, adatte per il regno di Dio. La nascita implica la volontà di qualcun altro. Nessuno sceglie di nascere, occorre che qualcun altro abbia voluto farmi nascere. In primo piano, parlando di nuova nascita, c’è appunto la volontà di Dio, l’amore suo che a noi si dona e ci chiama. E subito dopo annuncia: “Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna”. Di lui parla l’immagine del serpente di bronzo che viene innalzato da Mosè nel deserto secondo il racconto di Numeri 21,4-9.

Si tratta di comprendere il nesso tra l’invio del Figlio, esaltato sulla croce e il dono della vita eterna. La comprensione non può che abbozzarsi da dentro quell’imperativo tremendo: “bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo”, come Gesù si è premurato di ricordare più volte e in varie occasioni ai suoi discepoli. Quando in bocca a Gesù troviamo quel bisogna, è necessario, dobbiamo intendere: si tratta di un evento che non è alla nostra portata, che non risponde alle nostre attese, che noi non avremmo mai immaginato perché comporta la rivelazione di un segreto di Dio. E non solo di un segreto nel senso che ci fa conoscere qualcosa che fino ad allora non era noto, ma di un segreto nel senso che caratterizza l’intima vita di Dio e quindi caratterizzerà l’intima vita dei suoi figli. Se Gesù deve essere innalzato, deve morire in croce, non è solo in ragione del peccato dell’uomo, ma della manifestazione del segreto della vita divina che a tutti verrà comunicata in modo da vivere di quella pienezza che appartiene solo a Dio. Gesù è l’Agnello immolato fin dalla fondazione del mondo, come suggerisce il testo di Ap 13,8. Il mistero adombrato dalla parola di Dio è che la sofferenza non è legata al peccato, ma al dono dell’essere da parte di Dio, alla creazione stessa e quindi alla natura della stessa vita trinitaria che Gesù è venuto a svelarci e a comunicarci perché ne diventiamo partecipi e possiamo così non subire più la morte. Se Dio conosce le nostre sofferenze non è solo perché le vede in noi, ma perché le vive sue e la salvezza che ci dona è proprio quella di farci vivere quella sofferenza in quell’abisso di amore che costituisce la rivelazione suprema della realtà di Dio. Gesù è proprio la prova e la misura dell’amore di Dio per noi e come suonano vere le parole di Paolo ai Romani 8,35.39: “chi ci separerà dall’amore di Cristo? ... Io sono persuaso che né morte né vita ... né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore”! A questo conduce l’esperienza della fede, a questo porta quella vita nuova che ci viene data al battesimo e che risulterà incomprimibile e incorruttibile di fronte a qualsiasi evento.

Allora il credere in Gesù significa dar fiducia all’amore che Dio ha per noi. Non siamo più sotto il segno della condanna, nonostante che ancora agisca la potenza del peccato nella nostra vita, perché il cuore è rinato, ha potuto percepire in Gesù l’amore di Dio e a quello sta aggrappato. La preghiera dopo la comunione recita: “O Dio, che illumini ogni uomo che viene in questo mondo, fa’ risplendere su di noi la luce del tuo volto, perché i nostri pensieri siano sempre conformi alla tua sapienza e possiamo amarti con cuore sincero”. Chiedere che i pensieri siano conformi alla sapienza significa chiedere che le nostre radici interiori derivino dall’esperienza dell’amore di Dio per l’uomo, che in Gesù comporta la condivisione della sua umanità come luogo dello splendore della presenza di Dio in questo mondo.