Terzo ciclo
Anno liturgico B (2008-2009)
Tempo Ordinario
24a Domenica
(13 settembre 2009)
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Is 50,59; Sal 114-115; Gc 2,14-18; Mc 8,27-35
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Con il brano di vangelo proclamato oggi
siamo al centro della narrazione di Marco. L’evangelista presenta Gesù nel suo
viaggio verso Gerusalemme. Aveva operato segni straordinari e il suo dire, il
suo raccontare in parabole, aveva catturato il cuore di tanti. Era giunto il
momento di traghettare i discepoli ad una comprensione più profonda e veritiera
della sua persona. La domanda a proposito della sua identità sottende la stessa
problematica di Giovanni Battista: è lui o dobbiamo aspettare un altro? “La gente, chi dice che io sia?”; “Ma voi, chi dite che io sia?”. La gente
pensa che lui sia stato mandato a preparare la via al Messia (Erode pensava che
Gesù fosse il Battista redivivo, i discepoli in generale pensavano che fosse
l’Elia che doveva venire o uno dei profeti, come Geremia, il modello profetico
più consono alla figura di Gesù) mentre Pietro confessa invece che proprio lui
è il Messia. Gesù prende così sul serio
la risposta di Pietro che apertamente svela il suo futuro di passione,
annunciato dal terzo canto del Servo del Signore secondo il testo di Isaia
della prima lettura.
Marco per tre volte riporta l’annuncio
della passione di Gesù: 8,31/9,31/10,33. Tutte e tre le volte Gesù si trova per
strada (qui per Cesarea, la seconda volta per Cafarnao
e la terza per Gerusalemme) e sempre l’annuncio è accompagnato da una sua
istruzione ai discepoli, tanto che l’annuncio va colto proprio a partire dalla
rivelazione che comporta quell’istruzione.
Da notare subito: il testo sottolinea
che Gesù insegnava che doveva soffrire molto. I due termini
indicano che l’uomo non avrebbe mai potuto arrivare al mistero della persona di
Gesù dal basso; vi si giunge per rivelazione, dall’alto. Non solo, ma che
“dall’alto” corrisponde allo “star dietro” a Gesù. In effetti, il rimprovero di
Gesù a Pietro che, rifiutando la sua rivelazione, vuole mettersi davanti a lui,
collega i due movimenti: “Va’ dietro a
me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini”. Gesù
riprende la testimonianza di Es 33,20-23, là dove Dio
dice a Mosè che potrà vederlo solo di spalle. Il che significa: solo accettando
di camminare per dove Dio indica lo si potrà vedere in verità. E ancora: solo
disponendoci a praticare la sua parola si può scoprire la verità della promessa
di vita che la sua parola comporta. Solo stando dietro il Maestro si potrà
scoprire il Volto di Dio in verità nel suo amore per gli uomini.
Quando Gesù invita i discepoli a
rinnegare se stessi, prendere la croce e seguirlo, non fa che estendere a tutti
il rimprovero rivolto a Pietro. Potremmo intendere le cose così. Pietro, nel
rimproverare Gesù, aveva probabilmente temuto per sé. Se Gesù, il Messia,
avesse dovuto subire tutti quei tormenti, certamente sarebbe svanito il
prestigio dell’essere ‘compagno’ del Messia. E allora che ne sarebbe stato di
lui? Il ‘rinnegare se stessi’ vale in rapporto al mistero di Dio che in Gesù si
fa prossimo agli uomini per la potenza del suo amore tanto da far scaturire la
vita proprio là dove gli uomini mai la cercherebbero. Se gli uomini pensano in prospettiva
mondana come potranno vedere i segreti di Dio? La rinuncia a ogni prospettiva
mondana è la condizione per accogliere il mistero di Gesù che sulla croce
rivela lo splendore dell’amore, motivo di ogni rinuncia a qualsiasi cosa che
non sia collegabile o derivante da quell’amore. D’altronde qui risiede tutta la
dignità della vita. Ma, per quanto desiderabile, come resta velata ai nostri
occhi! Siamo sempre nella condizione di dover essere istruiti dall’alto per afferrare la verità dell’umanità di Gesù
consegnata agli uomini e scoprire vero per noi e per tutti lo splendore
dell’amore. Così il portare la croce non si riferisce primariamente alla fatica
del vivere, ma alla condizione perché la fatica del vivere risulti fruttuosa:
la rinuncia ad ogni prospettiva mondana ci apre alla rivelazione dell’amore di
Dio nella nostra vita, amore che possiamo cogliere in tutto il suo splendore
proprio nella croce di Gesù. Seguire Gesù significa essere partecipi di questa
rivelazione fino a viverla nel concreto della propria vita per dare spazio alla
stessa dinamica di amore.
Come sottolinea la preghiera dopo la
comunione: ‘La potenza di questo sacramento, o Padre, ci pervada corpo e anima,
perché non prevalga in noi il nostro sentimento, ma l’azione del tuo santo Spirito’.
Nella consapevolezza che l’azione dello Spirito induce a vivere in pienezza
quella vocazione all’umanità che resta inscritta nei nostri cuori. E sarà
proprio la potenza della visione del Signore trafitto che diventerà fonte di
vita perché apre alla conoscenza dell’amore.
È per quella visione e dentro quella
potenza che san Paolo, nella sua lettera ai Galati,
ripresa dal canto al vangelo, proclama: “Quanto
a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore, per mezzo della quale
il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo” (Gal 6,14). Come
a dire: rispetto a quell’amore, rivelato dall’alto e colto nel seguire il
Signore Gesù, di cui ho avuto la visione nel guardarlo trafitto in croce, non
c’è nulla nel mondo che meriti la preferenza e non c’è nulla in me che può
trovare adeguato compimento a partire dal mondo. La preghiera della chiesa
tende a rendere vivace per il nostro cuore tale verità.