Terzo ciclo

Anno liturgico A (2007-2008)

Tempo Ordinario

 

4a Domenica

(3 febbraio 2008)

 

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Sof 2,3; 3,12-13;  Sal 145;  1Cor 1,26-3;  Mt 5,1-12

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Oggi viene proclamato il vangelo delle beatitudini. Lasciandoci guidare dalla liturgia, proviamo ad avvicinarlo partendo dal salmo responsoriale, il salmo 145, che esplicita la profezia di Sofonia. “Il Signore regna” conclude il salmo. La proclamazione fa da contrappunto ai primi versetti del salmo: “non confidate nei potenti, in un uomo che non può salvare”, da rendere con più precisione, secondo la versione greca: ‘in un uomo che non ha salvezza’. Quando la moltitudine dei santi in paradiso loda Dio grida: “La salvezza appartiene al nostro Dio seduto sul trono e all'Agnello” (Ap 7,10). L’uomo non può darsi la salvezza: ecco l’evidenza della storia. Se l’uomo si affida all’uomo non troverà salvezza. Il che equivale anche a dire: non godrà felicità. Eppure l’uomo non godrà felicità se non in comunione con gli uomini. Perché?

Possiamo anche intendere così: la nostra vocazione è la felicità e, per quanto possa sembrare strano, la felicità è paradossale. Non la si prende dove sembra di vederla, ma la si ottiene spesso con ciò che sembra il contrario. Perché in gioco è la credibilità stessa di Dio che viene incontro all'uomo, senza però mai poterlo convincere all'evidenza. Nella felicità è in gioco non semplicemente l'esaudimento di un cuore, ma l'incontro di due, la comunione di due.

Il brano del profeta Sofonia introduce la promessa per il resto d’Israele di godere del regno di Dio nel contesto, terribile, del giorno dell’ira del Signore. Il profeta assiste ad avvenimenti tragici: in pochi decenni si susseguono devastazioni immani ad opera dei due regni contrapposti, Egitto e Assiria. Israele non confida più in Dio; cerca alleati umani, si fida ora dell’uno ora dell’altro, per scampare al pericolo, ma non trova riposo perché l’uno e l’altro sono antagonisti perenni e lui ne fa continuamente le spese. Dopo le minacce e le invettive tra le più terribili della Bibbia, il profeta annuncia la fedeltà di Dio al suo popolo, annuncia la felicità che vuol procurare al suo popolo.

Il salmo 145, che riprende la promessa annunciata da Sofonia, fonda la credibilità di Dio su di una sua specifica qualità: “egli custodisce la verità in eterno’, ‘egli è fedele per semprè. Quale questa verità? La verità del suo amore per l’uomo, la verità del suo agire in benevolenza verso l’uomo. Alle nostre orecchie appare perlomeno contraddittoria questa affermazione, quando risuona in un contesto di afflizioni e drammi. Ma la profondità di senso di quell’affermazione si può cogliere solo a partire dal dramma nel quale l’uomo vive.

Gesù, quando annuncia le sue beatitudini, ha presente il dramma dell’uomo. Senza riferire le sue parole al profondo dramma che vivono gli uomini, le beatitudini suonano come pie esortazioni e il riferimento alla felicità una pia illusione.

Intanto, Gesù può annunciare le sue beatitudini ai discepoli perché ha già fatto vedere che ‘il regno di Dio è vicino’, vale a dire:

a) ha già potuto far vedere la potenza dell’agire di Dio a loro favore (Gesù ha già cominciato a predicare il vangelo del regno, ha già entusiasmato uomini che lo seguono, ha già guarito molti da malattie e infermità e mostrato il suo potere sui demoni, come dirà più avanti: “Ma se io scaccio i demòni per virtù dello Spirito di Dio, è certo giunto fra voi il regno di Dio”, Mt 12,28);

b) è stato però necessario convertirsi al mistero della sua persona per cogliere il suo agire come testimonianza della presenza salvatrice di Dio in mezzo a loro. Diversamente – e per molti si ridurrà a questo! – vedranno solo un guaritore da importunare in ogni caso per avere un po’ di sollievo. Chi però agirà così, non troverà felicità, perché non avrà incontrato il suo Dio.

 

Ciò che le beatitudini hanno di paradossale deriva dall'esperienza di un incontro assoluto che pone tutto il resto in sott'ordine. E tutto il resto sta in sott'ordine perché è tale la potenza che si sprigiona da quell'incontro che nulla potrà sostituirsi al suo fascino. La beatitudine che proclama Gesù deriva dalla comunione con la sua, da quella vita con il Padre e lo Spirito che lo rende così Figlio da non volere altro per sé se non di vedere tutti immersi nello stesso amore del Padre. Deriva dalla rivelazione dell'esperienza del Regno ormai giunto fino a noi, ormai schiuso nella sua inaccessibilità e nel suo mistero tanto da schiudere ogni evento alla sua realtà. Deriva dalla partecipazione alla vita divina, quella che non avrà più fine e che si fa accessibile a noi fin da ora.

Le beatitudini sono otto. La prima e l’ultima comportano la stessa promessa: ‘perché di essi è il regno dei cieli’ e racchiudono le altre sei. C’è un doppio movimento nell’elenco delle beatitudini: un movimento di concatenazione e un movimento circolare. La concatenazione riguarda lo spazio definito dalla seconda alla settima, mentre il movimento circolare è dato dal ritornare dell’ottava alla prima per riavviare, a livelli sempre più profondi, la concatenazione. La felicità scaturisce dai passaggi indicati: se ti affliggi solo per la potenza del male che ti domina e dal quale vuoi esserne liberato, se non avrai altro motivo di ira se non quello di opporti al maligno e così custodirti dolce con tutti, se cercherai la giustizia al di sopra del tuo interesse, se condividerai con tutti la misericordia che avrai gustato nel perdono di Dio, se sarai così privo di rivendicazioni e pretese da vedere tutto e tutti nella luce di Dio di cui godrai la presenza, se seguirai l’opera di Dio che è la fraternità tra gli uomini, allora – è la promessa della settima beatitudine – sarai come il Figlio di Dio che, per essere venuto a testimoniare quanto è grande l’amore di Dio per gli uomini, non ha preferito se stesso all’amore che lo divorava e ha accettato di essere consegnato nelle mani degli uomini. Se nella persecuzione l’uomo non perde la sua gioia, allora vuol dire che la potenza del Regno l’ha lambito, che la sua felicità non dipende più dal mondo. Non avrà più bisogno di cercare altra affermazione di sé perché ha trovato quella capace di soddisfare l’anelito del suo cuore, che così sarà confermato nella rinuncia alla brama di ogni bene che non sia espressione di quell’esperienza. Tanto che si affliggerà ancora più profondamente del male che in lui si annida e ripercorrerà la concatenazione dei passaggi a livelli sempre più coinvolgenti.