Terzo ciclo
Anno liturgico B (2008-2009)
Tempo Ordinario
21a Domenica
(23 agosto 2009)
_________________________________________________
Gs 24,1-18; Sal 33; Ef 5,21-32; Gv 6,60-69
_________________________________________________
Siamo giunti alla stretta finale. La
moltitudine dei discepoli è sul punto di abbandonare Gesù, tanto da indurlo a
rivolgersi anche ai Dodici, ai suoi più fidati: “Volete andarvene anche voi?”. Come renderci conto di cosa comporta
questa accorata domanda? Nella colletta preghiamo: “O Dio nostra salvezza, che
in Cristo tua parola eterna ci dai la rivelazione piena del tuo amore ...”. É
la verità che usualmente noi credenti in Cristo confessiamo, ma siamo disposti
ad accoglierla in tutta la sua densità?
La celebrazione di oggi ci fa sapere
che una confessione del genere è vincolata a due domande specifiche. Prima di
tutto alla domanda di Giosuè: “Chi volete
servire?”. Il popolo d’Israele era ormai penetrato nella Terra promessa,
dopo la liberazione dalla schiavitù dell’Egitto e la tortuosa peregrinazione
nel deserto. Nessuno di coloro che in età adulta avevano lasciato l’Egitto,
nemmeno Mosè, la loro guida, ad eccezione di Giosuè, era entrato nella Terra
promessa. Si tratta ora di impostare la vita nella nuova condizione di libertà.
Chi si deve servire? Nel linguaggio della Scrittura servire Dio allude a un rapporto gioioso e liberatorio che esalta
le energie dell’anima sottraendola alle schiavitù quotidiane e all’oppressione
del male. Quale dio servire? É la scelta del cuore dell’uomo, sebbene spesso la
scelta risulti come obbligata dall’inerzia stessa della vita: prendi quello che
risulta più comodo o più facile o più conveniente o più interessato. Ma il
servizio funziona in ragione della continuamente reiterata libertà di scelta
per la verità. E di quale verità ci si vuol nutrire? Prima che il popolo accetti di servire il
Signore suo Dio, Giosuè ricorda: “Voi non
potete servire il Signore perché è un Dio santo, è un Dio geloso; egli non
perdonerà le vostre trasgressioni e i vostri peccati. Se abbandonerete il
Signore e servirete dèi stranieri, egli vi si volterà contro e, dopo avervi
fatto tanto bene, vi farà del male e vi annienterà”. I tradimenti si
consumano nella beata incoscienza. La provocazione di Giosuè tende a impedire
la stolta, beata incoscienza. Servire Dio significa aprirsi alla sua grazia e
non piegare la sua grazia ai nostri interessi, cosa facile a pensarsi, ma non
altrettanto a farsi.
E poi alla domanda di Gesù: “Volete andarvene anche voi?”. Non c’è
nessun esito scontato nella vita. Di fronte all’incomprensione dei suoi
discepoli Gesù non riduce il Dono di
Dio, non banalizza il suo mistero. Svela i vari aspetti del suo mistero, ma il
mistero resta. Questo significa che la rivelazione di Dio non comporta una
semplificazione del suo mistero, ma più semplicemente la sua maggiore
prossimità. La tensione del cuore non va puntata sul contenuto del mistero,
spesso inafferrabile, ma sul dinamismo che lo caratterizza: ‘Dio ha tanto amato
gli uomini da dare il suo Figlio unigenito…”. Ciò che
è da cogliere è questa intenzione di Dio, che va diritta al cuore. E quando
spunta l’incomprensione tra Dio e i suoi figli, nel dramma della vita, vale
unicamente la risposta di Pietro: “Signore,
da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto
che tu sei il Santo di Dio”. Pietro non si esprime in merito al discorso
che Gesù ha fatto, ostico anche per lui, ma si esprime in merito al senso della
Sua persona per il suo cuore perché intuisce che da qui viene la vita.
Un particolare misterioso ne illustra
tutto il dramma. Il brano finisce con l’allusione al tradimento di Giuda,
nonostante che la scelta di Giuda sia stata fatta dallo stesso Gesù. Ecco la
questione: se è Dio ad attirare gli uomini, allora in che cosa gli uomini sono
responsabili del loro rifiuto? È Dio a scegliere, sì, ma la sua scelta non
comporta automatismi, perché fidarsi di Dio significa fidarsi dello spazio di
libertà in cui ci pone. Lo spazio di libertà è in funzione della possibilità
dell’incontro, gioia di Dio e dell’uomo insieme. Così la fede esprime l’umano
nella sua radicalità quando, per compiersi, si scopre fondato e attratto da un
oltre che lo sorpassa, benché gli appartenga. La scelta di Dio non comporta
perciò l’esito scontato. È il dramma che segna tanto Dio (che resta solo, se
abbandonato da noi) come pure noi, che restiamo soli senza di Lui, incapaci
come siamo a realizzare la nostra stessa vocazione umana. L’amore di Dio però
non viene meno tanto che quei discepoli, che ora abbandonano Gesù perché il suo
discorso è troppo duro, saranno gli stessi che, guardando a Colui che hanno
trafitto, potranno ricredersi e convertirsi e finalmente avere la vita, cosa
sempre possibile per tutti noi. Perché l’uomo non si condanni alla solitudine,
restando in balia delle sue ossessioni, è invitato a vivere nell’alleanza
offertaci da Dio, in Cristo, e non a condizionare l’alleanza ai suoi scopi, che
comportano il rifiuto di quelli di Dio. Ma negli scopi di Dio sta appunto
l’offerta di vita eterna, che non può provenire da noi stessi. È lo stesso
spazio del dramma che si trasforma nello spazio di una vita piena, intrisa di
gioia inattaccabile, allorché Dio e l’uomo si incontrano, esperienza sempre
misteriosa e imprevedibile.