Terzo ciclo
Anno liturgico B (2008-2009)
Tempo Ordinario
27a Domenica
(4 ottobre 2009)
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Gen 2,18-24; Sal 127;
Eb 2,9-11; Mc 10,2-16
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Per comprendere la richiesta dei
farisei a Gesù è necessaria qualche precisazione esegetica. La domanda non
verteva tanto sul carattere lecito del divorzio, che anche la Legge consentiva
(Dt 24,1: “Quando un uomo ha preso una
donna e ha vissuto con lei da marito, se poi avviene che ella non trovi grazia
ai suoi occhi, perché egli ha trovato in lei qualche cosa di vergognoso, scriva
per lei un libello di ripudio e glielo consegni in mano e la mandi via dalla
casa”), ma a quale condizione lo fosse. Nella controversia tra le due
scuole di Hillel e Shammai, ai tempi di Gesù prevaleva la prima, più rigorista:
il divorzio è lecito solo a una condizione, in caso cioè di unione illegittima
(che anche Mt 5,32 contempla) o di adulterio, mentre più tardi prevalse la
seconda, più lassista: il divorzio è lecito per qualsiasi motivo. La legge sul
divorzio proteggeva la donna dall’accusa di adulterio, perché le permetteva un
nuovo matrimonio.
La risposta di Gesù si colloca dunque
nell’interpretazione più rigorista della legge mosaica, ma in una prospettiva
completamente diversa. La lettura del passo in parallelo con Mt 19 ne fa
scaturire tutta la portata. La legislazione sul divorzio non è un comandamento ma una concessione.
Gesù, contrapponendo comandamento a
concessione, arriva al cuore del problema. In gioco non c’è l’interpretazione
restrittiva o estesa di una norma e neppure la norma stessa, ma il fondamento
su cui la norma prende valore. Il valore di riferimento non è la consuetudine,
per quanto avvalorata, sebbene in semplice concessione, dalla stessa Legge,
bensì l’agire di Dio che esprime il suo volere quanto all’uomo. E Gesù richiama
l’atto della creazione: “Dio li fece maschio
e femmina; per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua
moglie e i due diventeranno una carne sola” (cf. Gen 1,27; 2,24). Quella benedizione di Dio non è mai venuta
meno, nonostante i peccati e le fragilità umane. E quella benedizione
costituisce l’asse di riferimento perenne del valore del matrimonio.
Lo sottolinea anche la liturgia con il
canto al vangelo: “Se ci amiamo gli uni
gli altri, Dio rimane in noi e l’amore di lui è perfetto in noi”. Come a
suggerire: l’amore, che ha le sue origini in Dio, rende uomini e donne di pari
dignità perché solo attraverso l’amore possiamo fare esperienza di Dio. E
quando un uomo e una donna sono consacrati nel loro amore, in gioco è proprio
la consumazione dell’amore di Dio che
si rivela in essi. Solo la tensione al Regno dei cieli, però, può motivare fino
in fondo la decisione di quell’amore.
In effetti, la posizione di Gesù è
vincolata all’accoglienza del Regno, al fatto di vederlo come colui che compie
il volere di Dio per l’uomo. Il brano è inserito in un contesto preciso, quello
della sua sequela, che si chiude con il suo ingresso a Gerusalemme. I suoi discepoli
sono come storditi, perché subito dopo Gesù proclama il valore del celibato
volontario per il regno dei cieli, l’inciampo delle ricchezze per il sincero
servizio del cuore e, per la terza volta, annuncia la sua prossima passione.
Così, l’indissolubilità del matrimonio
diventa una esigenza del regime
messianico insieme a tutto il resto. Proprio in questo trova senso il
paragone dei bambini che leggiamo subito dopo: “a chi è come loro infatti appartiene il regno di Dio”. Vi è
l’allusione alle beatitudini: “Beati i
poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli ...”. I bambini, da
interpretare come ragazzi di 10-12 anni, prima del bar mitzvah, quando cioè a pieno titolo entrano nella società degli
adulti con il poter leggere pubblicamente la Bibbia e contribuendo al numero
legale per un’assemblea, sono l’immagine dei discepoli che non hanno titolo di
importanza o prestigio, che non si aspettano nulla, che non esercitano alcun
potere, che possono confidare solo in chi vuole bene loro. Di questi è il regno
dei cieli, di quanti cioè hanno posto in esso tutta la loro confidenza e in
nient’altro, non cercando quindi ricchezze o prestigio o finendo di servirsi di
Dio invece che essere suoi servi. L’insegnamento di Gesù è chiaro e i discepoli
restano pensierosi. Dovranno fare ancora tanta strada insieme al loro Maestro
per accogliere queste sue parole e viverne la potenza.