Terzo ciclo
Anno liturgico A (2007-2008)
Tempo Ordinario
28a Domenica
(12 ottobre 2008)
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Is
25,6-10; Sal
22; Fil 4,12-20; Mt 22,1-14
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La parabola evangelica di oggi si situa
nel solco e nello sviluppo di quelle delle domeniche precedenti. Compaiono gli
stessi elementi: il re (il padrone) ed il figlio; i servi ripetutamente
inviati, respinti e uccisi; ira del re e dramma finale; invito rivolto ad
altri. Il tutto però è espresso con accenti e sfumature diverse. La parabola si
sviluppa in due tempi: un tempo dell’azione e un tempo del giudizio; il tempo,
l’attuale, degli inviti e il tempo, finale, del giudizio definitivo.
In rapporto al giudizio, che suscita
sgomento, risuona l’antifona di ingresso della liturgia: “Se consideri le nostre colpe, Signore, chi potrà resistere? Ma presso
di te è il perdono, o Dio di Israele” (Sal
130,3-4). In rapporto agli inviti si canta il versetto dell’alleluia tratto
dalla lettera agli Efesini, il cui passo completo suona: “il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia
uno spirito di sapienza e di rivelazione per una più profonda conoscenza di
lui. Possa egli davvero illuminare gli occhi della vostra mente per farvi
comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude
la sua eredità fra i santi e qual è la straordinaria grandezza della sua
potenza verso di noi credenti secondo l’efficacia della sua forza che egli
manifestò in Cristo…” (Ef
1,17-18). È la finestra di luce nella quale guardare al contenuto della
parabola: possa davvero il nostro cuore aprirsi al dono di speranza e di gloria
che il Signore ha preparato per noi! Quello che il passo dice ai nostri
orecchi, l’icona della Trinità di Rublev lo fa vedere
ai nostri occhi: i tre angeli in dolce colloquio, uniti nell’amore all’uomo per
il quale il Padre celebra le nozze del Figlio e invita tutti, nella forza dello
Spirito, a partecipare alla sua gioia. Sulla mensa giace l’Agnello immolato,
simbolo e mistero di questo infinito amore che siamo tutti invitati a gustare.
Tre sono i particolari che vorrei sottolineare.
Primo: le nozze del Figlio. Lo proclama
Giovanni Battista: “Chi possiede la sposa
è lo sposo; ma l’amico dello sposo, che è presente e l’ascolta, esulta di gioia
alla voce dello sposo. Ora questa mia gioia è compiuta. Egli deve crescere e io
invece diminuire” (Gv 3,29-30). Il Figlio, Gesù,
sposa l’umanità: è l’evento centrale della vita del mondo, il fondamento e
l’esito finale di tutta la storia. Tanto profondo e misterioso che passa
inosservato, spesso negletto dagli stessi credenti. Dio e l’uomo ritornano
compiutamente uniti, dove tutto di Dio si rivela nella sua gloria e grandezza e
dove tutto dell’uomo acquista compimento. È per partecipare a queste nozze, a
questa festa, a questa gioia, che Dio chiama. L’Eucarestia celebrata è il
talamo dove questo mistero si realizza, nella cui forza tutta la vita ritorna ad
avere poco a poco lo splendore divino.
Secondo: gli invitati, i vocati. Ogni
vocazione, in senso profondo, non è che la chiamata ad una nuova relazione, ad
una intimità personale con Colui che personalmente ci raggiunge, come dice il
profeta: “Non temere, perché io ti ho
riscattato, ti ho chiamato per nome: tu mi appartieni. Se dovrai attraversare
le acque, sarò con te, i fiumi non ti sommergeranno; se dovrai passare in mezzo
al fuoco, non ti scotterai, la fiamma non ti potrà bruciare; poiché io sono il
Signore tuo Dio, il Santo di Israele, il tuo salvatore... Non temere, perché io
sono con te” (Is 43,1-5).
Buoni e cattivi sono chiamati. L’invito
non è in funzione dei nostri meriti, ma semplicemente dell’amore suo. Sarà il
godimento di questo amore che potrà essere in funzione della nostra risposta,
ma non l’offerta di tale amore. Così, tutti sono come costretti, ad indicare la
sollecitudine e la pazienza di Dio che non smette mai di insistere con il
nostro cuore, comunque si trovi, perché acconsenta alla sua gioia. È importante
quell’annotazione ‘buoni e cattivi’. Quante pie illusioni costringono il nostro
cuore all’oppressione e tutto perché immaginiamo di essere più importanti di
Dio stesso!
Terzo: la veste nuziale. Di quale veste
si tratta? Paolo proclama: “poiché quanti
siete stati battezzati in Cristo, vi
siete rivestiti di Cristo” (Gal 3,27). E ancora: “Vi siete infatti spogliati dell’uomo vecchio con le sue azioni e avete
rivestito il nuovo, che si rinnova, per una piena conoscenza, ad immagine del
suo Creatore. Qui non c’è più Greco o Giudeo, circoncisione o incirconcisione, barbaro o Scita, schiavo o libero, ma
Cristo è tutto in tutti. Rivestitevi
dunque, come amati di Dio, santi e diletti, di sentimenti di misericordia, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di
pazienza sopportandovi a vicenda e perdonandovi scambievolmente, se
qualcuno abbia di che lamentarsi nei riguardi degli altri. Come il Signore vi
ha perdonato, così fate anche voi” (Col 3,10-13).
La veste nuziale sono i segni
distintivi dell’appartenenza a Cristo, dell’essere simili a Cristo. E come
essere trovati così, se Cristo stesso non ci assimilasse a sé? È appunto il
mistero della comunione eucaristica, farmaco di immortalità: ricevere il Cristo
per essere trovati in Lui. L’accento non è posto su quanto l’uomo fa per il
Cristo, ma sul fatto che l’uomo può accogliere il Cristo e ritrovarsi nella
gioia del Padre che l’ha inviato perché tutti godano lo splendore del suo
amore. La sua veste nuziale allude proprio all’accoglienza che l’uomo è
chiamato a dare all’invito di Dio e l’invito di Dio è il suo stesso Figlio. Gli
uomini, fin tanto che sono ancora nella storia terrena, non possono
distinguersi in eletti o meno perché a tutti l’invito di Dio è rivolto. Se varrà
un giudizio, è solo quello di Dio che conosce i cuori. La temibilità
del giudizio allude al fatto che all’invito non consegue automaticamente
l’elezione; l’uomo è chiamato a rispondere.
Alle nozze del Figlio fa riscontro la
nostra gioia, non la nostra perfezione. Ma la gioia dice l’apertura del nostro
cuore all’invito del Padre, nonostante la nostra patente indegnità. In questo
contesto suona strana la dichiarazione finale della parabola: ‘molti sono chiamati, ma pochi eletti’.
Di tutta la moltitudine che riempiva la sala, solo uno è stato trovato senza la
veste appropriata! Se non è un invito alla speranza questo, a fidarci
dell’amore di Dio!!!