Terzo ciclo
Anno liturgico B (2008-2009)
Tempo Ordinario
34a Domenica
N.S. Gesù Cristo Re dell’universo
(22 novembre 2009)
_________________________________________________
Dn
7,13-14; Sal 92; Ap 1,5-8;
Gv 18,33-37
_________________________________________________
Nella colletta della festa di oggi,
ultima domenica dell’anno liturgico, chiediamo di comprendere che servire è
regnare. Lo chiediamo perché toccati dallo splendore della regalità di Gesù. Quanti misteri però restano celati in questo
riconoscimento! Gesù si proclama re solo davanti a Pilato quando ormai è chiaro
l’esito del processo intentato contro di lui: sarà condannato alla
crocifissione. L’aveva più volte annunciato e Giovanni, che non parla mai nel
suo vangelo della predicazione del regno a differenza dei sinottici, si era
fatto premura di punteggiare il suo racconto con quella predizione: “E come Mosè innalzò il serpente nel deserto,
così bisogna che sia innalzato il
Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Dio
infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque
crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna” (Gv 3,14-16); “Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora conoscerete che Io Sono e che
non faccio nulla da me stesso, ma parlo come il Padre mi ha insegnato” (Gv
8,28); “E io, quando sarò innalzato
da terra, attirerò tutti a me” (Gv 12,32).
Entrando trionfalmente a Gerusalemme,
la folla lo acclama come il re, il regno che viene, ma nessuno sospetta quale
realtà quelle acclamazioni comportino. Gesù collega il suo innalzamento alla sua regalità e sulla croce, a condanna eseguita,
diventerà il re della gloria, come
gli antichi crocifissi riportavano sopra la sua testa. Così apparirà la verità
per testimoniare la quale è appunto venuto a noi quel ‘re, crocifisso’.
Gesù abbina il titolo di re alla
verità: “Per questo io sono nato e per
questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è
dalla verità, ascolta la mia voce”. La regalità di Gesù ha a che fare con
la verità. E propriamente, la verità ha a che fare con l’amore. È la
proclamazione ferma, sovrana, del brano dell’Apocalisse: “A Colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo
sangue, che ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre…”. A
Lui, all’Agnello immolato fin dalla fondazione del mondo, a colui che
costituisce l’inizio e la fine, a lui tutti volgeranno gli sguardi perché tutti
vanno in cerca della verità che acquieta solo quando si rivela come amore,
amore per noi.
Così l’espressione ‘chiunque è dalla verità ascolta la mia voce’
acquista il significato: chiunque vuol compiere in verità i desideri del suo
cuore ascolta la mia voce, vale a dire regna con me, serve come me. Servire e
regnare si richiamano a vicenda perché ambedue sono in funzione dell’amore che
risplende in verità: nel servire è allusa la fedeltà all’alleanza con Dio,
mentre nel regnare è allusa la libertà dei cuori liberata da odio e tristezza e perciò sovrana. L’alleanza si
traduce in desiderio di fraternità, dove ormai non si tratta più di attirare a
me le simpatie del Re, che è già tutto dalla mia parte, ma di condividere con
lui i suoi sentimenti verso l’umanità intera. Posso così chiamare mio il mio
Re, quando rispetto a tutti sono soltanto servo perché condivido ormai il suo
segreto, che è il suo desiderio di comunione con gli uomini che diventa lo
scopo supremo dell’agire umano.
C’è però anche un altro aspetto che
merita attenzione. La realtà del servire/regnare
partecipa delle stesse caratteristiche del regno di cui parla Gesù: “il mio regno non è di questo mondo”. Ciò
significa che quell’amore che risplende in verità è destinato a trasfigurare il
mondo, ma non proviene da questo mondo né ha qualcosa da rivendicare a questo
mondo. Perciò non può modellare su questo mondo la sua realizzazione, non può
trovare in questo mondo la giustificazione evidente. Eppure quell’amore esprime
la verità del mondo nel senso che lo apre e lo porta al compimento agognato.
Così tutti gli amori di questo mondo non sono che ombra di quella carità divina
a cui in ultima analisi rimandano, come tutti i poteri di questo mondo sono
ombra del potere in verità di Dio sul quale sono misurati. Quando i vari poteri
ed i vari amori distolgono da quella carità divina rinnegano le fonti stesse
della loro legittimità e diventano causa di tormento, sebbene i cuori non
cessino segretamente di anelare sempre, nonostante tutto, a quella carità
divina che sola rende ragione dei loro desideri.
Quando, nell’orazione dopo la
comunione, preghiamo: “Fa’ che obbediamo con gioia a Cristo, Re dell’universo,
per vivere senza fine con lui, nel suo regno glorioso”, domandiamo di imparare
ad assumere il servizio all’umanità come condivisione del segreto di Dio perché
si manifesti lo splendore di verità del suo amore per noi, in mezzo a noi. E
come viverlo senza che i nostri sguardi si volgano con tenerezza a quel ‘re,
crocifisso’ per tutti?