Terzo
ciclo
Anno
liturgico A (2007-2008)
Tempo
di Quaresima
4a Domenica
(2 marzo
2008)
_________________________________________________
1Sam
16,1-13; Sal 22; Ef 5,8-14;
Gv 9,1-41
_________________________________________________
I vangeli della
terza, quarta e quinta domenica di quaresima formano un tutto compatto per
l'accentuato contesto battesimale nel quale sono proclamati in vista del grande
appuntamento pasquale, soprattutto per i catecumeni. Il vangelo della
samaritana (Gesù acqua viva), del cieco nato (Gesù luce vera) e della
risurrezione di Lazzaro (Gesù vita vera) richiamano appunto il nostro
battesimo. In particolare, i tratti che avevano definito la venuta del Cristo
nel prologo del vangelo di Giovanni (“in
lui era la vita e la vita era la luce degli uomini .. Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo”), con il vangelo del
cieco nato e della resurrezione di Lazzaro si impongono alla coscienza dei
fedeli.
Da vari punti di
vista può essere letto il brano di oggi. Per esempio, dal punto di vista della
progressiva apertura alla fede da parte del cieco guarito. Non è lui a chiedere
la guarigione: l’iniziativa è di Gesù. Lui ha fiducia e va a lavarsi alla
piscina di Siloe (quella dalla quale
veniva attinta l’acqua portata solennemente verso il tempio e versata attorno
all’altare nella solennità della festa delle capanne, cfr. Gv 7,37-39. Siloe
significa piuttosto ‘chi invia [le acque]’e Giovanni, rendendolo al passivo,
‘Inviato’, indica che la nostra guarigione si trova in Gesù, che poco prima si
era definito ‘inviato’ dal Padre, v. 4). Nelle parole del cieco guarito Gesù è
indicato prima come ‘quell’uomo che si chiama Gesù’, poi ‘un profeta’, poi ‘che
è da Dio’ e infine, davanti alla domanda di Gesù che lo va a cercare dopo che è
stato cacciato dai farisei: “Tu credi nel
Figlio dell’uomo?”, risponde: “Io credo, Signore!”.
La progressione
segnala la dinamica spirituale del credente. Da un singolo evento (la
guarigione dalla cecità) si arriva al coinvolgimento di tutta la propria vita
(la fede nel Figlio dell'uomo). Oppure, per esprimerla con altra immagine,
dalle cose si passa a scoprire un Volto e da questo Volto si torna, nuovi, alla
propria vita, alla propria storia. Gli eventi ci sono dati per scoprire il
Volto di colui che il nostro cuore cerca e la scoperta di questo Volto ci
rimanda agli eventi perché siano vissuti nella luce e nella vita che da lui
promanano.
Altro aspetto di
tale dinamica è quello che chiamerei la responsabilità della storia personale.
È vano voler trovare il senso delle cose per assumerle (l'atteggiamento dei
farisei lo dimostra); piuttosto, le assumo e scopro il senso (è la via della
fede e dei comandamenti evangelici).
A tale riguardo
è estremamente significativo l’introduzione al brano del cieco nato. I
discepoli interrogano Gesù: “ha peccato
lui o i suoi genitori?”. La domanda esprimeva il tentativo di sfuggire
all’angoscia del male da parte di una coscienza religiosa. Noi non formuleremmo
più la domanda in quei termini, ma non per questo l’interrogativo di fronte al
male ha perso la sua angoscia lancinante. Gesù non dà risposta in termini
‘ragionevoli’. Invita più semplicemente, ma più potentemente, a distogliere lo
sguardo dal passato e volgerlo al futuro: “è
così perché si manifestassero in lui le opere di Dio”. Cosa significa? Vuol
solo dire che si appresta a fare il miracolo? E per tutti gli altri ‘ciechi’
che non verranno mai guariti? S. Paolo, in Rm 3,9-20, ricorda che ‘tutti hanno peccato e sono privi della
gloria di Dio’. Sarebbe inutile cercare la causa 'indietro'; ci inchioda al
non-senso e alla rabbia della frustrazione. La motivazione va cercata 'in
avanti', rispetto a un 'qualcosa' che per noi deve ancora farsi, deve ancora
rivelarsi. Ma non si tratta più semplicemente di cose, di eventi, bensì di
incontri, di volti. È il mistero stesso della fede. La vita scaturisce dalla
fede nel senso che la si può vivere ricevendola dalle mani di colui che ci è
venuto incontro ed ha mostrato il suo Volto. Del resto, il mistero dell'amore
umano trova qui le radici del suo insopprimibile fascino, nonostante le ferite
e le delusioni alle quali così spesso ci condanna.
I vari
personaggi che entrano in gioco nella scena del racconto tendono a inchiodare
il cieco alla sua storia. I discepoli di Gesù lo vedono sotto il peso del
castigo di Dio; i farisei si tengono a distanza per paura di dover trarre le
conseguenze dall’evidenza di un miracolo del genere e gli rinfacciano perciò la
sua ‘nascita nei peccati’ (in questo, dimostrandosi ‘veri ciechi’, come dirà
Gesù alla fine); i suoi genitori se ne stanno da parte per timore. Lui, invece,
forte della gioia della sua guarigione, sa tener testa a tutti e proprio perché
nessuno gli sta attorno amichevolmente, quando Gesù si fa vedere da lui, è pronto
a riconoscerlo non semplicemente come il suo guaritore, ma come colui che gli
ha aperto la visione della vita: “Io sono
la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce
della vita” (Gv 8,12), ripreso nel canto al vangelo.
Quando Gesù dice
“Io sono la luce del mondo” non si può non risalire al racconto della creazione
in Genesi 1,3, quando fu creata la luce. Non è semplicemente la luce fisica,
quella che deriva dal sole, creato solo nel quarto giorno. È la luce della
santità amorevole di Dio che attraversa il mondo, luce che è stata nascosta. È
la luce che fa intuire il mondo dentro uno sguardo unico. È la luce che il
messia rivelerà. È la luce che Gesù ha fatto risplendere liberando gli uomini
succubi del serpente che li ha privati della gloria di Dio. Come fa pregare la
preghiera dopo la comunione: “O Dio, che illumini ogni uomo che viene in questo
mondo, fa risplendere su di noi la luce del tuo volto [il Signore nostro Gesù
Cristo], perché i nostri pensieri siano sempre conformi alla tua sapienza e
possiamo amarti con cuore sincero”.