Terzo ciclo
Anno liturgico B (2008-2009)
Tempo Ordinario
15a Domenica
(12 luglio 2009)
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Am
7,12-15; Sal 84; Ef 1,3-14;
Mc 6,7-13
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La bellissima colletta di oggi
interpreta assai bene gli aneliti profondi dei cuori: "Donaci, o Padre, di
non avere nulla di più caro del tuo Figlio, che rivela al mondo il mistero del
tuo amore e la vera dignità dell'uomo; colmaci del tuo Spirito, perché lo
annunziamo ai fratelli con la fede e con le opere". È il desiderio che il
Volto del Signore si riveli nel suo splendore al nostro come al cuore di tutti.
E questo splendore è lo splendore dell'amore per noi, fonte della nostra
dignità.
È dalla percezione di questa realtà
gustata nel cuore che sale l'inno di s. Paolo al Signore: “Benedetto Dio, Padre
del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione
spirituale nei cieli in Cristo. In lui ci ha scelti prima della creazione del
mondo ...” (Ef 1,3). Si tratta di una benedizione larga, onnicomprensiva, oltre
la quale non c'è più nulla di significativo per il cuore. È la stessa
benedizione che Gesù ci insegna con la preghiera del Padre nostro, benedizione
nella quale poter comprendere tutta la nostra vita, la storia dei nostri
fratelli, la nostra storia comune. La missione che Gesù affiderà ai suoi
apostoli mira a rendere percepibile, a far gustare ai cuori quella benedizione
perché si radichino in essa e non possano più vivere se non a partire da e
dentro di essa.
La colletta è anche il miglior commento
al brano evangelico. La pace che gli apostoli annunciano non solo deriva, ma è
lo stesso Figlio la cui preziosità per l’umanità appare dal fatto che lui è la
rivelazione al mondo del mistero dell’amore di Dio per gli uomini e in lui
l’uomo vi può radicare la sua dignità. Una volta che queste ragioni abbiano
fatto presa nel cuore, allora l’annunzio e la testimonianza saranno credibili
perché apparirà chiaro che quel Figlio è quanto di più caro il cuore possa
possedere. E se l’annunzio non può che svolgersi nell’azione dello Spirito
Santo ciò significa che il cuore accetta di ritrovare in tutto ciò che vive e
dice l’eco di ciò che ha vissuto e detto il Signore Gesù, di cui lo Spirito fa
memoria dentro di noi.
In questa prospettiva diventano più
comprensibili le ingiunzioni di Gesù ai suoi apostoli. Comanda loro di non
portare nulla con sé se non il bastone, i sandali e un’unica tunica. Il passo
parallelo di Matteo 10,8 è ancor più radicale: non devono portare neanche il
bastone e i sandali. Non solo, ma il comando espresso sgomenta: ‘guarite gli
infermi, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, cacciate i demoni’.
L’urgenza dell’annuncio è sottolineato con la radicalità della povertà dell’annunciatore,
che non deve essere intralciato da nulla, mentre la potenza dell’annuncio
concerne l’azione potente di Dio oltre il pensabile. In Marco, invece, nella
tenuta dell’apostolo, si può ravvisare l’allusione alla descrizione della
tenuta da viaggio del popolo all’uscita dall’Egitto raccontata in Es 12,11. Gli
apostoli guidano il nuovo esodo con l’annuncio del Regno di Dio che in Gesù si
manifesta. Ogni annuncio nella Chiesa ha così un sapore pasquale: comporta
l’esodo dall’Egitto e l’accoglienza del regno di Dio, dentro l’esperienza della
manifestazione della potenza di salvezza di Dio. Il gesto dello scuotere la
polvere dai piedi, quando non dovessero accogliere l’annuncio, - gesto che era
comune al pio israelita quando saliva in pellegrinaggio a Gerusalemme
proveniente da territori pagani e non voleva contaminare il sacro suolo
d’Israele -, assume anche questo significato: la pace che non avete raccolto
voi, non ha lasciato noi; avete la possibilità di rifiutarla, ma non avete il
potere di fermarla perché sarà rivolta ad altri; e se resta a noi, se è
condivisa da altri, è perché prima o poi la possiate desiderare anche voi; non
temete, sarà sempre vostra eredità. La forza dell’annuncio evangelico sta in
questo potere della pace di Dio che raggiunge tutti. La responsabilità dei
discepoli sta appunto nel far vedere la loro vita confermata da quella pace
perché possa apparire davvero desiderabile.
Quella pace ha un volto misterioso,
invisibile, che riluce, ma nel nostro cuore, ed è il volto del Signore Gesù. Ma
ha anche un volto visibile, costatabile, amabile, che è quello della fraternità
condivisa. Che cosa possono insegnare gli apostoli agli uomini se semplicemente
ripetono le parole del Signore? Le ripetono, sì, ma con potenza, con la potenza
di coloro che possono mostrare come siano diventate efficaci per il loro cuore.
E l'efficacia appare dalla fraternità condivisa. Ecco perché sono mandati ad
annunciare la Buona Novella non da soli, ma a due a due. É la stessa
rivelazione del Padre Nostro, allorquando la fraternità vissuta ('venga il tuo
regno', venga cioè lo Spirito del Signore a renderci un corpo solo e un'anima
sola, così come preghiamo anche nel canone eucaristico) rivela a tutti il volto
di Dio come Padre, rivela il suo amore per gli uomini. E come ottenere questo
senza la preghiera: "Donaci, o Padre, di non avere nulla di più caro del
tuo Figlio", lui che ha rivelato in tutto il suo splendore l'amore di Dio
per gli uomini e la grandezza della vocazione dell'uomo. Credo sia assai significativo
che la chiesa vincoli l’intelligenza della verità al fatto di percepirla capace
di interferire con le radici del nostro cuore (‘donaci di non avere nulla di
più caro’), dentro cioè la possibilità di un’esperienza che renda la verità
amabile e rigenerante.
Nel salmo responsoriale si canta:
“Misericordia e verità si incontreranno, giustizia e pace si baceranno”.
L’amore di misericordia di Dio per l’uomo tocca chi è disposto a non vivere
nell’illusione, a vedere il suo peccato, a riconoscersi debitore di verità
presso Dio, così che la santità di Dio, lo splendore del suo amore per noi, si
risolva in desiderio di pace con tutti, in solidarietà con l’umanità di tutti.
Siamo chiamati proprio a essere profeti, annunciatori di quella pace che
guarisce e ristora, da viverla come il tesoro più prezioso del cuore e la
rivelazione della bellezza del volto di Dio, in Gesù.