Terzo ciclo

Anno liturgico A (2007-2008)

Tempo di Pasqua

 

6a Domenica

(27 aprile 2008)

 

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At 8,5-17;  Sal 65;  1Pt 3,15-18;  Gv 14,15-21

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Il brano di vangelo di oggi è denso di misteri che la liturgia legge in riferimento alla prossima ascensione di Gesù e all’invio dello Spirito Santo, che chiude il periodo pasquale. Letto poi nel contesto del cap. 14 di Giovanni, il brano assume sfumature impreviste.

Il dato centrale è la proclamazione di Gesù che va al Padre e contemporaneamente viene a noi, evento che costituisce la rivelazione del ‘giorno del Signore’ (v. 20: “In quel giorno voi saprete”). La rivelazione di ‘quel giorno’ è definita dalle parole di Gesù: “Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete”, parole che forse sarebbe meglio rendere con: ‘voi invece mi vedrete vivo e anche voi vivrete’. Si tratta della assolutamente imprevedibile esperienza della presenza del Cristo risorto e della condivisione della sua nuova vita, nello Spirito. A questa particolarissima ‘comunanza’ di vita col Risorto, nello Spirito, alludono tutte le espressioni sull’amore a Gesù e sull’osservanza dei suoi comandamenti.

Possiamo intuirne il mistero cogliendo le corrispondenze sulle quali è intessuto tutto il cap. 14 di Giovanni. Ne accenno ad alcune. Gesù aveva appena assicurato i discepoli che se chiederanno qualche cosa al Padre nel nome suo, lui la farà. E continua dicendo: “Se mi amate, osserverete i miei comandamenti. Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore perché rimanga con voi per sempre”. Da intendere: se voi farete [= osserverete i miei comandamenti], io pregherò di mandarvi lo Spirito Santo, colui che renderà vere per voi le mie parole e potente in voi il mio amore. Come la preghiera dei discepoli ha a che fare con l’agire potente di Gesù in essi, così la preghiera di Gesù ha a che fare con l’invio dello Spirito Santo, il quale, mentre fa conoscere al cuore il Signore Gesù, ci partecipa la sua potenza di azione. In Gesù il Padre compie le sue opere e nei discepoli Gesù compie le sue. Ma l’opera di Dio è il suo amore per gli uomini ed è questo che ci viene partecipato con l’osservanza dei comandamenti. Ed è per questo che la promessa di Gesù a chi pratica i suoi comandamenti suona: “noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui … Chi mi ama sarà amato dal Padre mio e anch' io lo amerò e mi manifesterò a lui”. Gesù promette ‘comunanza’ di vita, non solo nel senso che Dio abita il cuore dell’uomo, ma nel senso che l’uomo diventa capace di agire nell’amore e secondo l’amore di Dio. L’uomo fa uno spirito solo con il suo Signore (cfr. 1Cor 6,17), vale a dire attinge le stesse ragioni di vita e partecipa dello stesso dinamismo di vita.

L’espressione che mi pare più rivelativa di questo mistero è quella conclusiva del cap. 14: “Non parlerò più a lungo con voi, perché viene il principe del mondo; egli non ha nessun potere su di me, ma bisogna che il mondo sappia che io amo il Padre e faccio quello che il Padre mi ha comandato”. La frase che viene tradotta: ‘non ha nessun potere su di me’, in greco è resa più semplicemente: ‘in me non ha nulla’. Vale la stessa cosa per i comandamenti. La frase: ‘chi accoglie i miei comandamenti’ andrebbe resa con: ‘chi ha i miei comandamenti’. Parola e comandamento evocano la verità di un legame, di un’alleanza; evocano la volontà di bene, di benevolenza di Dio per l’uomo tanto che l’uomo, se li accoglie, può ottenere la visione di quella verità piena d’amore, espressa in un volto, il volto del Cristo. Il comandamento non ha a che fare con un imperativo, con un dovere morale; ha a che fare con l’esperienza di un amore. Come a dire: chi ha in sé la parola, il comandamento di Dio, non offre presa alcuna al potere del demonio e quindi il demonio lo lascia indenne, vale a dire il demonio non può rapirgli quell’amore che aveva giustificato la sua venuta e la sua testimonianza presso gli uomini, per cui la verità di Dio risplende in lui rivelando agli uomini l’amore che lo abita. Come è per Gesù, così per i discepoli.

La percezione di questa verità è però drammatica nel senso che risplende nel contesto del ‘processo’ del mondo a Gesù e ai suoi discepoli. La giustizia si rivela se non acconsente all’ingiustizia; l’amore si rivela se non si fa disperdere dall’odio o dall’invidia. Gesù diventa ‘il re della gloria’ dall’alto della croce. Quando Pietro, nella sua prima lettera, parla di coloro che domandano ragione ai cristiani della speranza che è in loro, allude proprio a questo ‘processo’ del mondo contro i seguaci di Gesù. Non allude alle possibili discussioni sulla fede, ma alle sofferenze che il seguace di Gesù patisce per testimoniare l’amore di Dio agli uomini, non cedendo all’ingiustizia e non venendo meno alle ragioni di questo amore. La testimonianza ha valore se viene praticata con dolcezza e rispetto, nella coscienza cioè di non abbandonare quella benevolenza di amore che Dio ha testimoniato in Gesù per gli uomini. La forza di quella testimonianza deriva dall’azione dello Spirito nel cuore dei discepoli, che li rende insieme ‘concordi, partecipi degli stessi sentimenti, fraternamente affettuosi, misericordiosi, con un sentire umile e sempre benedicenti’. È lo spazio della chiesa che diventa credibile, rispetto alla testimonianza che porta, se fa trasparire la ‘benedizione’ di Dio sull’umanità, che è Gesù, vivo e operante nel cuore dei discepoli. Così il mondo ‘saprà’ che i discepoli di Gesù amano il Padre e fanno quello che ha loro comandato, come è stato per Gesù. È questa la speranza di vita per il mondo che i credenti testimoniano.