Terzo
ciclo
Anno
liturgico A (2007-2008)
Tempo
di Pasqua
3a Domenica
(6 aprile
2008)
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At
2,22-35; Sal 15; 1Pt 1,17-21;
Lc 24,13-35
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Nel vangelo di
Luca, l’apparizione del Risorto ai discepoli di Emmaus costituisce il racconto
più dettagliato e espressivo delle testimonianze pasquali. I particolari del
racconto non esprimono solo quella che potremmo chiamare la relazione dettagliata
dell’incontro dei due discepoli con il Risorto, ma tendono a suggerire lo
scenario possibile di ogni incontro con Gesù, morto e risorto, per tutti i
credenti.
Gesù si
accompagna loro nel cammino, spezza loro la sua parola aprendo le Scritture, si
ferma a cenare da loro (con tutta probabilità, i discepoli erano arrivati a
casa loro quando invitano Gesù a fermarsi da loro per la notte), benedice e
spezza il pane per loro e loro lo riconoscono, tornano a Gerusalemme per
condividere l’esperienza e insieme si rallegrano: tutti particolari che parlano
anche di noi, del nostro incontro con Gesù.
Vorrei
soffermarmi solo su alcuni punti. Prima di tutto sui due discepoli. Sono tristi
e abbattuti. Conoscevano le Scritture, ma restavano loro chiuse. La loro
vicenda potrebbe essere riassunta in questo modo: proprio a partire dalla loro
fede nel Dio di Israele erano stati affascinati dalla figura di Gesù e avevano
creduto in lui; l’avevano seguito, ma forse in funzione delle loro attese secondo
la storia di Israele, perché avevano, sì, sentito Gesù predire la sua passione,
ma a passione avvenuta non si raccapezzavano più e cedettero alla delusione;
non avevano però rinunciato alla loro storia con Gesù e quando il viandante che
si accompagna loro ritorna alle Scritture che loro stessi conoscevano, pur
senza essere capaci di aprirle, il loro cuore torna a ardere, sommessamente;
quando vogliono con loro quel pellegrino e lo invitano a cena e Gesù si fa
riconoscere, la loro storia si riaccende, tutto si collega e prende vita;
devono tornare a Gerusalemme dai compagni che a loro volta hanno fatto la
stessa esperienza e nella gioia che tutti insieme provano vivranno ormai la
loro storia aperta sul mondo, che ha diritto anch’esso a quella letizia.
Il salmo 15 dice
bene la sostanza di questa letizia: “Benedico
il Signore che mi ha dato consiglio [il greco, più precisamente: benedico il
Signore che mi ha dato intelligenza]… gioia piena nella tua presenza, dolcezza
senza fine alla tua destra”. Si può applicare al racconto dei discepoli di
Emmaus che acquistano intelligenza e vedono, al colmo della letizia, ma anche a
noi con il Signore Gesù che si accompagna a noi, suoi discepoli, perché la sua
‘vita immortale’ possa scorrere nelle nostre vene e recare al mondo la letizia
di Dio per i suoi figli. Il salmo, nella sua stesura antica, richiama
l’adesione al vero Dio di Israele rifuggendo da ogni pratica idolatrica;
richiama l’eredità di Levi che, a differenza delle altre tribù, non riceve alcun
appezzamento di terra, essendo scelto per il culto. Nella sua formulazione più
recente, il salmo celebra l’adesione a Dio in un’esperienza di intimità così
grande da costituire il vero tesoro del cuore, così carica di letizia da
diventare radice di senso e di vita. Siccome però il dono di Dio risponde
direttamente al desiderio dell’uomo, al cuore dell’uomo sembra che le attese
che lo muovono corrispondono al dono di Dio. Il dramma della vita e la vicenda
dei discepoli come dello stesso Signore Gesù parlano invece diversamente. Ci
attende un lungo cammino perché le nostre attese si convertano al dono di Dio,
ma quando questo avviene scatta quella letizia che tutto riempie.
I discepoli non
riconoscono Gesù quando spiega loro le Scritture, ma quando si dona loro con
l’eucaristia (a questa allude, secondo l’esperienza della chiesa, il benedire e
lo spezzare il pane del racconto). Senza quel ‘dono’ la Scrittura rimane ancora
muta. Per noi, ora, la ‘visione’ non c’è più, ma lo ‘spezzare il pane’, questo,
sì, continua nella chiesa e continua la percezione della Presenza di Gesù,
morto e risorto, che si dà a noi tramite la parola e il corpo, tramite le
Scritture e l’eucaristia. Quello che non è detto, ma fa da sfondo vitale, è che
parola e corpo si possono ‘vedere’ solo nella chiesa, dentro la storia comune
che ci ingloba. Non si può assumere il corpo di Gesù se non accogliendolo
‘secondo le Scritture’. Quel ‘secondo le Scritture’ allude al mistero di Gesù
come apertura al mistero di Dio, al mistero e al senso del mondo, al mistero
del Regno che ci lambisce fino a inglobare tutti nella sua luce di letizia.
Gesù rimanda alla storia di Dio con Israele, nella quale accogliere la storia
di Dio con l’umanità e la nostra, personale, singola storia, perché il suo Spirito
di vita faccia esplodere le nostre attese secondo il dono di Dio. Come per i
discepoli di Emmaus, una volta che gli occhi si sono schiusi e la fede si è
fatta ‘visione’ per la parola e per il corpo del Signore Gesù, il cuore mette
fretta ai piedi in due direzioni: una, verso la chiesa, nel senso di vedere
confermata e condivisa la propria visione; l'altra, verso il mondo, perché
nessuno possa restare privo di questa visione, tanto racconta la verità di Dio
e la verità del cuore dell'uomo. In questa comunione condivisa, testimoniata,
cercata, donata, accolta, il cuore può riposarsi perché gode lo stesso riposo
di Dio: si faccia una sola famiglia, nel regno di Dio. Ma il riposo che si
godrà è assai diverso da quello che ci si immagina ... sicuri però che comunque
sarà il vero riposo.