Terzo ciclo
Anno liturgico B (2008-2009)
Tempo Ordinario
16a Domenica
(19 luglio 2009)
_________________________________________________
Ger
23,1-6; Sal 22; Ef 2,13-18;
Mc 6,30-34
_________________________________________________
L’immagine che fa da sfondo a tutta la
liturgia di oggi è quella del pastore. Nel brano di Geremia Dio rimprovera i
cattivi pastori perché non hanno cura delle sue pecore e promette che lui
stesso si incaricherà di pascere le sue pecore. Il salmo responsoriale riprende
quella promessa di Dio e la mostra compiuta nell’anima: “Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla”. Il brano di
vangelo, a sua volta, mostra in Gesù colui che adempie quel desiderio di Dio
tanto che diventa lui stesso il ‘buon pastore’.
Il vangelo annota che Gesù davanti alla
moltitudine ‘ebbe compassione di loro,
perché erano come pecore che non hanno pastore’. Il brano fa parte del
racconto della missione degli apostoli, racconto che era iniziato proprio con
l’annotazione che Gesù ‘sentì compassione’
(cfr Mt 9,36) e si chiude con l’annuncio eucaristico, simboleggiato dal
miracolo della moltiplicazione dei pani, introdotto con la commozione di Gesù
davanti alle folle. La compassione di Gesù per l’umanità è alla radice della
sua missione sia come rivelatore del Padre che come salvatore. In essa prendono
senso e valore tutti i suoi gesti e le sue parole, come anche tutte le parole e
le opere di Dio lungo la storia sacra. Per il nostro cuore è estremamente
importante riuscire a percepire almeno gli echi di quella compassione. E se
Gesù prova compassione è perché sa che può dire: “Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò
ristoro” (Mt 11,28). E ancora perché sa che il cuore dell'uomo cerca il
ristoro e se non lo trova è perché si illude di trovarlo fuori di Lui. Così
quando, mosso dalla sua compassione, Gesù invita i discepoli a pregare perché
il Padre mandi operai nella sua messe, fa pregare non solo perché mandi tanti
operai, ma soprattutto perché ne mandi di quelli che si muoveranno spinti dalla
stessa sua compassione. Gli operai che lavorassero in questa messe immensa,
senza essere il riflesso di questo amore e di questa compassione, non
favorirebbero il ristoro del cuore degli uomini. Ma come diventare il riflesso
dell' amore e della compassione di Dio per gli uomini senza la preghiera? Per
questo Gesù fa pregare, trattiene in disparte gli apostoli, li tiene in sua
compagnia.
Un particolare del brano apre orizzonti
insospettati. Quando Gesù invita in disparte gli apostoli, lo fa perché si
riposino un poco. L’accenno al riposarsi
è misterioso. Si tratta dello stesso termine che ricorre nell’affermazione di
Gesù: “Venite a me … e io vi darò
ristoro... e troverete ristoro”. Quel ‘ristoro/riposo’ corrisponde al
movimento della sua compassione che viene incontro all’uomo perché l’uomo,
agitato, tormentato, sfinito, finalmente si riposi. Ma esso pesca nel riposo di
Dio il settimo giorno della creazione, riposo che viene ripreso dal salmo
responsoriale. Gli antichi rabbini hanno pensato che vi fu un atto di creazione
anche il settimo giorno: “Che cosa è stato creato il settimo giorno? La
‘menuchà’, la tranquillità, la serenità, la pace e il riposo” (Cfr Gen Rabbà,
10, 9). È lo stato in cui non vi è contesa né lotta, né paura né diffidenza; è
felicità, pace e armonia; vita nel mondo futuro, vita eterna. Quando nel salmo
si proclama: “Il Signore è il mio
pastore, non manco di nulla; su pascoli erbosi mi fa riposare, ad acque
tranquille mi conduce” (Sal 23,1-2) si allude proprio alle acque di
‘menuchoth’. Stessa allusione che troviamo nelle parole del Signore Gesù quando
dice ai suoi discepoli: “Venite a me, voi
tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo
sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete
ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero”
(Mt 11,28-31). Vi darò ristoro = vi farò riposare; sarò la vostra felicità,
pace, riposo. L’umiltà/mitezza che lo definisce costituisce la cifra della luce
della santità di Dio che si riversa sul mondo e che abilita a quello sguardo
capace di cogliere il mondo nel suo insieme.
È singolare che Gesù inviti i discepoli
a starsene in disparte, a cercare un luogo solitario per riposare e che contemporaneamente
si trovino davanti una folla numerosa, della quale Gesù ha compassione. Quando
i discepoli annunceranno il regno di Dio non faranno che far arrivare ai cuori
l'eco della compassione di Gesù, buon
pastore, mandato a riunire i figli di Dio dispersi. L'annuncio che non provenga
dalla condivisione, dalla solidarietà con quella compassione sarà piatto e
ripetitivo e non toccherà i cuori. D'altra parte, se i discepoli non
impareranno a starsene in disparte con il loro Signore, non sentiranno la profondità
di quella compassione e non potranno annunciare con potenza il regno di Dio. La
vivacità, la vitalità - nel senso di portare la vita - della parola di Dio
trova qui le sue radici.
Inviando gli apostoli in missione, Gesù
li aveva forniti delle stesse sue prerogative: ‘scacciare i demoni, guarire
ogni malattia e infermità’. Nessuno può proclamare la verità della vita a
titolo proprio, come nessuno può procurare ristoro al cuore degli uomini a
titolo proprio. La verità e il ristoro che essa procura procedono dall'alto,
esprimono la compassione di Dio che raggiunge il cuore degli uomini, in Cristo.
E se il discepolo non lascia intravedere chiaramente tale rimando, non è un
‘chiamato’, un ‘inviato’, lavora per la sua gloria e non potrà sanare nessuno.