Terzo
ciclo
Anno
liturgico A (2007-2008)
Tempo
di Quaresima
3a Domenica
(24 febbraio
2008)
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Es
17,3-7; Sal 94; Rm 5,1-8;
Gv 4,5-42
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Il brano
evangelico di oggi si può definire come una delle catechesi più riuscite di
Gesù. Dico ‘riuscite’ nel senso dell’esito finale, che corrisponde
all’intenzione del Maestro. Il brano finisce con l’accesso alla fede nel
Salvatore non solo della donna samaritana, ma dei Samaritani, simbolo della
venuta alla fede da parte delle genti.
Il dialogo con
la samaritana al pozzo di Giacobbe comporta riferimenti diretti e suggestioni
più segrete, in un susseguirsi di immagini allusive della storia dell’alleanza
di Dio con il popolo di Israele. Se consideriamo il racconto dal punto di vista
della posizione della donna samaritana di fronte a Gesù, non possiamo non notare l’evoluzione del suo
atteggiamento interiore. Prima lo considera semplicemente un giudeo, poi uno più grande del patriarca
Giacobbe, poi un profeta, poi messia, infine salvatore del mondo. Nel suo
percorso leggiamo anche il nostro stesso percorso; la sua scoperta del Salvatore invita noi a porci nello stesso
atteggiamento di scoperta e la prosecuzione della lettura del vangelo di
Giovanni darà l’orizzonte di intelligenza
e la consistenza di coinvolgimento nell’avventura che scaturisce da
quella scoperta.
Vorrei però
soffermarmi su una di quelle che ho chiamato suggestioni segrete di cui il brano è ricchissimo. La si può
desumere dai passaggi repentini nello svolgimento del dialogo. Che senso ha
introdurre nel dialogo con la samaritana la richiesta: Va’ a chiamare tuo marito? Ricollochiamo la scena del dialogo.
Siamo presso il pozzo di Giacobbe, descritto dall’immaginazione popolare come
miracoloso per la capacità di trasbordare senza che nessuno attingesse l’acqua,
da quando Giacobbe vi incontra la sua futura sposa, Rachele (cfr. Gn 29,1-14).
Presso un pozzo anche Isacco incontra Rebecca (Gn 24) e Mosè la sua futura
sposa (Es 2,15-22). Il tema dell’acqua è
collegato alle nozze. E chi dà l’acqua è il futuro marito: Giacobbe a Rachele e
Mosè a Zippora.
Nell’accusa che
Dio rivolgerà al suo popolo che si è prostituito tradendo il suo amore, Osea
metterà in bocca a Israele queste parole di tragico vaneggiamento: “Seguirò i miei amanti, che mi danno il mio
pane e la mia acqua, la mia lana, il mio lino, il mio olio e le mie bevande”
(Os 2,7). E dopo che Dio avrà rinnovato il suo amore per Israele, dirà: “ti fidanzerò con me nella fedeltà e tu
conoscerai il Signore. E avverrà in quel giorno - oracolo del Signore - io
risponderò al cielo ed esso risponderà alla terra; la terra risponderà con il
grano, il vino nuovo e l' olio e questi risponderanno a Izreèl. Io li seminerò
di nuovo per me nel paese e amerò Non - amata; e a Non - mio - popolo dirò:
Popolo mio, ed egli mi dirà: Mio Dio” (Os 2,22-25). Dio ricorderà che
l’acqua la dà lui.
La vicenda
personale della samaritana (l’uomo con cui sta non è suo marito) diventa
l’emblema dell’uomo che non sta con il suo Dio. L’invito di Gesù a ritrovare il
vero marito è l’invito a ritornare al vero Dio. Così il tema dell’acqua, che è
implicato con l’immagine delle nozze, si apre al tema del tempio e della vera
adorazione: dove trovare il vero Dio? In questo contesto si comprendono le
parole di Gesù sull’adorare in spirito e
verità. Abbiamo sì bisogno di un luogo
in cui stare per adorare, ma è finita l'economia antica: né qui né là, né sul
monte Garizim né a Gerusalemme. L'unico luogo,
l'unico ubi consistam ormai non è che
Lui, il Cristo, il Figlio che rivela il Padre. Adorare Dio ormai non può
significare altro che adorare il Padre, Colui che nello Spirito possiamo
chiamare Abbà, Padre. Ma come si può
conoscere il Padre se non dal Figlio che ce lo mostra, di cui ci svela i
segreti, nella comunione del quale ci attrae? E come adorare il Padre se non
nel Figlio con il quale diventare uno stesso Spirito per respirare della stessa
intimità che lo lega al Padre? Qui si innesta il dialogo successivo con i
discepoli, in assenza della samaritana: mio
cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera.
L’opera si rivelerà subito con il ritornare della samaritana e con il venire
dei suoi concittadini che invitano Gesù a rimanere con loro per concludere:
“Non è più per la tua parola che noi crediamo; ma perché noi stessi abbiamo
udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo”.
Tutto il dialogo
come la conclusione che sfocia nella professione di fede sembra rispondere
all’invito evangelico: “Chiedete e vi
sarà dato”. Ma cosa va chiesto? “Se
dunque voi, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto
più il Padre vostro celeste darà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono!”
(Lc 9,11.13). E nel vangelo di Giovanni l’acqua allude sempre al dono dello
Spirito Santo.