Terzo ciclo
Anno liturgico B (2008-2009)
Tempo di Pasqua
Ascensione
(24 maggio 2009)
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At
1,1-11; Sal 46; Ef 4,1-13;
Mc 16,15-20
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Il mistero dell’ascensione è presentato
dalle Scritture e dalla liturgia in due registri: un registro dogmatico,
secondo l’enunciato della fede e un registro narrativo, secondo i ricordi degli
apostoli. Il ‘fatto’ dell’ascensione di Gesù, vale a dire della sua sparizione
agli occhi degli apostoli mentre sale al cielo è narrato dalla prima lettura,
secondo il resoconto che l’evangelista Luca presenta nel primo capitolo degli
Atti; l’enunciato dogmatico, vale a dire che Gesù fu assunto in cielo e ora
siede alla destra del Padre, lo troviamo nel vangelo di Marco. I due registri
vanno tenuti insieme.
La gioia della colletta: “Esulti di
santa gioia la tua Chiesa, o Padre, per il mistero che celebra in questa
liturgia di lode, poiché nel tuo Figlio asceso al cielo la nostra umanità è
innalzata accanto a te e noi, membra del suo corpo, viviamo nella speranza di
raggiungere Cristo nostro Capo nella gloria”, è una gioia, potremmo dire, in
terza battuta, conseguenza cioè dell’aver contemplato con gli apostoli il fatto
dell’ascensione al cielo di Gesù, dell’aver ‘compreso’ il senso di
quell’avvenimento e perciò applicato a noi la potenza di grazia che comporta.
L’ascensione chiude le apparizioni
pasquali. Tutti i passi di Matteo, Marco, Luca e Atti, che ricordano l’evento
dell’ascensione di Gesù, hanno per contesto la missione alle genti con l’assicurazione
della presenza costante del Signore. Quando Gesù, nell’ultima cena, aveva
ricordato il suo ritorno al Padre, aveva causato negli apostoli una grande
tristezza. Ora che gli apostoli lo vedono sparire in cielo senza poterlo più
rivedere provano una grande gioia. Come mai?
Evidentemente il mistero vissuto dagli
apostoli era d’altra natura rispetto a quello che immaginiamo. In effetti i
discepoli hanno visto il fatto materiale dell’ascendere di Gesù al cielo (il
testo usa il verbo greco vedere) ma
hanno anche intravisto la portata mistica del fenomeno (il testo usa il verbo contemplare). Ciò significa che lo
sparire di Gesù dalla loro vista permetteva di coglierlo presente nei loro
cuori. Nella percezione degli apostoli l’ascensione è colta come un dono di
presenza, come un’interiorizzazione di rapporto, che non solo non perde nulla
della sua realtà con la sottrazione della fisicità di Gesù, ma acquista
profondità e intensità insospettate. Se potessi riassumere con mie parole la
sensazione degli apostoli, direi che si è trattato dell’esperienza di una gioia
assolutamente dinamica, capace di allargare i confini del cuore e le energie
corrispondenti in maniera illimitata. Resta sottolineato sia una dimensione di azione, in rapporto diretto con la
missione alle genti, sia una dimensione di essere,
in rapporto all’esperienza della presenza potente
di Gesù in loro e con loro. Proprio qui si innesta l’enunciato di fede: Gesù è alla
destra del Padre, cioè nell’atteggiamento di Colui al quale è stato dato ogni
potere in cielo e in terra per ottenerci la salvezza. Da tale considerazione
deriva la nostra speranza e tutta la nostra fiducia, tanto che possiamo
contemplarci, nel suo amore, vicini a Dio, assunti in Dio anche noi, legati a
Lui, Lui la vite e noi i tralci, Lui il capo e noi le membra.
Nel racconto di Marco ciò che colpisce
è una specie di forza potente che muove tutto: il cuore degli apostoli come
l’insieme del mondo e lo stesso desiderio di Dio per l’uomo. In quel correre
alla predicazione non va visto solo lo zelo degli apostoli, ma anche l’attesa
degli uomini e il desiderio di Dio. Così la presenza potente di Gesù accanto ai
suoi non va vista nella capacità di fare miracoli, come farebbe supporre
l’annotazione dell’evangelista nel finale del suo vangelo; va vista piuttosto
in riferimento alla predicazione,
vale a dire alla capacità che ha di riempire il cuore, che parla a tutti della
sua presenza viva, senza che il mondo lo possa soffocare. La molla segreta di
tale capacità è lo stesso desiderio
di salvezza che Dio nutre nei riguardi degli uomini e che si comunica ai
discepoli per raggiungere tutto il mondo.
Se la presenza del Signore è assicurata
nel mondo, lo si deve al fatto che precisamente qui, nel mondo, continua la sua
opera, così come nel mondo continua la rivelazione dell’amore del Padre, tanto
a livello interiore che ecclesiale, nell’attesa che anche al mondo sia dato ciò
che è dato ai discepoli. I discepoli diventano testimoni non semplicemente di
Gesù, ma testimoni/collaboratori della sua opera di salvezza. Il dono dello
Spirito Santo ha attinenza proprio a quella dinamica di predicazione per la conversione e il perdono dei peccati.
È una verità che risalta anche da un
dettaglio riferito da Luca in At 1,6-8. Il regno di Dio non viene in modo da
attirare l’attenzione, vale a dire: non si vedrà; nessuno potrà dire: è qui, è
là. È inutile che pensiate di vedere il regno di Dio nella storia; i tempi e i
modi di questa venuta gloriosa solo
Dio li conosce, la cosa non vi riguarda. Ma voi “avrete forza dallo Spirito Santo … e mi sarete testimoni”. Quello
che vi riguarda è che siate agiti dalla potenza dello Spirito Santo per essermi
testimoni.
Gli apostoli sono i testimoni della
salvezza operata da Gesù, non gli amministratori; favoriscono in ogni modo
l’opera della salvezza, non ne sono mai i detentori. L’invio dello Spirito da
parte di Gesù li assicura dell’accesso alla salvezza, per sé e per tutti, nella
storia.