Terzo ciclo

Anno liturgico B (2008-2009)

Tempo Ordinario

 

23a Domenica

(6 settembre 2009)

 

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Is 35,4-7;  Sal 145;  Gc 2,1-5;  Mc 7,31-37

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Gesù non ha mai predicato ai pagani, ma ha attraversato le loro terre ed ha compiuto alcuni miracoli a favore di persone pagane. Il brano di vangelo di oggi riporta appunto il secondo di questi miracoli in terra pagana, la guarigione di un sordomuto. I gesti e le parole di Gesù assumono un’alta valenza simbolica: toccare gli orecchi e la lingua sono diventati gesti battesimali perché il neobattezzando impari ad ascoltare e proclamare le meraviglie di Dio.

Gesù aveva appena guarito la figlia della donna sirofenicia, quella che aveva saputo, nella sua disperazione e nella sua fede, tenergli testa. Gesù le aveva detto: “Lascia prima che si sazino i figli, perché non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini”. E lei, fiduciosa: “Ma lei gli replicò:Signore, anche i cagnolini sotto la tavola mangiano le briciole dei figli”. Se con questa donna Gesù aveva agito con la potenza della sola parola, nel miracolo del sordomuto agisce con la potenza dei suoi gesti: mette le dita negli orecchi, tocca con la sua saliva la lingua del malato, gesti che la Chiesa ha conservato nella celebrazione del sacramento del battesimo. La sua parola è potente, ma anche i suoi gesti sono potenti, e perfino le sue vesti sono potenti (pensiamo all’emorroissa, alla trasfigurazione).

È singolare che questo, come altri miracoli, non facciano risaltare tanto la guarigione, quanto la dinamica che la guarigione comporta. Si tratta di miracoli di apertura. Gesù non è un mago, sebbene taumaturgo; non pronuncia parole magiche, ma semplicemente la parola effata, cioè apriti. La sordità comporta spesso anche il disturbo della parola. In effetti, il vangelo fa riferimento a un sordo che farfugliava, che parlava confusamente, in modo incomprensibile. Guarire comporta allora l’apertura degli orecchi insieme allo scioglimento della lingua, come per i ciechi l’apertura degli occhi. Non si tratta però solo di rivelare la potenza di guarigione di Gesù, ma di far convergere il cuore, nella fede, verso la rivelazione del mistero della Persona di Gesù in rapporto alla grandezza dell’amore di Dio per gli uomini. Il miracolo è segno dei tempi messianici ormai compiuti in Gesù. Ciò verso cui il sordomuto o il cieco guariti saranno invitati a volgersi sarà proprio la figura di Gesù che mostra loro come possano di nuovo vivere la loro vita nell’alleanza con Dio che si è fatto loro prossimo. La lode delle persone guarite allude a questo tipo di apertura del cuore.

Due particolari soprattutto fanno convergere lo sguardo verso quel punto. La lode finale in bocca alla gente che aveva visto il miracolo suona: “Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti”. Quando Dio, alla fine della creazione secondo il racconto della Genesi, contempla ciò che ha fatto, esclama: “Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona” (Gen 1,31). L’espressione della gente rivela che siamo in presenza ormai della nuova creazione, quella dei tempi messianici, quando Dio rinnova ogni cosa ridando a ciascuna cosa il suo splendore eterno perché tutto torni a proclamare la gloria del suo amore. Il secondo particolare è data dalla particolare espressione con cui viene designato il sordomuto: un sordo che parlava confusamente. E quando viene guarito si dice che parlava correttamente, distintamente. Ora la confusione del linguaggio è la conseguenza della stoltezza degli uomini che vogliono competere con Dio per il dominio della terra, come ben si vede nell’episodio della torre di Babele. Rinunciando alla gloria di Dio gli uomini si troveranno estranei tra di loro tanto da non capirsi più. La guarigione avviene il giorno di Pentecoste quando la comprensione è data nonostante la diversità delle lingue e la comprensione si baserà proprio sul fatto che tutti riconosceranno le meraviglie di Dio, ciascuno nella sua lingua. Una volta che gli orecchi possono ascoltare la Parola, la lingua sarà libera di glorificare Dio perché in quella parola, sanante, è riconosciuta la Presenza del Signore, presenza che non ci sarà mai più tolta e che unifica tutti.

Il salmo 45 che viene proclamato oggi può essere letto come la descrizione dell’umanità che attende la salvezza, il compimento cioè della promessa di vita, di bene, di felicità, inscritta nel suo intimo e la cui nostalgia è acuita dalle ferite e dalle oppressioni del peccato simboleggiato dalle varie malattie elencate. E la salvezza riguarda tutti, perché in Gesù, che ha tolto il muro di separazione (cf Ef 2,13-18), non c’è più giudeo e pagano, trovando tutti la stessa consolazione e stessa lode nello stesso amore di Dio.