Terzo ciclo
Anno liturgico B (2008-2009)
Tempo di Avvento
4a Domenica
(21 dicembre 2008)
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2Sam
7,1-16; Sal 88; Rm 16,25-27;
Lc 1,26-38
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La liturgia della quarta domenica è
centrata sulla proclamazione dell’amore eterno di Dio al suo popolo: “È un amore edificato per sempre” (Sal
88,3), a cui fa da contrappunto la supplica che sale dal cuore degli uomini: “Stillate dall’alto, o cieli, la vostra
rugiada e dalle nubi scenda a noi il Giusto: si apra la terra e germogli il
Salvatore” (cf. Is 45,8). Il passo di Isaia è citato secondo la versione
latina della Volgata di s. Girolamo che interpreta in chiave messianica
l’invocazione del profeta: “le nubi facciano piovere la giustizia ... si apra la
terra e produca la salvezza”.
Il Salvatore viene dall’alto, ma
contemporaneamente germoglia dalla terra. Vale per la Madre di Dio, la nostra terra, che ha dato alla luce il
Salvatore, ma vale per ogni cuore, che comunque è terra feconda del Salvatore.
Bisogna che si compia finalmente quello che preghiamo con il Padre Nostro: ‘sia
fatta la tua volontà come in cielo così in terra’. Intendendo: manifesta la tua
bontà per noi finché la terra del nostro cuore diventi tutta cielo, finché il
nostro cuore abbia fatto germogliare Colui che del cielo è sovrano e farà
vivere in terra come nel cielo.
Si è manifestato lo splendore della
gloria di Dio, che è amore per gli uomini, quando il Figlio è diventato la Dimora dell’uomo. Il tema della dimora percorre il brano del secondo
libro di Samuele, che riferisce del desiderio di Davide di costruire una degna
dimora a Dio. Sarà invece Dio a costruire una casa a Davide, a dargli quella
discendenza da cui scaturirà il Salvatore, vera dimora di Dio in mezzo agli
uomini. La promessa di Dio, che il profeta Natan riferisce a Davide, si compie
con il consenso della Vergine al desiderio di Dio manifestatole dall’angelo: “Fisserò un luogo per Israele, mio popolo ...
Ti darò riposo da tutti i tuoi nemici ... La tua casa e il tuo regno saranno
saldi per sempre davanti a me” (2Sam 7,10.11.16). Quel Verbo che era presso Dio, come proclama il prologo del vangelo di
Giovanni, essendo Dio, ora è anche presso gli uomini, essendo uomo, nato dalla
Vergine Maria. Il che significa che la creazione ritrova il suo splendore
perché il cielo riflette la terra e la terra riflette il cielo. Come la
Vergine, tutta la nostra umanità è chiamata ad acconsentire al sentire di Dio,
all’operare di Dio, allo splendore di Dio in questo mondo perché la sua gioia
si compia e la sua gioia illumini i nostri volti. Sarà la gioia del Natale di
Gesù allorquando la gioia di Dio potrà essere goduta dalla nostra umanità che
così viene guarita dalla sua tristezza ed esaltata nella sua dignità.
L’obbedienza alla fede, di cui parla
Paolo nella sua lettera ai Romani, non può che comportare la condivisione del
disegno di Dio per l’uomo, condivisione che si traduce nell’esperienza di una
gioia inaccessibile all’avversario, perché tutto e tutti ormai sono visti come
destinatari e fruitori possibili di quell’unica gioia. La gioia come mistero di
intercessione per l’intera umanità. Il senso dell’obbedienza alla fede, nella rivelazione del mistero taciuto nei
secoli e rivolta a tutte le genti, è di mostrare come la terra sia feconda del
Salvatore, proprio come oggi prega la Chiesa: “concedi alla tua Chiesa la
fecondità dello Spirito, perché sull’esempio di Maria accolga il Verbo della
vita e si rallegri come madre di una stirpe santa e incorruttibile”. È la
preghiera perché ogni anima diventi madre
del Salvatore; è la preghiera di intercessione per il mondo perché dare alla
luce il Salvatore significa portare consolazione al mondo.
Non ogni terra però fa germogliare il
Salvatore. E qual è la terra che lo farà germogliare? Troviamo la risposta nel
brano evangelico dove la Vergine Maria si dichiara serva del Signore. Tutta la sua anima abita in quelle parole: “Ecco la serva del Signore: avvenga per me
secondo la tua parola”. Il desiderio di Dio di abitare con gli uomini, di
prendere dimora fra gli uomini, di farsi dimora degli uomini, finalmente si
compie. E la Vergine vi acconsente, acconsente a che il disegno di Dio si
compia in tutto il suo splendore. Il suo acconsentire rivela tutta la purità e
sincerità del suo cuore: non sa come si realizzerà il disegno di Dio, ma vi
acconsente; non sa cosa le sarà richiesto, ma vi acconsente. Nello stesso
tempo, rivela tutta l’intimità del suo cuore, che comunque sta dalla parte di
Dio, è un tutt’uno con il sentire di Dio, non cerca altro sentire se non quello
stesso di Dio. In effetti, quando il sentire interiore è profondo, il rapporto
è potente e quando il sentire tocca le radici del cuore, l’intimità è compiuta:
nessun estraneo avrà più accesso in quello spazio. Da quell’intimità mai più si
allontanerà e permetterà così che la gioia di Dio e dell’umanità si compia. Il
prodigio della concezione e della nascita del Figlio, di cui lei sola conosce
il mistero, conferma quell’intimità, non la crea. La fede non ci strappa dalla
nostra umanità, ma l’avvalora, la compie nella sua dignità e nei suoi aneliti.
Se è Dio che prepara una casa all’uomo,
non la può preparare senza l’uomo. Il Bene che Dio vuole all’uomo non può non
tendere a che l’uomo lo possa anche godere e come l’uomo può goderlo se non
l’accoglie in libertà di cuore? È il mistero stesso dell’apparizione della
gloria di Dio. Se Dio apparisse con la sua gloria in modo da piegare l’uomo
sconvolgendo l’universo, non sarebbe il vero Dio perché avrebbe bisogno di
‘apparire’ Dio. Ma Dio è Dio perché non ha bisogno di dimostrarlo. E se appare
la gloria di Dio è perché l’uomo possa risplendere del suo fulgore. Ma se
l’uomo chiude il cuore, luogo da cui unicamente può risplendere quel fulgore,
come può vedere la sua gloria? E ancora, se il cuore non coglie la promessa di
vita e quel fulgore di gloria nella parola del Signore, come può riconoscere lo
stesso Signore nei poveri in cui si confonde?
È il mistero del Natale del Signore, a
Betlemme come nei cuori, allora come adesso, ora come in futuro. Possano i
nostri cuori riconoscere in quel Bambino, portato dalla Vergine, il Salvatore,
nella sua parola la promessa di vita per noi, nelle sue sofferenze i segni del
suo amore, nel suo esserci la grazia per noi, capace di diventare la grazia per
tutti.