Terzo ciclo

Anno liturgico A (2007-2008)

Tempo di Pasqua

 

5a Domenica

(20 aprile 2008)

 

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At 6,1-7;  Sal 32;  1Pt 2,4-9;  Gv 14,1-12

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Il brano di vangelo di oggi contiene due affermazioni e due domande estremamente eloquenti. È giunta la sua ora e Gesù parla con i suoi discepoli del suo ritorno al Padre. Filippo, colui che aveva accompagnato a Gesù quei greci che volevano vederlo (cfr. Gv 12,21), domanda: “Mostraci il Padre”. Il momento è drammatico e rivelativo dell’intera storia di amore di Dio con il suo popolo e l’umanità tutta. La sua richiesta riformula la domanda di Mosè: “Mostrami la tua Gloria” (Es 33,18); contiene l’ardente desiderio del cuore dell’uomo per il Dio di cui porta così intima traccia da averne una nostalgia acuta: “L’anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente: quando verrò e vedrò il volto di Dio?” (Sal 43,3). Filippo non si rende conto che chiedere di ‘mostrare il Padre’ significa voler vedere il Dio che salva e il Regno di Dio venire con potenza; significa cioè voler vedere risplendere in Gesù l’amore di Dio per gli uomini dall’alto della croce. I discepoli sono ancora turbati, non comprendono bene cosa stia accadendo e non sono ancora pronti a leggere gli avvenimenti che di lì a poco si scateneranno in rapporto al loro Maestro, ma Gesù li precede, li orienta, li prepara. Tutto il discorso e le azioni di quella sera, la sera dell’ultima cena (l’istituzione dell’eucaristia, la lavanda dei piedi, l’istruzione ai discepoli) mirano a predisporre gli occhi e il cuore dei discepoli allo svelamento del segreto di Dio che Gesù è.

Prima di Filippo, anche Tommaso aveva mostrato di non comprendere: “Non sappiamo dove vai e come possiamo conoscere la via?”. Tommaso era quello che aveva voluto seguire Gesù fino a morire con lui (cfr. Gv 11,16); sarà quello che non vorrà illudersi sulla risurrezione di Gesù e vorrà tastare il corpo del Risorto per sincerarsene e alla fine riassumerà la fede dei discepoli e dei futuri credenti con la sua solenne e intima professione: ‘mio Signore e mio Dio!’. Gli era ancora impossibile cogliere che ‘luogo e via’ indicavano la stessa cosa. Ragionava in termini spaziali: non poteva sapere ancora che luogo e via a cui alludeva Gesù si riferivano al nostro essere in lui, partecipi dello stesso suo amore per il Padre e dell’amore del Padre per lui.

Non per nulla, quando Gesù commenta la richiesta dei greci di volerlo vedere e dichiara che ormai la sua ora è arrivata, presenta la sua morte come gloria e rivela la comunanza di destino con i suoi discepoli: dove sono io, là sarà anche il mio servo. Anche nel nostro brano, Gesù spiega il suo ritorno al Padre e il suo ‘venire’ ai discepoli (un venire che non allude semplicemente al suo ‘farsi vedere’ dopo la risurrezione o al suo ritorno glorioso alla fine dei tempi, ma al suo ‘dimorare’ nei discepoli, alla sua ‘presenza’ potente tra i discepoli, al divenire uno spirito solo con il Signore da parte dei discepoli) con l’espressione: “perché siate anche voi dove sono io”. L’espressione non significa: io soffro e anche voi soffrirete; io sono ripudiato dal mondo e pure voi lo sarete; io muoio sulla croce e anche voi avrete la vostra croce. Dice piuttosto: io sono nell'amore del Padre, anche voi lo sarete; sono il testimone del suo amore in questo mondo e anche voi lo sarete; risplendo della gloria dell'amore del Padre e pure voi risplenderete dello stesso amore. E questo proprio perché sopportando l'ingiustizia e la violenza senza venir meno alla potenza dell'amore, sarà noto a tutti che io amo il Padre e faccio quello che il Padre mi ha comandato (Gv 14,31) e così l’amore del Padre risplenderà sul mondo.

Le due affermazioni di Gesù sono strettamente collegate a questo segreto di Dio per il mondo che in Gesù si fa scoperto: “Io sono nel Padre e il Padre è in me” e “Io sono la via, la verità e la vita”. La prima affermazione la collego ai passi: “Dio nessuno l’ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato” (Gv 1,18), per cui “chi vede me vede il Padre” (cfr. Gv 12,45; 6,46), con la sfumatura che vedere Gesù comporta essenzialmente vedere il suo invio da parte del Padre. Il che significa che, se in Gesù riposa tutta la compiacenza del Padre, riconoscerlo significa entrare in questa compiacenza e goderne la potenza risanante e vivificante. In Gesù si concentra tutto il desiderio di comunione di Dio con l’uomo e tutto il desiderio dell’uomo per il suo Dio: riconoscere Gesù, nel suo invio come testimone dell’amore del Padre per gli uomini, significa godere la rivelazione del volto di Dio, che è amore per gli uomini.

L’altra affermazione la collego al passo: “Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra” (Mt 28,18). Il potere di Gesù è duplice: dalla parte di Dio, ha il potere di rivelare il vero volto di Dio; dalla parte dell’uomo, ha il potere di compiere i desideri dell’uomo, di soddisfare la sua fame di conoscenza e di relazione in pienezza e verità. Questo potere viene come sancito nel compiersi del suo mistero pasquale quando torna al Padre e ritorna agli uomini allorché gli uomini possono ‘vedere’ che il suo amore per il Padre testimonia l’amore del Padre per loro e che l’amore che rivela comporta la partecipazione agli uomini della sua stessa potenza, vita divina per l’uomo, dono del suo Spirito, verità di Dio e dell’uomo.

Quando Gesù proclama che è ‘via e verità e vita’ si riferisce al mistero di Dio che viene svelato all’uomo nella sua offerta d’amore, offerta che costituisce la vita per lui, una vita piena, per ciascuno e per tutti, perché la vita e la verità di Dio, se valgono per la singola persona, valgono in quanto dinamismo di comunione tanto da poter proclamare Dio, a pieno titolo e in tutta evidenza, Padre di tutti. Se Gesù è via-verità-vita lo è in quanto Figlio, che è nel seno del Padre e di cui svela il Volto d’amore per gli uomini. Solo accogliendo quel dinamismo di rivelazione esteso a tutti gli uomini si può conoscere il Padre ed essere ritrovati figli in quell’unico Figlio. È la tensione ‘apostolica’ della fede nel Cristo: per credere al Cristo occorre ritrovarsi nel suo stesso ‘essere inviati’ perché il mondo conosca che amiamo il Padre e facciamo quello che il Padre ha comandato.

Solo a mistero pasquale compiuto gli apostoli si rendono conto della reale posta in gioco del loro seguire il Signore e della grazia concessa al mondo.