Terzo ciclo
Anno liturgico B (2008-2009)
Tempo Ordinario
17a Domenica
(26 luglio 2009)
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2Re
4,42-44; Sal 144, Ef 4,1-6;
Gv 6,1-15
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Lo stesso miracolo della
moltiplicazione dei pani è narrato anche dai sinottici (Mt 14,13-21; Mc
6,30-44; Lc 9,10-17) ma la liturgia, invece che seguire il testo di Marco,
normalmente seguito nel corso dell’anno, preferisce il racconto di Giovanni. Il
testo di Giovanni non solo narra il miracolo, ma ne svela il suo contenuto
simbolico e lo commenta con un lungo discorso di Gesù, discorso che la liturgia
riprenderà per esteso nelle domeniche successive.
La rivelazione di Gesù che
l’evangelista vuole presentare è ottenuta sovrapponendo il racconto del
miracolo con la trama della storia di Israele e la celebrazione liturgica
dell’eucaristia della chiesa. La moltiplicazione dei pani per sfamare la gente
è un gesto messianico e la folla sente giusto, anche se interpreta male. Era
dovere del Messia assicurare il pane al popolo e in ciò si allude alla figura
di Davide (cfr. 2Sam 6,19). Di fronte alla richiesta di carne da parte del
popolo in un clima di rivolta generale, Mosè si chiede davanti a Dio: “Da dove prenderò la carne da dare a tutto
questo popolo?” (Nm 11,13), espressione che Gesù stesso riprende. Il regno
messianico era presentato nei libri sapienziali sotto l’immagine di un
banchetto al quale la Sapienza invitava tutti: “Avvicinatevi a me, voi che mi desiderate, e saziatevi dei miei frutti
... Quanti si nutrono di me avranno ancora fame e quanti bevono di me avranno
ancora sete” (Sir 24,19.21); “Venite,
mangiate il mio pane, bevete il vino che io ho preparato” (Sap 9,5).
Luogo e tempo dell’evento rimandano
alla storia dell’alleanza di Dio con il popolo. Siamo nel deserto, prossimi
alla festa della Pasqua, in occasione di un pasto, con una disposizione
particolare dei partecipanti (a gruppi di cento e cinquanta). Sono tutte
allusioni all’organizzazione del popolo nel deserto secondo i racconti del
Pentateuco, specialmente in occasione della conclusione dell’Alleanza tra Dio e
il suo popolo. È lui, Gesù, come ribadirà nel suo discorso, il vero Pane
disceso dal cielo che nutre e dà la vita, che ristora e dà riposo, nel quale
celebrare la definitiva Alleanza tra Dio e il popolo. Gli accenni al
raccogliere gli avanzi valgono a sottolineare la sovrabbondanza di grazia di
questa alleanza, data a tutti, oltre la quale non c’è nulla di significativo
che possa colmare i desideri degli uomini.
D’altra parte, tutto il contesto allude
alla celebrazione dell’eucaristia, di cui il miracolo è simbolo. I verbi usati
per descrivere il miracolo (prese, rese grazie, diede) sono i verbi
caratteristici della celebrazione eucaristica. Il racconto non ha il sapore di
un semplice ricordo, ma la potenza di un ‘memoriale’ che si rinnova e partecipa
la grazia che racchiude, grazia che arriva fino a noi che leggiamo o
ascoltiamo. Non va dimenticato che Giovanni non racconta l’istituzione
dell’eucaristia che ci dà la vita del Figlio, essendo l’argomento di tutto il
suo vangelo. Il suo cap. 6 ne illumina il mistero.
Vedendo il comportamento della folla,
prima entusiasta, tanto da dire con il canto al vangelo: “Un grande profeta è sorto tra noi, e Dio ha visitato il suo popolo”,
poi delusa e latitante, ci possiamo chiedere perché sia così difficile per
l’uomo entrare nel progetto di Dio e accogliere la Sua grazia. Seguire il
Signore è diverso che desiderare il Signore. Rammentando un altro passo del
vangelo, potremmo rispondere che effettivamente troviamo se cerchiamo ma non
troveremo quello che cerchiamo. Se la grazia è grazia, vuol dire che non è
semplicemente in funzione dei nostri desideri, sebbene sia proprio la grazia a
colmare davvero i nostri desideri. Riecheggiano i passi del salmo 144: “Giusto è il Signore in tutte le sue vie e
buono in tutte le sue opere. Il Signore è vicino a chiunque lo invoca, a quanti
lo invocano con sincerità. Appaga il desiderio di quelli che lo temono, ascolta
il loro grido e li salva”. Come a dire: se vogliamo il pane e non la gioia
di colui che ce lo dà per essere in comunione con lui, come pensare di essere
esauditi? Non rivivremo lo stesso esito della folla?
Nella scena del miracolo, gli apostoli
agiscono da intermediari. Sono ‘strumenti’ perché la compassione del Signore
raggiunga tutti e tutti siano sfamati. C’è l’allusione al compito dei ministri
della chiesa: spezzare il pane della Parola per l’intelligenza della fede.
Gesù, prima del miracolo, era salito
sul monte (il vangelo di Giovanni non riporta il discorso delle beatitudini
sulla montagna), poi sfama la folla moltiplicando i pani, non creandoli
(potremmo pensare all’episodio della tentazione di Gesù nel deserto narrato dai
sinottici, dove appunto è tentato di trasformare le pietre in pani per
dimostrare a tutti che lui è il Messia) ma alla fine resta solo, è costretto a
star solo per non compromettere la sua missione. Solitudine, che sarà
accentuata drammaticamente dall’abbandono dei discepoli dopo il suo lungo
discorso in chiave eucaristica a commento del miracolo.
L’esito sarà dunque drammatico. Tutti
mangiano, tutti si entusiasmano ma nessuno in realtà sa vedere l’opera di Dio.
Gesù si darà da fare per cercare di far capire, ma invano. Gli uomini potranno
capire solo dopo che avranno rimirato Colui che hanno trafitto. Quel pane
mangiato diventerà pane di vita solo quando parlerà di quella passione d’amore
di Dio per l’uomo. L’amore di Dio per l’uomo non lavora mai secondo il registro
della potenza, così caro agli uomini, i quali vorrebbero soddisfare i loro
desideri servendosi di Dio, invece che aprire i loro desideri a Dio e
accoglierne la grazia. In realtà, tutta la difficoltà per il cuore degli uomini
nei confronti di Dio risiede qui. Gesù sa bene questo e pur cercando in ogni
modo di aprire la mente degli ascoltatori, nelle varie occasioni, sa di dover
andare a Gerusalemme, dove la verità del suo amore per gli uomini si farà
splendente da conquistare finalmente i cuori e infiammarli dello stesso amore.