Terzo ciclo

Anno liturgico B (2008-2009)

Tempo di Natale

 

2a Domenica

(4 gennaio 2009)

 

_________________________________________________

Sir 24,1-12;  Sal 147;  Ef 1,3-6.15-18;  Gv 1,1-18

_________________________________________________

 

Il Verbo si è fatto carne e ha posto la sua dimora in mezzo a noi” è il ritornello della liturgia di questa domenica natalizia. Il mondo non si è accorto di nulla perché ‘nel quieto silenzio che avvolgeva ogni cosa … il tuo Verbo onnipotente, o Signore, è sceso dal cielo, dal trono regale’, come canta l’antifona d’ingresso. Ma chi ha ricevuto la grazia di poter vedere non ha potuto frenare la gioia e in quella gioia ha sentito tutta la grandezza dell’amore di Dio, tutta la bellezza della creazione, il senso e lo scopo di tutta la storia umana. La storia dell’uomo è oramai visibilmente storia di Dio, storia divina. La colletta ci fa pregare: “Padre di eterna gloria, che nel tuo unico Figlio ci hai scelti e amati prima della creazione del mondo e in lui, sapienza incarnata, sei venuto a piantare in mezzo a noi la tua tenda, illuminaci con il tuo Spirito perché accogliendo il mistero del tuo amore, pregustiamo la gioia che ci attende, come figli ed eredi del regno”. È il motivo della solenne, larga benedizione che sale dal cuore dei credenti, come riporta Paolo: “Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli, in Cristo”.

Come non interpretare allora le nostre così frequenti ‘lamentele’ nella vita come una mancata rivelazione, come un’impossibilità di accedere a quel certo orizzonte dove tutto è bagnato dalla luce di quella benedizione? E se davvero i nostri occhi si sono aperti per riconoscere la venuta tra noi di colui che custodisce quella benedizione, perché smarrirci allora nelle paure e nelle angosce, come se qualcosa di essenziale ci mancasse ancora?

Se davvero l’uomo è fatto su Dio e per Dio, allora l’argomentazione dell’evangelista Giovanni nel prologo del suo vangelo suona stringente: “Dio nessuno l’ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato”. Lui è la Verità su Dio e Dio ormai non è che il Padre del Signore Gesù Cristo e se vogliamo accedere a tale Padre, il Figlio è la via. Ma la verità su Dio comporta la verità sull’uomo e perciò: “A quanti però l’hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio; a quelli che credono nel suo nome, i quali … da Dio sono stati generati”. Il Signore Gesù Cristo, con il dono del Suo Spirito, di cui la gloria che gli angeli rivelano ai pastori è come un rimando, ci fa fruitori di quello sguardo di compiacenza del Padre su di Lui (“Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto”, Mt 3,17). Ecco perciò la verità dell’incarnazione: Dio si fa uomo perché l’uomo possa farsi Dio. E si può commentare: quello che Dio da sempre ha sognato (“in lui ci ha scelti prima della creazione del mondo”), cioè unire a sé l’uomo per farlo partecipe della sua gioia nell’amore scambievole, nel Cristo finalmente si realizza. In lui divinità e umanità sono inscindibilmente unite, Dio finalmente risplende nell’uomo e l’uomo risplende del suo Dio. E se tutto diventerà più svelato con la morte e risurrezione di Gesù, già però se ne può intravedere il mistero fin dalla sua nascita dalla Vergine Maria, almeno per coloro che gli si avvicinano con stupore e sanno vedere nelle parole e negli eventi che lo riguardano gli indizi della sua gloria.

Nelle sue poesie sul mistero del Natale s. Efrem canta: “Maria è il giardino sul quale discese dal Padre la pioggia della benedizione; di quella effusione lei asperse il volto di Adamo”. Facendo parlare la stessa Madre di Dio, vede nel riferimento a Cristo lo scopo supremo della vita, capace di una visione nuova, trasformante: “Se una madre ha un bambino, questo diventa fratello del mio diletto. Se ha una figlia o una congiunta, questa diventa la sposa del mio Signore. Colui che ha un servo, gli conceda la libertà, affinché venga per servire il suo Signore … A causa tua una serva diventa libera. Se una ti ama, c’è nel suo seno una invisibile liberazione”.

Se prima della creazione del mondo, l’uomo è stato pensato da Dio in funzione della capacità di portare la bellezza del Figlio di Dio, allora come non vedere nell’esperienza della conoscenza di quel Figlio, ormai diventato Figlio dell’uomo, l’esito supremo della vita, il compimento di ogni desiderio di verità e bellezza? È in ragione di questa possibilità che l’annuncio evangelico si rivolge a tutti, a tutte le genti, a tutto l’uomo. Ed è in ragione di questo annuncio che il credente in Cristo vive ormai la sua vita, pronto a donarla perché la gioia dell’altro si compia e su tutti risplenda la gloria del Signore. Ma come attendere alla gioia dell’altro se questa non prorompe, profonda, limpida, nel proprio cuore? Quando s. Gregorio di Nissa si domanda quale sia quel regno dei cieli che si trova dentro di noi (cfr. Lc 17,21) non può che rispondere: “Di cos’altro si può trattare, se non della gioia che si riversa dall’alto nelle anime tramite lo Spirito? Essa è come l’immagine, la garanzia e la prova della gioia eterna di cui godranno le anime dei santi nel secolo che attendono”. Proprio ciò che chiediamo nella colletta, con la richiesta di fare anche noi la stessa esperienza dell’apostolo Giovanni e di entrare anche noi in quel circolo di benedizione che descrive Paolo. A tal punto che, se davvero quella benedizione è sopra di noi e sgorga profonda dal nostro cuore, come cercare altrove quello di cui ha bisogno il nostro cuore, come avere paura di veder scemare la speranza che portiamo, come volere dal prossimo quello che invece a lui dobbiamo nel segno della condivisione di quella benedizione? Del resto, è proprio questo l’argomento e l’orizzonte della preghiera, luogo di adorazione e di memoria perché e finché quella benedizione ci conquisti e conquisti il mondo con la sua pace.