Terzo ciclo

Anno liturgico B (2008-2009)

Tempo Ordinario

 

4a Domenica

(1 febbraio 2009)

 

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Dt 18,15-20;  sal 94;  1Cor 7,32-35;  Mc 1,21-28

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La promessa di Mosè che Dio avrebbe continuato a guidare il popolo, una volta entrato nella terra promessa, inviandogli profeti che parlassero in nome suo perché potesse custodirsi irreprensibile davanti a lui, come riporta il brano del Deuteronomio, era formulata in termini così densi da far pensare, dentro la stessa tradizione ebraica, alla figura di un profeta speciale, unico. Nelle parole di Mosè risuona potente l’ingiunzione: “a lui darete ascolto”. Il ritornello responsoriale la riprende parafrasando il salmo 94: “ascoltate oggi la voce del Signore”, con l’attenzione già volta a quel profeta che nel vangelo proclamerà con autorità nuova la parola del Signore.

Un primo particolare salta agli occhi. Non si può ascoltare la parola del Signore se non si riconosce la sua voce. Come in un rapporto di amicizia o di amore: la gioia è data dal sentire la voce dell’amico e da dentro quella gioia si ascoltano poi le parole che l’amico ci dice. Ascoltare la voce del Signore allude prima di tutto alla storia d’amore nella quale ci si trova inglobati; allude a quell’alleanza dei cuori che si vive nel profondo e che permette l’apertura di animo e di intelligenza ad accogliere le parole che ci verranno dette.

A lui darete ascolto” sembra anche che riecheggi nella voce che sigilla la visione della trasfigurazione di Gesù sul Tabor: “Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!” (Mc 9,7). Marco sembra alludere proprio a quel testo del Deuteronomio e comunque la sottolineatura nel brano odierno di un Gesù che ‘parla con autorità’ e ‘ha potere sui demoni’ si rivela nella sua ragione specifica e nella sua potenza se la colleghiamo a quella rivelazione. È tipicamente l’autorità non di chi parla a nome proprio, per quanto grande sia, ma l’autorità di chi ha tutto il potere e la capacità di svelare il volto di Dio, di rivelare i segreti di Dio. E chi conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare? (cf. Lc 10,22). Ha anche potere sui demoni nel senso di sottrarre alla loro influenza gli uomini e di rimetterli nella luce di Dio. In questo si rivela il suo potere di guarigione, che porterà alla rivelazione del suo potere di rimettere i peccati, cosa che svelerà definitivamente, in lui, come Dio si sia appressato all’uomo. È la novità che suscita stupore, sbalordimento, esultanza, perché il male è vinto e l’uomo ritorna nella signoria di Dio che vuole gli uomini commensali al suo amore e alla sua gioia.

Del resto è caratteristico che Marco abbini regolarmente la predicazione di Gesù al suo potere di scacciare i demoni, abbinamento che risulterà ancora alla fine del vangelo quando Gesù invierà i discepoli a predicare in tutto il mondo dando loro il potere di cacciare i demoni. Credo che meglio non si possa sottolineare la novità e la potenza del vangelo che sottrae l’uomo dalla dipendenza del male per renderlo libero nella comunione con Dio. Ma questa rivelazione non sarà svelata se non attraverso il passaggio pasquale di Gesù. È forse questa la ragione per cui Gesù, di fronte al riconoscimento della sua grandezza da parte dei demoni, ingiunge a questi con forza di tacere. L’uomo della sinagoga di Cafarnao dichiara: “io so chi tu sei: il santo di Dio!” (Mc 1,24); “tu sei il Figlio di Dio” (Mc 3,11) dicevano gli spiriti immondi; e l’indemoniato di Gerasa, in terra pagana: “Gesù, Figlio del Dio Altissimo” (Mc 5,7). Ci possiamo anche chiedere: le dichiarazioni suonavano forse come un principio di tentazione per Gesù, come quando era stato tentato nel deserto, da rifiutarle in modo così perentorio? Dopo il capitolo quinto, Marco narra ancora miracoli e guarigioni, ma i demoni non parlano più. E sarà Gesù a subire, in un certo senso, l’attacco dei demoni, ma proprio quell’attacco (la sua passione e morte) svelerà al mondo intero il suo segreto: Dio ama e tocca gli uomini a tal punto da sanarne le radici, da rinnovarli come figli di Dio, non più schiavi dei demoni, ormai vinti. La vittoria di Dio, però, non corrisponde a quanto gli uomini si sarebbero sognati e forse per questo Gesù, fin tanto che non ha mostrato fino in fondo quale fosse la via di Dio, non ha voluto riconoscimenti di sorta.

Così, presentare Gesù come profeta, il cui insegnamento è nuovo, diverso rispetto a quello degli scribi, porta allusione al mistero dell’intimità tra lui e il Padre che sul Tabor la voce dalla nube rivela: “Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!” (Mc 9,7). Gesù introduce poco a poco i suoi ascoltatori a questo segreto, nel quale tutta la Scrittura si riassume. Ascoltare le parole di quel profeta significa intuire e percepire quel segreto di intimità con il Padre che tanto ama il mondo da mandare il suo Figlio, tanto che in ogni parola da lui pronunciata, in ogni azione da lui compiuta, si apre l’accesso anche per noi all’intimità da lui goduta. Dire poi che Gesù ha il potere di guarirci, di scacciare dal nostro cuore i demoni, equivale a illustrare il mistero dell’accondiscendenza di Dio per gli uomini da farli partecipi dei suoi segreti, da condividere con loro la gioia del suo amore sempre e comunque.