Terzo ciclo

Anno liturgico B (2008-2009)

Tempo Ordinario

 

19a Domenica

(9 agosto 2009)

 

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1Re 19,4-8;  Sal 33;  Ef 4,30-5,2;  Gv 6,41-51

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Tutto il lungo discorso eucaristico di Gesù narrato nel cap. 6 di Giovanni può essere letto come l’illustrazione della difficoltà per l’uomo di cogliere e accogliere i segreti di Dio. Gesù si premura di spiegare, di convincere, ma pochi cuori si apriranno alla sua rivelazione. Eppure gli ascoltatori, nelle loro interrogazioni, dimostrano di cogliere nel segno, sebbene non sappiano poi tirare le giuste conclusioni. Nei versetti precedenti rispetto al brano proclamato oggi, davanti all’offerta di un pane speciale da parte di Gesù, tutti chiedono:dacci allora questo pane!’. Come la samaritana al pozzo, quando Gesù le parla di un’acqua speciale, chiede di averla. Forse, la richiesta, qui come là, nasconde una punta di ironia: sarebbe bello avere l’acqua, avere il pane, in modo da non avere più sete o fame, in modo da non fare più fatica a procurarsi il nutrimento, ma evidentemente non è possibile; chi promette quelle cose è un imbonitore e basta. Tuttavia, il desiderio del cuore è pur sempre quello e resta profondamente vero: il cuore cerca davvero un’acqua e un pane speciali, che ristorino, che rigenerino, che fortifichino, che facciano gustare la vita.

Come sempre nel vangelo di Giovanni, ma in particolare in questo dialogo, le espressioni hanno un valore intensivo. Tutto può suonare in una certa ovvietà, materiale o religiosa, eppure tutto può avere sfumature insospettate. I verbi usati: discendere, mangiare, vedere, credere, imparare, hanno tutti risonanze, scritturistiche e interiori, impensabili. Gesù cerca di illustrare il mistero che costituisce la sua persona come il segreto di Dio svelato agli uomini che, pur immensamente desiderabile, non è facilmente ricevibile. Perché? La reazione della gente al fatto che Gesù si presenti come il pane della vita è rivelatrice. Di per sé la gente non rifiuta l’equiparazione di Gesù al pane di vita; rifiuta l’affermazione che lui discenda dal cielo. Loro ne conoscono la sua origine: conoscono la famiglia, la provenienza (cf. Mt 13,55; Mc 6,3; Lc 4,22; Gv 7,15). Come può dire di venire dal cielo? Forse c’è l’allusione alla credenza che del Messia non si potesse sapere l’origine oppure, velatamente, potrebbe esserci un’allusione alla nascita verginale di Gesù. Il fatto comunque è che la rivelazione definitiva di Dio è ormai l’umanità di Gesù, tanto che mangiare la carne del Figlio dell’uomo significa assimilare il Figlio di Dio fino a vivere di lui. Non è possibile che l’uomo non desideri la presenza del Signore e il suo amore e proprio quando gli viene rivelato che quel desiderio può essere soddisfatto fa resistenza. Perché i cuori non riescono a vedere?

Gesù aveva notato che la gente l’aveva visto ma non aveva creduto; ricorda poi che chi lo vede e crede ha la vita. C’è un modo di vedere senza arrivare a credere come un modo di credere senza arrivare a vedere. Il vedere santo, potremmo chiamarlo così, è quello che impegna il cuore ad aderire a Dio accogliendo il suo segreto per noi, tanto da vivere della potenza di vita e di amore che quel segreto comporta. Quel segreto si svela con il Figlio dell’uomo, dato per noi, che consegna il suo Spirito a noi perché anche noi possiamo vivere nella stessa dinamica di rivelazione dell’amore di Dio per gli uomini. Tra l’altro, quando Gesù dichiara che, essendo il pane della vita, risusciterà nell’ultimo giorno chi a lui viene, non allude tanto alla risurrezione finale, ma al dono del suo Spirito dalla croce. L’ultimo giorno, quello in cui termina la creazione dell’uomo, è il sesto giorno della morte di Gesù in croce allorquando, completata la sua opera, dona lo Spirito (cf. Gv 19,30) e la vita definitiva comincerà ad essere realtà goduta (cf. Gv 7,37-38). Il paragone tra gli israeliti che hanno mangiato la manna e sono morti e i credenti in Cristo che non gusteranno la morte verte non sul fatto della morte in sé, che tocca tutti, ma sul fatto che, pur avendo mangiato la manna, sono morti nel deserto, senza arrivare alla terra promessa, mentre coloro che credono in Cristo gusteranno la promessa di Dio.  Ci possiamo allora chiedere: perché, pur desiderando la vita, i cuori non l’accolgono?

Forse la risposta va cercata proprio in quel movimento di discesa che caratterizza l’agire di Dio. Ildiscendere dal cielo’ non indica semplicemente la provenienza di Gesù; indica piuttosto il movimento dell’abbassarsi di Dio per comunicare il suo amore e far vivere. Gli uomini non amano abbassarsi, benché vogliano la vita e desiderino l’amore e quindi pensano sempre in termini di grandezza mondana, dove il potente prevale sul debole, dove l’alto la spunta sul basso, dove l’affermazione di sé presuppone l’innalzamento. Gesù, quando parla di innalzamento, allude sempre al suo essere innalzato sulla croce, là dove risplende l’amore di Dio per l’uomo.

Il brano della lettera agli Efesini, che leggiamo tutte le settimane nell’ora di compieta, al mercoledì, lo illustra meravigliosamente: “Siate invece benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato a voi in Cristo. Fatevi dunque imitatori di Dio, quali figli carissimi, e camminate nella carità, nel modo in cui anche Cristo ci ha amato e ha dato se stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore”. Quello che qui è reso “perdonandovi a vicenda”, in greco è un verbo altamente significativo. Non si tratta dell’usuale ‘perdonarsi’, ma di un verbo che alla lettera si dovrebbe rendere “facendovi grazia gli uni gli altri come Dio ha fatto grazia di sé in Cristo a voi. Diventate quindi imitatori di Dio”. Come lui ha fatto dono di sé agli uomini in Cristo, così noi siamo chiamati a fare dono di noi agli altri in Cristo. Ora, tutta la difficoltà per l’uomo deriva proprio dal fatto che invece di accogliere la grazia ne cerca una a sua misura. Ma non esiste altra grazia se non quella, da parte di Dio, del  suo ‘far grazia di Sé’ a noi, in benevolenza e misericordia, nel Cristo. Qui è racchiusa tutta l’abbondanza di vita che una rivelazione siffatta promette. La frase di Paolo in effetti continua: “se anche voi perdonerete”, cioè farete grazia di voi a tutti in Cristo, per indicare che, se il segreto di Dio è racchiuso in quella rivelazione, pure il nostro cuore trova in quel segreto le radici dei suoi sogni per sé e per il mondo. Aprire il cuore al credere significa approdare alla percezione di quella grazia, grazia che apre alla bellezza di un amore gustato e condiviso, nell’accondiscendere a quel movimento di abbassamento perché risplenda in questo mondo l’amore di Dio. La fede è proprio a servizio dello splendore di quell’amore che ‘discende dall’alto’ e di cui il pane eucaristico è simbolo perfetto.