Terzo ciclo
Anno liturgico B (2008-2009)
Tempo di Natale
Battesimo del
Signore
(11 gennaio 2009)
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Is
55,1-11; Sal: Is 12,2-6; 1Gv 5,1-9;
Mc 1,7-11
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Il mistero del battesimo di Gesù faceva
parte della celebrazione della festa dell’Epifania. L’antifona al Benedictus
della liturgia delle ore lo ricordava stupendamente: “Oggi la Chiesa, lavata
dalla colpa nel fiume Giordano, si unisce a Cristo, suo Sposo; accorrono i magi
con doni alle nozze regali e l’acqua cambiata in vino rallegra la mensa”. La
festa di oggi è stata iscritta nel calendario romano solo nel 1960 ed è stata
fissata alla data attuale nel 1969.
Il venire di Gesù al Giordano a farsi
battezzare dà inizio alla sua vita pubblica, avvia il compimento di quello per
cui è stato mandato: la salvezza degli uomini. Il primo gesto di Gesù, nel
compiere la sua missione, è quello di stare solidale con i peccatori. Lui,
l’Innocente, l’Agnello che toglie i peccati del mondo, è in fila con i
peccatori per ricevere il battesimo di penitenza di Giovanni. Lui non ha
bisogno del battesimo. Perché allora viene a farsi battezzare? Viene per
celebrare il suo sposalizio: nella
sua umanità oramai è lavata tutta l’umanità, che può stare unita a lui e
godere, come lui, di quello Spirito che come colomba si posa sul suo capo, capo
del suo corpo che siamo noi. Nessuno può ancora vedere lo Spirito però; solo
Gesù, uscendo dalle acque, lo può vedere perché ne è ripieno ed anche Giovanni,
che con quel battesimo dato a Gesù finisce la sua opera di battezzatore per
lasciare posto a lui, al suo nuovo battesimo, il battesimo nello Spirito. Si
potrà vedere allorquando, compiuta la sua missione, avendo patito per gli
uomini, morto e risorto, lo effonderà come lingue di fuoco sugli apostoli.
Vedere lo Spirito Santo significa poter penetrare nei cieli ormai aperti,
significa aver sperimentato in tutta la sua potenza quel compiacimento che la voce proclama da parte di Dio su Gesù.
Il racconto di Marco è densissimo di
allusioni. Se i profeti (cf. Ml 3,22) motivavano l’invito a emendarsi mirando
al passato, richiamando cioè Mosè e la Legge, con il Battista oramai si guarda
al futuro, alla venuta di colui che battezzerà in Spirito Santo. L’azione dello
Spirito è di far sì che l’uomo appartenga a Dio (cf. Ez 36,28; Is 44,5) e
denominarlo Santo, oltre che alludere
alla natura divina, significa sottolinearne l’azione specifica: introdurre
l’uomo nella sfera divina, consacrarlo nella fedeltà a Dio. Con il suo
battesimo, a differenza di tutti coloro che ricevono il battesimo di Giovanni,
Gesù non confessa la sua complicità con il male, ma manifesta la disposizione
di offerta totale di sé: si impegna a compiere la sua missione a favore degli uomini
disposto a non risparmiare nemmeno la sua vita. Si tratta di compiere l’esodo
definitivo per il nuovo popolo dell’alleanza.
In effetti, la visione dello Spirito è
collocata in un momento preciso: “E,
subito, uscendo dall’acqua, vide squarciarsi i cieli e lo Spirito discendere
verso di lui come una colomba”. Successivamente “venne una voce dal cielo ...”. Il verbo squarciarsi, ripreso alla
fine del vangelo con il velo del tempio che si squarcia in due da cima a fondo
(Mc 15,38), segnala l’irreversibilità del movimento, come per alludere che Dio
non può contenere il suo amore quando incontra un amore come il suo. Non c’è
più chiusura tra cielo e terra, tra Dio e uomo e lo Spirito scende su Gesù come
nel suo luogo desiderato. La voce lo conferma: “Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento”.
Come a dire: colui che si consegna per amore degli uomini è il luogo naturale
dello Spirito di Dio. Con l’allusione, nell’immagine della colomba, allo
Spirito Creatore di Gen 1,2, il quale in Gesù porta a compimento la creazione
dell’uomo, portandola alla pienezza umana, ricolma di Spirito.
In quel ‘Figlio mio, l’amato’ risuona
l’eco dell’esperienza di Abramo al quale viene chiesto di sacrificare Isacco,
il figlio unico, che amava (cf. Gen 22,2). O ancora, l’eco della parabola dei
vignaioli assassini, in Mc 12,6, quando il padrone della vigna pensa al suo
figlio prediletto da mandare ai vignaioli che non vogliono consegnare il
raccolto e che poi lo mettono a morte. Se quell’aggettivo ‘prediletto’ rivela
la radicalità della fede di Abramo, che davanti al suo Dio accetta di
sacrificare il suo cuore, a maggior ragione rivela la radicalità dell’amore di
Dio per l’umanità essendo disposto a mandare il suo Figlio a coloro che ne
faranno scempio. L’aggiunta “in te ho
posto il mio compiacimento” rivela tutta la profondità del mistero. ‘In te’, non è più solo rivolto al Figlio
nella sua divinità, ma al Figlio, Dio fatto uomo. In quel Figlio, Dio-uomo,
l’Amore del Padre è perfetto perché in lui si può contemplare tutta
l’estensione e la profondità di quell’Amore che realizza compiutamente il suo
sogno sulla creazione e sull’umanità.
Chiamare Gesù ‘il Figlio mio’ non
esprime solo la qualità di essere di Gesù per cui Dio, oramai, è il Padre di
Gesù, ma anche la sottolineatura che il Figlio agisce e si comporta come Dio,
il Padre. La dedizione di Gesù in favore degli uomini, per cui il battesimo è
simbolo della morte volontariamente accettata, come riporta il canto al
vangelo: “Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo”, è la
rivelazione dell’amore di Dio per l’umanità. Il Padre rivela che il suo
atteggiamento verso gli uomini è lo stesso manifestato da Gesù. In Gesù
possiamo vedere chi è Dio. Tutto il vangelo sarà lì a mostrarlo, nelle parole come
nelle azioni di Gesù.