Terzo ciclo
Anno liturgico B (2008-2009)
Tempo Ordinario
25a Domenica
(20 settembre 2009)
_________________________________________________
Sap 2,17-20; Sal
53; Gc
3,16-4,3; Mc
9,30-37
_________________________________________________
Questa è la seconda volta che Gesù
annuncia la sua passione e, come per la prima volta, accompagna la sua
predizione con un’istruzione particolare. La liturgia ci introduce nei
sentimenti di Gesù e dei discepoli con la lettura del libro della Sapienza. Il
brano non va letto solo come un annuncio profetico della passione di Gesù, ma
per la prospettiva nella quale la profezia dona la sua luce. Il brano riporta
il discorso degli empi introducendolo con le parole: “Dicono fra loro sragionando…” e
concludendolo: “Non conoscono i segreti
di Dio”. Ecco, la rivelazione di Gesù consiste nell’essere messi a parte
dei segreti di Dio, che sono appunto i misteri del regno dei cieli. E
l’annuncio della passione rivela quanto i segreti di Dio siano lontani dalla
mente degli uomini, eppur così essenziali alla vita dei loro cuori.
Se guardiamo all’annuncio in se stesso,
notiamo subito la differenza con la precedente predizione. A differenza del
primo, qui l’annuncio non rivela chi causerà le sofferenze a Gesù. Dice semplicemente:
“Il Figlio dell’uomo viene consegnato
nelle mani degli uomini ...”. Mentre Marco sottolinea che i discepoli non
capivano e avevano timore a porre domande, Matteo 17,22-23 invece rimarca che
furono molto rattristati. Matteo fa balenare la situazione che si ripeterà
nell’ultima cena quando Gesù svela che uno di loro lo tradirà e resteranno
profondamente rattristati perché tutti si sentiranno tirati in ballo.
L’annuncio della passione non riguarda lo svelamento delle responsabilità, ma
il coinvolgimento nella responsabilità.
Se guardiamo all’istruzione che segue
l’annuncio, l’incomprensione dei discepoli è svelata proprio dall’oggetto del
loro discutere (non semplicemente del loro parlarsi, ma della contesa della
discussione): “Per la strada infatti avevano
discusso tra loro chi fosse più grande”. Gesù non rimprovera direttamente
il loro desiderio di grandezza; si limita ad indicare la via di grandezza
gradita a Dio: “Se uno vuol essere il
primo, sia l'ultimo di tutti e il servitore di tutti”. E poi, prendendo un
bambino, aggiunge: “Chi accoglie uno di
questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me,
ma colui che mi ha mandato”.
Anche rispetto all’istruzione, il
confronto tra Marco e Matteo segnala profondità insospettate. In Marco Gesù
risponde direttamente sul contenzioso tra i discepoli. Volete essere grandi?
Rinunciate a ogni senso di importanza, di potere, di prestigio, valevole in
questo mondo. Tutto si gioca sulla contrapposizione primo/ultimo: primo in
questo mondo, ultimo nel regno dei cieli e viceversa. Ma Marco specifica la
natura di quell’ultimo, cioè servitore di tutti. Voler essere il
primo significa allora voler essere come colui che è il Primo (cf Lc 7,28), il quale si è fatto
servo di tutti fino a morire sulla croce, perché tutti potessero conoscere
quanto è grande l’amore di Dio per gli uomini. Gesù parla della grandezza per
il regno dei cieli, che è grandezza di rivelazione dell’amore di Dio per gli
uomini. Essere ultimo non significa essere dietro a tutti gli altri, ma solo
servo di tutti perché l’amore di Dio
risplenda e questo comporta che non ci sia cosa o persona più significative per
il nostro cuore da indurlo a preferirle contro l’amore di Dio. Con l’esempio dei
bambini dà la ragione della grandezza per il regno dei cieli. Servitore di
tutti, perciò dei bambini, vale a
dire, in questo contesto, di quanti, discepoli del Signore, sono senza alcuna
importanza, deboli, peccatori, proprio quelli che Gesù ha cercato e coi quali
si identifica, tanto che chi accoglie uno di loro, accoglie lui. Aver coscienza
di questa identificazione significa condividere i segreti di Dio, cioè
conoscere il suo amore per gli uomini tanto da non vivere d’altro.
In Matteo 18,1-5 i discepoli espongono
una questione generale a Gesù e lui risponde spostando il centro di attenzione.
Non serve domandarsi chi sia il più grande nel regno dei cieli, se nemmeno
sapete se potete entrarvi. Gesù rivela a quale condizione si può entrare nel
regno dei cieli. L’esempio dei bambini assume così un altro significato: “In verità io vi dico: se non vi convertirete
e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Perciò
chiunque si farà piccolo come questo bambino, costui è il più grande nel regno
dei cieli”. Purtroppo la traduzione ‘si farà piccolo’ è inconsistente
rispetto al contesto di rivelazione dell’annuncio della passione. In effetti,
il testo comporta il verbo ‘umiliare’ e la traduzione sarebbe: ‘chi umilierà se
stesso come un bambino’. Il significato è più diretto rispetto all’annuncio
della passione, perché Gesù è proprio colui che ha umiliato se stesso, facendo
risplendere, nella sua umiliazione, tutta la potenza dell’amore di Dio per gli
uomini e questo è motivo della sua grandezza. Così sarà per i discepoli. Solo
chi si umilia, cioè chi diventa come i bambini che non ripongono speranza in
alcun statuto sociale, chi perde ogni importanza che sappia di questo mondo,
può accedere alla rivelazione di Gesù. Gesù ha posto tutta la sua grandezza
nell’amore del Padre, i discepoli nell’amore di Gesù e in nient’altro. E se
questo comporta ‘debolezza’ secondo gli uomini, secondo Dio invece comporta ‘potenza’, tanto che i segreti di
Dio fanno vivere della loro potenza il cuore degli uomini.
Quando Giacomo, nella sua lettera,
parla di una sapienza che viene dall’alto, allude proprio a quella rivelazione
che ha conquistato il cuore e che lo muove con la potenza del suo dinamismo. E
quando, nella preghiera dopo la comunione, domandiamo che ‘la redenzione
operata da questi misteri trasformi tutta la nostra vita’, in realtà preghiamo
perché il nostro cuore si apra a quella rivelazione e ne sia conquistato.