Terzo ciclo
Anno liturgico B (2008-2009)
Solennità e Feste
Ss. Trinità
(7 giugno 2009)
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Deut
4,32-40; Sal 32; Rom 8,14-17;
Mt 28,16-20
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La liturgia oggi celebra la confessione
della fede in Dio Padre, Figlio e Spirito Santo. Ora, la confessione della fede
non esprime semplicemente la convinzione dei credenti in certi dati di verità,
ma più propriamente esprime l’esperienza che ha permesso la formulazione di
quei dati. Il principio della proclamazione del Credo nella liturgia, come di
tutte le formule di confessione della fede, si radica nella grande esperienza
religiosa del popolo di Israele: Dio non è un oggetto di conoscenza, ma un Soggetto
di relazione. Non si arriva a Dio per via speculativa, ma dentro una storia di
salvezza, accogliendo l’iniziativa di Dio. Dire “io credo” significa prima di
tutto dire: benedico colui che ha fatto questo e questo per me, accetto di
rispondere all’alleanza che ha voluto offrirmi, sono suo servo, erede delle sue
promesse e fruitore del suo regno. La proclamazione delle Scritture come la
celebrazione liturgica sono percepite come ‘memoriale’ dell’iniziativa di Dio
per l’uomo, il quale è chiamato a riconoscere l’amore di Dio per lui nella sua
storia che diventa sacra, storia di salvezza.
Celebrare il nome del Padre, del Figlio
e dello Spirito Santo significa dunque riconoscere l’azione del Padre, del
Figlio e dello Spirito Santo nel mondo, in me, azione che essenzialmente è
azione di salvezza, azione di rivelazione del loro amore e della sua
condivisione. Nel salmo 32,11 si canta: “Ma
il disegno del Signore sussiste per sempre, i progetti del suo cuore per tutte
le generazioni”. È il versetto che presiede al commento al Padre nostro di
s. Massimo Confessore. Tutto quanto Dio ha da dirci e tutto quanto Dio compie
per noi si ritrova nella mirabile preghiera del Padre nostro, sintesi del
mistero della Trinità. Tramite Gesù e in Gesù possiamo aprirci a quel mistero,
restarne sopraffatti e stupiti e adoranti. Ed è da dentro quello stupore e
quella adorazione che possiamo ‘pretendere’ di sfiorare la conoscenza del Volto
di Dio, del suo amore immenso per noi. Quello che a noi manca nel
recitare/proclamare la preghiera è la profondità di intimità con cui è stata
proferita e insegnata da Gesù stesso. Ma solo guidati da quella intimità
arriviamo a Dio in verità.
Quando nella lettera ai Romani Paolo
proclama che i figli di Dio (= coloro che conoscono Dio) sono coloro che lo
Spirito di Dio guida, dobbiamo intendere: lo Spirito, inviato da Gesù, ci guida
a entrare nell’alleanza che Dio ci offre in Gesù, ci guida a proclamare il
‘Padre nostro’ in piena verità per il nostro cuore, condividendo secondo la
capacità del nostro cuore la stessa intimità di vita e di conoscenza del
Signore Gesù con il Padre, nello Spirito. Solo così possiamo sperare di
osservare i comandamenti di Dio, come ci ricordava la prima lettura. La pratica
dei comandamenti presuppone l’esperienza della visione: per gli israeliti,
l’intervento di Dio nell’Egitto e la rivelazione sul Sinai; per i cristiani,
l’esperienza dell’intimità di conoscenza del Signore Gesù, percepito presente e
capace di soddisfare ogni desiderio, e dalla parte di Dio (ci fa conoscere in verità
il volto di Dio) e dalla parte dell’uomo (ne compie l’umanità fino a farla
risplendere in tutta la sua autenticità), come lui stesso proclama: “A me è stato dato ogni potere in cielo e
sulla terra… Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”.
In effetti i comandamenti di Dio non provengono da un imperativo morale, ma
sono in funzione di un’alleanza.
Ci aiuta a collocarci nel clima
interiore adatto a cogliere la qualità del mistero della festa di oggi anche il
passo evangelico: “Ti rendo lode, Padre,
Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e
ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso
nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio ...” (cf. Mt
11,25-30). Si tratta forse di uno dei passi più solenni e più intimi del
vangelo. Tutto deriva dalla benevolenza di Dio per l’uomo. A Lui è piaciuto
cercare l’uomo, volerlo compagno del suo amore. In Gesù l’ha trovato e in Lui
trova tutti noi. La compiacenza che il Padre ha espresso per Gesù al battesimo
e nella trasfigurazione (“Questi è il mio Figlio prediletto, nel quale mi sono
compiaciuto”) è onnicomprensiva di tutti i figli degli uomini perché l’amore di
Dio risplenda e la gioia dell’amore sia condivisibile tra Dio e l’uomo. Proprio
quello che il mistero della Trinità proclama.