Terzo ciclo
Anno liturgico B (2008-2009)
Tempo di Pasqua
6a Domenica
(17 maggio 2009)
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At
10,25-48; Sal 97; 1Gv 4,7-10;
Gv 15,9-17
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Commentando l’immagine della vite e dei
tralci Gesù svela il suo segreto. Intesse il suo discorso su tre come:
“Come il Padre ha amato me… come io ho osservato i comandamenti del Padre
mio… come io ho amato voi” (vv. 9,10,12). A dire il vero, le frasi di Gesù
suonano piuttosto strane. Non ha molto senso infatti dire che uno è amico se fa
ciò che gli comanda l’altro oppure unire l’amare al fatto di essere comandati.
In questo intensissimo brano, dagli accenti estremamente confidenziali, si
aprono continuamente nuovi livelli di comprensione a seconda di come le varie
espressioni sono tenute insieme. La complessità è intenzionale perché la
densità di ciò che viene rivelato è tale da doverla accostare da più punti e
l’ascoltatore o il lettore è condotto, per accostamenti successivi, a entrare
sempre più nel profondo.
Che significato dunque ha quel come? Dice almeno tre cose:
1) allude alla radice dall’alto. È Dio
che ha dato a noi il suo Figlio, lui ci ha amati per primo. L’amore scaturisce
dal Padre, rivela il suo desiderio di comunione con gli uomini, di cui Gesù è
il Testimone ed il Compimento per eccellenza;
2) si riferisce ad una specifica
dinamica, all’orientamento preciso di un movimento che caratterizza l’azione di
Dio Padre e del suo Figlio nei confronti degli uomini: il Figlio è stato
inviato, ha patito ed è morto e risorto per riunire i figli di Dio dispersi;
3) rivela una potenza, quella dello
Spirito, che indica non solo la forza dell’amore ma anche la condizione in cui
si dà l’amore, cioè nello Spirito.
L’aspetto di rivelazione delle parole
di Gesù è da cogliere anche nel fatto che tale dinamica di amore corrisponde
all’intima struttura del cuore dell’uomo. Un uomo, amando così, come Gesù dice,
vive secondo la vocazione all’umanità che il nostro essere uomini e donne comporta.
Per questo Gesù potrà dire che la gioia che tale dinamica ottiene non potrà
essere rapita da nessuno perché si situa ad un livello di profondità dove
nessuno ha accesso, nemmeno i demoni e costituisce l’eredità della vita. E
l’uomo scoprirà che le radici di quella gioia appartengono a Dio, di cui
imparerà a condividere i sentimenti.
Sono delineati come tre livelli
concentrici di realtà: tra il Padre e Gesù, tra Gesù e noi, tra di noi. Il
comandamento dell’amore vicendevole pesca nell’intimità di amore del Padre per
il Figlio e del Figlio per noi. Fa da perno la persona del Figlio, inviato dal
Padre, che si dà a noi nel suo amore salvatore. Come dice Giovanni nella sua
prima lettera: “In questo si è
manifestato l’amore di Dio in noi: Dio ha mandato nel mondo il suo Figlio
unigenito, perché noi avessimo la vita per mezzo di lui” (1Gv 4,9). Se però
non abbiamo mai sperimentato quella vita che da lui proviene, come credere
all’amore? E la vita si sperimenta nei comandamenti
accolti e condivisi, non solo nella loro materialità, ma nella loro ispirazione
interiore. Per questo Gesù dice: “Se
osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore”. I comandamenti
non sono obblighi da adempiere, ma autorivelazione di Dio. L’ispirazione
segreta dei comandamenti ha a che fare con il desiderio di Dio di farsi
conoscere all’uomo nel suo amore per lui, di condividere con l’uomo la sua
vita, la sua gioia e il suo amore, che nel Figlio risplendono. Tanto che Gesù
può riassumere i comandamenti in uno solo: l’amore vicendevole, che deriva
dall’intimità di vita con il proprio Dio Salvatore. Se alla fine non si parla
più di comandamenti, ma di un solo comandamento, vuol dire che quel
comandamento non solo riassume tutti gli altri, ma di tutti mostra lo scopo
unico, il sigillo di autenticità e di vigore. L’amore vicendevole è
direttamente dipendente dall’esperienza dell’amore salvatore del Signore. Non
si accede all’amore per entusiasmo, ma per intima compassione, goduta e condivisa.
La partecipazione alla dinamica
dell’amore avviene per la conoscenza dei segreti di Dio che Gesù svela ai suoi
discepoli in amicizia. Gesù definisce l’amicizia come condivisione dei suoi
segreti. Ma nel parlare di Gesù si conosce solo dopo aver osservato i
comandamenti; eppure, si possono davvero osservare i comandamenti solo se si
diventa amici. Ciò vuol dire che l’amore deriva in primo luogo dall’esperienza
dell’incontro con il Signore, dall’accoglierci perdonati e guariti e non
dipende dalle qualità umane; si alimenta con il rimanere in lui, con il tessere
continuamente le sue parole con i nostri pensieri, con l’affondare i nostri
desideri nella sua promessa di vita per noi. In secondo luogo, l’amore fa
vivere dello stesso desiderio di Dio. In terzo luogo, fa vivere dello e nello
stesso Spirito di Gesù, di cui è detto: “Nessuno
ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici”.
Dare la propria vita non comporta solo il morire per l’altro, ma il mettere a
disposizione la propria vita per l’altro di modo che la propria vita diventi
per l’altro alimento, calore, rifugio, riposo, senza alcun limite, perché si
realizza la promessa: “se uno mi ama,
osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e
prenderemo dimora presso di lui” (Gv 14,23).
Se davvero questa è la nostra fede,
come non darne annunzio a tutto il mondo, come canta l’antifona di ingresso: “con
voce di giubilo date il grande annunzio, fatelo giungere ai confini del mondo:
il Signore ha liberato il suo popolo”.