Terzo ciclo
Anno liturgico B (2008-2009)
Tempo Ordinario
2a Domenica
(18 gennaio 2009)
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1Sam
3,3-10; Sal 39; 1Cor 6,13-20;
Gv 1,35-42
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La liturgia del tempo ordinario, in
tutti e tre i cicli, comporta la lettura dei sinottici, ma l’inizio è sempre
riservato a brani del capitolo primo di Giovanni con il riconoscimento di Gesù
da parte del Battista al Giordano, la scoperta del Messia da parte dei
discepoli e la manifestazione di Gesù a Cana. Tutti i testi evangelici che si
leggeranno nell’anno non faranno che dare storia a quella rivelazione degli inizi perché chiunque ascolti si ritrovi nella
stessa dinamica vissuta dai discepoli. Oggi viene letto il brano della scoperta del Messia da parte di Andrea e
dell’altro discepolo, non nominato, che da sempre è stato riconosciuto in
Giovanni, autore del vangelo. In effetti, si tratta di ricordi personali
dell’evangelista a proposito di un’esperienza che l’ha segnato per tutta la
vita, come quando uno si innamora per davvero. Avviene raramente nella vita di
fare un incontro che ti cambia totalmente e Giovanni racconta proprio
l’incontro che l’ha trasformato completamente, con una precisione di particolari
che sono direttamente proporzionali all’intensità dell’esperienza.
Giovanni, nel prologo del suo vangelo,
dichiara: “e noi vedemmo la sua gloria”
(Gv 1,14). Ha incominciato a essere afferrato da quella gloria proprio in quel
giorno, alle quattro del pomeriggio, quando, su invito del suo maestro, il
Battista, va da Gesù con Andrea. Non va dimenticato che il verbo greco tradotto
con dimorare (“Maestro, dove dimori?”) è lo stesso verbo che Gesù userà con
insistenza nel discorso dell’ultima Cena a proposito della vite e dei tralci
quando dirà: “rimanete nel mio amore”
(cfr Gv 15). È come se Gesù rispondesse ancora alla domanda dei suoi discepoli:
“dove dimori?” e dicesse: siete
venuti da me, avete visto dove io dimoro (nell’amore del Padre) e così voi, ora,
rimanete nel mio stesso amore. È a questa esperienza che Giovanni allude quando
annota: “andarono dunque e videro dove
egli dimorava”. Il racconto ha il sapore di un’intera vita; ha la potenza,
non di un ricordo, ma di una radice, di un principio, di una fonte che continua
a sgorgare e che ha sconvolto tutta la sua vita.
Giovanni e Andrea seguono Gesù dietro
indicazione di Giovanni Battista che aveva scorto in Gesù colui che doveva
venire, l’Agnello di Dio che avrebbe finalmente liberato Israele introducendolo nella nuova e definitiva alleanza
con il suo Dio. Seguire Gesù significava per i due discepoli lasciare il loro
maestro, oltrepassare un confine per uno spazio che restava loro sconosciuto.
Gesù non si limita ad accoglierli, ma li incalza: “Che cosa cercate?”. I discepoli non sanno bene cosa cercano; sanno
solo che il loro maestro ha indicato lui come colui che compirà le attese dei
cuori, come colui che sarà capace di rispondere alle attese dei cuori.
La loro risposta è estremamente
significativa anche per i futuri discepoli di Gesù, per noi tutti: “Rabbì, dove dimori?”. Seguire Gesù
comporta il desiderio di vivere con lui e come lui, così come Gesù stesso
dichiarerà poco prima di subire la passione: “Padre, voglio che quelli che mi hai dato siano anch’essi con me dove
sono io, perché contemplino la mia gloria” (Gv 17,24). Quando Gesù
sceglierà i dodici, secondo il racconto di Mc 3,14, la motivazione sarà: “perché stessero con lui e per mandarli a
predicare”. Sarà lo stare con Gesù che
permetterà di vedere la sua gloria, vale a dire lo splendore dell’amore che Dio
riversa sugli uomini. E non è senza ragione che i discepoli sono presentati in
coppia: Gesù non sarà maestro di individui isolati, ma costituirà una nuova
comunità. Non si potrà conoscere Gesù che a partire da una fraternità condivisa
perché il suo compito è proprio quello di “riunire
insieme i figli di Dio che erano dispersi” (Gv 11,53).
Così, dall’esperienza del vivere con Gesù scaturisce
immediatamente il desiderio di aprire la stessa possibilità ad altri che con
noi condividono la ricerca della vita. Quando Andrea comunica a suo fratello
Simon Pietro la scoperta: “Abbiamo
trovato il Messia”, è come se dicesse: quello che i nostri cuori
desiderano, quello che abbiamo sempre sognato, che abbiamo aspettato, è proprio
lui; vieni anche tu! È l’inizio dell’apostolato: trasmettere a qualcuno il
fascino della gloria del Signore e fare in modo che questo stesso fascino e
questa stessa gloria risplendano anche per lui.
Le condizioni che permettono al cuore
di accogliere quel fascino e quella gloria sono indicate dalla prima lettura,
dal brano di Samuele. La prontezza di Samuele a rispondere rivela la libertà di
cuore nell’obbedienza, che è la porta di accesso alla visione. Dio non si
sottrae mai alla mediazione umana: Giovanni Battista media per Giovanni ed
Andrea, Eli per Samuele. Accogliere il mistero di questa mediazione significa
custodire una libertà e una purità di cuore nei confronti di Dio. Detto con le
parole del salmo 39: non vengo a fare una certa cosa, di cui ho ascoltato
l’invito e che condivido, ma vengo perché sono con te e poi farò quello che mi
si chiederà. È l’apertura di cuore che conta, non la disponibilità ad un certo
progetto. Il brano però fa intravedere la drammaticità che comporta l’apertura
di cuore. La prima rivelazione che il giovane Samuele riceve riguarda la
condanna della casa di Eli, suo maestro e padre nella fede, come potremmo
chiamarlo. Non vorrebbe rivelarla ma non è nemmeno disposto a mentire. La
prontezza di obbedienza che gli ha ottenuto la visita di Dio gli ottiene anche
la sincerità con Eli e la pace del cuore, nella totale fiducia in Dio.
Anche per i discepoli di Gesù, seguire
il Signore significa andare con il Signore, semplicemente stando con lui, in tutte
le vicende della vita. Perché il frutto dell’obbedienza è proprio la visione,
come dice Andrea: abbiamo trovato il Messia, ragione della nostra gioia e del
desiderio che anche ad altri quella gioia si estenda.